Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28070 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. III, 09/12/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 09/12/2020), n.28070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 98508-2019 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’Avv.to ROSSELLA DE ANGELIS, rappresentato e difeso dall’avv.to

LAURA ARCULEO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. 6678/2019 del TRIBUNALE DI MILANO, depositato

il 19/08/9019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

S.L., cittadino (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4;

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire violenze da parte di familiari motivate da ragioni di carattere economico;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento S.L. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1 del Tribunale di Milano, che l’ha rigettato con decreto in data 19/8/2019;

a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’assenza di attendibilità del relativo racconto di vita; 2) dalla mancanza, nel territorio di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) dell’insussistenza delle condizioni di vulnerabilità soggettiva del ricorrente ai fini del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da S.L. con ricorso fondato su sei motivi;

il Ministero dell’Interno, non tempestivamente costituito, ha depositato un atto al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il tribunale omesso di rinnovare l’audizione del ricorrente nonostante l’indisponibilità della videoregistrazione e della documentazione relativa ai procedimento amministrativo;

il primo motivo è infondato;

osserva al riguardo il Collegio come, nel giudizio d’impugnazione della decisione della Commissione territoriale (e quando sia mancata la videoregistrazione del colloquio dinanzi a quest’ultima), il giudice abbia l’obbligo di fissare l’udienza, ma a tale obbligo non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, là dove la domanda di protezione internazionale risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e da quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (ex multis, Sez. 1 -, Sentenza n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo avere regolarmente fissato l’udienza di comparizione delle parti (in cui la parte ricorrente risulta comparsa e sentita: cfr. pag. 2 del provvedimento impugnato), ha specificamente indicato, in termini logicamente plausibili e giuridicamente fondati, le ragioni della mancata rinnovazione dell’audizione in sede giudiziale del richiedente, tenuto conto del

complesso degli elementi documentali già acquisiti e dell’insussistenza di alcuna effettiva necessità di integrarli attraverso la rinnovazione dell’ascolto personale;

ciò posto, se pur è vero che, in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis debba essere letto in conformità al disposto dell’art. 46, par. 3 direttiva 2013/32/UE nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE (con la conseguenza che, ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione, contenga motivi o elementi di fatto nuovi, il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità dei racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria: cfr. Sez. 1, Sentenza n. 27073 del 23/10/2019, Rv. 656871 – 01), l’odierno ricorrente risulta essersi totalmente sottratto al dovere di completa e rituale allegazione e produzione degli atti processuali necessari ai fini dell’attestazione dell’effettività di detta nuova produzione solo in sede giudiziale;

con il secondo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il tribunale ha disconosciuto il diritto del ricorrente al conseguimento della protezione internazionale, di quella sussidiaria o di quella umanitaria, senza aver assunto informazioni aggiornate sulle condizioni esistenti in (OMISSIS), tanto sotto l’aspetto economico, quanto su quello sociale e politico;

il secondo motivo è infondato;

al riguardo – ferme le considerazioni più avanti riportate, in ordine alla valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente – varrà considerare come, nel caso di specie, la corte territoriale abbia correttamente provveduto, al fine di giudicare in ordine a ciascuna delle forme di protezione internazionale richieste dall’istante, ad attivare i propri doveri di cooperazione istruttoria attraverso l’estensione della propria cognizione alle informazioni sul paese di origine dell’odierno ricorrente, dando ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa l’insussistenza, nei Paese di provenienza del ricorrente, tanto delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), quanto di quelle indispensabili ai fini della valutazione comparativa essenziale in relazione al riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, riferendosi a fonti di informazioni specifiche e adeguatamente aggiornate, dalle quali ha tratto la conclusione dell’impossibilità di riconoscere, nella regione di provenienza del ricorrente, situazioni di violenza generalizzata nel quadro di conflitti armati interni, o di condizioni tali da esporre il ricorrente, in caso di rimpatrio, al rischio di compromissioni del nucleo essenziale dei propri diritti fondamentali, a nulla rilevando le alternative fonti segnalate dal ricorrente, trattandosi di informazioni generiche, e in ogni caso inidonee a fornire adeguata contezza degli specifici presupposti oggettivi legittimanti il riconoscimento delle forme di protezione rivendicate in contrasto con i contenuti informativi privilegiati dalle scelte probatorie (legittimamente) operate dal giudice d’appello nell’esercizio dei propri poteri di apprezzamento discrezionale delle fonti istruttorie;

con il terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, per avere il giudice a quo omesso di pronunciarsi su tutte le domande proposte dal ricorrente, trascurando di trascrivere le conclusioni rassegnate dalle parti, con particolare riguardo alle questioni concernenti le gravi irregolarità commesse nel corso della procedura amministrativa;

il terzo motivo è infondato;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti non è di per sè causa di nullità della sentenza, assumendo rilevanza solo se ed in quanto accompagnata dalla mancata considerazione delle stesse da parte del giudice (v., da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 11150 del 09/05/2018, Rv. 648052 – 01);

ciò posto, varrà considerare come il tribunale abbia correttamente affrontato e deciso ognuna delle questioni sottoposte al suo giudizio dall’odierno ricorrente, provvedendo, non solo a giustificare la decisione di rigetto di ognuna delle forme di protezione internazionale rivendicate dall’istante, ma anche ad evidenziare le ragioni della totale irrilevanza, in sede giudiziale, delle nullità eventualmente prodottesi nel corso del procedimento amministrativo cui ebbe a mettere capo il diniego della protezione internazionale da parte della commissione territoriale competente, uniformandosi al consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale reso dalla Commissione territoriale non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto mediante ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento, poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, e deve pervenire alla decisione nel merito circa la spettanza, o meno, del diritto stesso non potendo limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (v., da ultimo, Sez. 1 -, Ordinanza n. 17318 del 27/06/2019, Rv. 654643 – 01);

con il quarto motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per avere il tribunale condotto la valutazione di attendibilità del richiedente sulla base di opinioni soggettivistiche, senza alcuna corretta procedimentalizzazione legale della decisione;

il quarto motivo è infondato;

osserva al riguardo il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi altresì censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente trascurato di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

osserva il Collegio, al riguardo, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

con il quinto motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice a quo disatteso le domande di protezione internazionale avanzate dall’istante, omettendo di tener conto di tutte le prove prodotte dalle parti, ivi compresa la documentazione depositata in data 24/1/2019, non menzionata nel provvedimento impugnato;

il quinto motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come la censura illustrata dal ricorrente non contenga alcuna denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c. e di quello dell’art. 115 c.p.c., essendosi l’istante limitato a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;

sul punto, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, ai sensi del quale la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016) (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione);

peraltro, nessuna rilevanza può essere ascritta alla pretesa omessa considerazione, da parte del giudice a quo, di elementi di prova forniti dall’istante, rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri alcuna delle fattispecie previste dall’art. 360 c.p.c., là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04,12014, Rv. 629830);

con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere il giudice a quo omesso ogni valutazione circa la condotta processuale tenuta dall’amministrazione avversaria;

il sesto motivo è inammissibile, dovendo ritenersi al riguardo applicabile il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale l’art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito il potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti, e il mancato uso di tale potere non è censurabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, allorchè il giudice abbia deciso di non utilizzare tale argomento sussidiario, avendo già acquisito i necessari elementi di prova in base alle risultanze dell’istruttoria (Sez. 2, Sentenza n. 18128 del 10/08/2006, Rv. 592679 – 01);

sulla base delle premesse indicate, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, deve essere disposto il rigetto del ricorso;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione, in ordine alla regolazione delle spese del giudizio, non essendosi il Ministero dell’Interno tempestivamente costituito in questa sede;

dev’essere viceversa attestata (ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater) la non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis attesa l’ammissione dell’istante al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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