Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28069 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 28069 Anno 2017
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2911/2010 R.G. proposto da
Pascucci Stefano, rappresentato e difeso dall’Avv. Cristiana Vandoni
con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Alcide de
Gasperi, n. 21;
– ricorrente –

contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi,
n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –

e
Equitalia Gerit S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Dario Buzzelli

Data pubblicazione: 24/11/2017

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Alcide de
Gasperi, n. 21;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,
n. 194/29/2009, depositata il 21 settembre 2009;

2017 dal Consigliere Emilio Iannello.
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Tommaso Basile, che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
Rilevato che Stefano Pascucci ricorre con tre mezzi nei confronti
dell’Agenzia delle entrate e di Equitalia Gerit S.p.A. (che resistono
con controricorsi) avverso la sentenza in epigrafe con la quale la
Commissione tributaria regionale del Lazio — pronunciando in
controversia relativa all’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi su
istanze di autotutela e di sgravio presentate in relazione a tributi
portati da cartelle esattoriali di cui il predetto assumeva l’omessa
notifica o la prescrizione — ha rigettato l’appello del contribuente,
ritenendo corretta la decisione di primo grado che aveva giudicato
inammissibili i ricorsi in ragione della definitività delle cartelle
esattoriali derivante dalla loro mancata tempestiva impugnazione;
che il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1
cod. proc. civ.;
considerato che, con il primo motivo di ricorso, il contribuente
denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3, 4 e 5, cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ.,
2697 e 2969 cod. civ., 1 d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito, con
modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156, nonché vizio di
motivazione, per avere la C.T.R.:
a) omesso di pronunciare sul motivo di gravame con il quale si

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Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 settembre

iterava l’eccezione di decadenza della pretesa erariale per omessa
notifica delle cartelle esattoriali e si censurava la decisione di primo
grado per aver rigettato i ricorsi in mancanza di prova dell’avvenuta
notifica delle cartelle;
b) adottato comunque — a ritenere l’esistenza di una pronuncia

— una motivazione insufficiente, risultando anche quella
insufficientemente motivata e inoltre contraddittoria posto che la
questione controversa non era se le cartelle fossero state
tempestivamente impugnate ma se le stesse fossero state notificate
al contribuente nei termini di legge;
e) violato i canoni legali in punto di onere probatorio oltre che le
norme che dettano i termini della notificazione delle cartelle, per aver
omesso di considerare che spettava agli enti convenuti dare prova
della tempestiva notifica delle stesse;
che con il secondo motivo il ricorrente svolge analoghe censure, ai
sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., con
riferimento al tema costituito dalla prescrizione dei crediti portati da
alcune delle cartelle in questione (eccepita per essere state le stesse
notificate oltre dieci anni prima della data di presentazione
dell’istanza di sgravio), tema che egli assume non preso in esame dai
giudici d’appello ovvero implicitamente rigettato sulla base di
motivazione insufficiente e contraddittoria e, comunque, in violazione
dei canoni di riparto dell’onere probatorio;
che con il terzo motivo il ricorrente deduce infine violazione e
falsa applicazione degli artt. 54 e 23 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
546, nonché vizio di omessa pronuncia, in relazione all’art. 360,
comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R.
affermato in motivazione l’infondatezza della domanda — accolta in
primo grado — di rimborso delle somme versate in adesione al
condono fiscale ex lege 30 dicembre 1991, n. 413, senza pronunciarsi
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sul punto mediante rinvio per relationem alla sentenza di primo grado

in alcun modo sulla eccezione di inammissibilità dell’appello
incidentale in quanto sul punto tardivamente proposto dall’Agenzia
delle entrate e comunque omettendo di rilevarne la tardività;
ritenuto che è infondato il primo motivo di ricorso — il quale,
giova ripetere, investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha

contribuente avverso il silenzio rifiuto formatosi su istanze di sgravio
o annullamento in autotutela di crediti portati da cartelle esattoriali:
istanze a loro volta motivate dall’assunto della mancata tempestiva
notifica delle cartelle medesime;
che tale decisione deve ritenersi conforme a diritto, sebbene per
considerazioni diverse e preliminari rispetto a quelle poste a base
della sentenza, la quale va pertanto soltanto corretta in motivazione
ai sensi dell’art. 384, comma quarto, cod. proc. civ.;
che si rivela, invero, prioritario e assorbente il rilievo — anch’esso
conducente alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi introduttivi
per difetto dell’atto impugnabile, quale presupposto processuale —
della non impugnabilità dei provvedimenti, espliciti o impliciti, assunti
su istanze di autotutela rivolte all’amministrazione finanziaria: rilievo
questo che non può considerarsi precluso nella specie atteso il (non
incompatibile) tenore del dispositivo adottato nelle decisioni di merito
e operabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass.
05/07/2017, n. 16520; Cass. 11/11/2016, n. 22997; Cass.
30/11/2012, n. 21356);
che occorre al riguardo invero ribadire il principio affermato da
Cass., Sez. U, 16/02/2009, n. 3698, secondo il quale «in tema di
contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il
rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto
definitivo, non rientra nella previsione di cui all’ art. 19 del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, sia per la
discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo

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confermato la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti dal

caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile
controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo»
(v. anche da ultimo Cass. 06/07/2016, n. 13757; Cass. 15/04/2016,
n. 7511);
che identico rilievo deve condurre al rigetto anche del secondo

parte in cui ha confermato la declaratoria di inammissibilità di altro
ricorso proposto dal contribuente avverso il silenzio rifiuto formatosi
su istanza di sgravio o annullamento in autotutela di crediti portati da
cartelle esattoriali: istanze a loro volta motivate dall’assunto della
maturata prescrizione del credito;
che va invece dichiarato inammissibile il terzo motivo per difetto
di interesse, postulando esso una inesistente statuizione di riforma
della sentenza di primo grado nella parte in cui essa aveva
parzialmente accolto la domanda del ricorrente tesa al rimborso di
somme versate in adesione al condono ex lege 30 dicembre 1991, n.
413;
che tale statuizione, invero, non è ricavabile dal dispositivo della
sentenza, il quale si limita a rigettare l’appello del contribuente, senza
pronunciare in alcun modo sull’appello incidentale
dell’amministrazione che quella riforma aveva richiesto;
che nessun rilievo al riguardo può invece assegnarsi alle
considerazioni svolte in motivazione che, benché chiaramente svolte
nel segno della ritenuta fondatezza dell’appello sul punto proposto
dall’Ufficio, non trovano poi però alcun riscontro nella parte
dispositiva della sentenza, non essendo pertanto consentito
ricostruire il contenuto performativo della decisione d’appello sulla
sola base delle prime;
che deve pertanto pervenirsi al rigetto del ricorso, con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore delle
controparti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate
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motivo di ricorso, anch’esso investendo la sentenza impugnata nella

come da dispositivo;
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore
delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida, per ciascuna di esse, in Euro 2.800 per compensi, oltre, per

Gerit S.p.A., alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed
agli accessori di legge.
Così deciso il 13/9/2017
Il Presidente

l’Agenzia delle entrate, alle spese prenotate a debito e, per Equitalia

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