Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28068 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 31/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 31/10/2019), n.28068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4891/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Barbiero Spa, rappresentata e difesa dall’Avv. Enrico Edoardo Angelo

Canepa, con domicilio eletto presso l’Avv. Beatrice Aureli, in Roma

via G. Paisiello 26/A/7delle Milizie n. 106, giusta procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia sez. staccata di Brescia n. 4207/65/16, depositata il 14

luglio 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 maggio

2019 dal Consigliere Dott. Fuochi Tinarelli Giuseppe.

Lette le conclusioni depositate dal Sostituto Procuratore generale

Ettore Pedicini che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– Barbiero Spa impugnava due avvisi di rettifica, e il conseguente atto di irrogazione di sanzioni, emessi nei suoi confronti quale rappresentante indiretto delle società Alpexport Srl e F.lli Vedani Srl in relazione a 32 dichiarazioni doganali di importazioni del 2010 di silicio metallico, dichiarate, con certificazioni false, di origine non preferenziale di Taiwan e, invece, di provenienza cinese e, quindi, soggette a dazio antidumping;

– l’impugnazione era accolta dalla CTP di Brescia; la sentenza era confermata dal giudice d’appello;

– l’Agenzia delle dogane ricorre per cassazione con due motivi;

resiste Barbiero Spa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– è infondata, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse per intervenuta cessazione della materia del contendere che ha riguardato – come emerge dalla sentenza impugnata – esclusivamente le pretese daziarie di cui all’avviso di accertamento 28171/RU/2012 (erroneamente indicato in dispositivo con il numero 28172, da riferirsi, invece, al corrispondente atto di rettifica definito dall’importatore), mentre il ricorso investe le ulteriori pretese e l’atto di irrogazione delle sanzioni avuto riguardo alla totalità delle importazioni;

– è infondata l’eccezione di giudicato in relazione alle sanzioni: la CTR, infatti, ha ritenuto assorbita ogni questione dalla decisione sulla posizione soggettiva del rappresentante indiretto rispetto agli atti impositivi, ossia proprio dalla statuizione oggetto di esplicita impugnazione;

– è infine inammissibile – per carenza di specificità e per difetto di autosufficienza – l’asserita sopravvenuta carenza di interesse rispetto all’altro atto impositivo per l’intervenuto pagamento del debito, che è solo affermata e resta priva di ogni riscontro;

– il primo motivo denuncia violazione degli artt. 201, 202 CDC e D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 12 per aver escluso la configurabilità della responsabilità del contribuente, quale rappresentante indiretto, con erronea riconduzione della fattispecie nell’ambito dell’art. 202 CDC;

– il motivo è fondato;

– nella vicenda in esame è incontroverso che le importazioni sono avvenuta in base alla presentazione di dichiarazioni doganali, ancorchè con la falsa attestazione dell’origine non preferenziale di Taiwan, sicchè la fattispecie resta sussunta nell’art. 201 CDC (v. anche Cass. n. 5560 del 26/02/2019);

– va infatti rilevato che l’art. 4 CDC, punto 9, definisce l’obbligazione doganale come l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo dei dazi all’importazione applicabili a una determinata merce, sicchè è l’immissione in libera pratica, ossia l’atto di introdurre, nel territorio comunitario, merce di provenienza extracomunitaria, che rappresenta il presupposto dell’obbligazione doganale;

– tale atto, nelle operazioni doganali regolari, è preceduto dalla dichiarazione doganale, che costituisce la manifestazione di volontà dell’importatore (o, comunque, dell’operatore che la presenta) di rendere liberamente commerciabili i beni esteri in un mercato diverso da quello di origine, e tale fattispecie è espressamente regolata dall’art. 201 CDC;

– l’art. 202 CDC, invece, prevede che l’obbligazione doganale sorge con l’immissione in libera pratica nel territorio comunitario anche nei casi di “introduzione irregolare” e di “sottrazione indebita al controllo doganale”;

– in altri termini, nelle ipotesi contemplate dall’art. 201 CDC la nascita dell’obbligazione è collegata – come per la vicenda in esame – alla dichiarazione doganale, mentre negli altri casi, venendo a mancare l’elemento dichiarativo e l’indicazione della destinazione della merce, opera una presunzione legale di immissione in libera pratica;

– la CTR, inoltre, ha inesattamente invocato la sentenza della Corte di Giustizia, 2 marzo 2005, C-195/03, che si riferisce all’ipotesi, radicalmente differente, in cui la dichiarazione doganale fornisca una rappresentazione delle merci del tutto irreale;

– ne deriva che il rappresentante indiretto è, in quanto tale, soggetto passivo dell’obbligazione doganale in pari misura rispetto all’importatore;

– il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 202 (rectius: 220) CDC per aver ritenuto l’errore attivo dell’Amministrazione doganale e la buona fede del rappresentante;

– il motivo è fondato;

– occorre precisare, in primo luogo che l’art. 220 CDC, par. 2, lett. b, prevede che le autorità competenti non procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione solo qualora ricorrano tre condizioni cumulative, ossia che: i dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti stesse; l’errore commesso da queste ultime sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede; quest’ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana;

– la Corte di Giustizia, invero, è costante nell’affermare la necessaria ricorrenza di tutte e tre le condizioni, affermazione che integra un orientamento da lungo tempo assolutamente consolidato (v. Corte di Giustizia, sentenza 12 luglio 1989, in C-161/88, Binder, punti 15 e 16; sentenza 14 maggio 1996, C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a., punto 83; sentenza 18 ottobre 2007, in C173/06, Agrover Srl, punto 30; sentenza 17 dicembre 2014, in C3/13, Baltic Agro AS, punto 35; sentenza 26 ottobre 2017, in C407/16, “Aqua Pro” SIA), e stabilmente seguita dalla Corte di cassazione (v. da ultimo Cass. n. 6131 del 01/03/2019; Cass. n. 7775 del 20/03/2019);

– dai reiterati e chiari interventi della Corte sulla questione emergono, in particolare, i seguenti principi:

a) debbono ricorrere tutte e tre le condizioni di cui all’art. 220 CDC, comma 2, lett. b;

b) la semplice falsità della dichiarazione d’origine legittima l’azione di recupero dei dazi;

c) non costituisce, di per sè, errore attivo il rilascio di una certificazione falsa e ciò, in ispecie, se sia stata determinata da una falsa rappresentazione in fatto dell’esportatore;

d) per ritenere, in questo caso, l’errore imputabile all’autorità emittente occorre provare che essa sapeva o doveva sapere che le merci non soddisfacevano le condizioni richieste per beneficiare del trattamento preferenziale;

e) occorre provare, inoltre, che un simile errore non poteva ragionevolmente essere conosciuto dal debitore in buona fede;

f) l’onere della prova di tutti gli indicati elementi incombe sull’operatore;

g) gli operatori economici, in relazione alla loro esperienza professionale e al grado di diligenza che necessariamente l’accompagna, devono munirsi di tutti gli elementi attestanti la corretta applicazione del regime preferenziale, ivi compresa l’origine delle merci;

h) gli obblighi di diligenza, e i relativi oneri, non si spingono, normalmente, fino a richiedere la verifica sistematica di tutte le circostanze del rilascio del certificato e del ruolo dell’esportatore;

i) ove, peraltro, sussistano circostanze che inducano a dubitare dell’esattezza di un certificato d’origine, è richiesta la massima diligenza possibile, che, parimenti, va provata dall’operatore;

– ne deriva, in particolare, che il mero sdoganamento della merce non è idoneo ad integrare un comportamento “attivo”, che richiede che sia stata l’Amministrazione a porre in essere i presupposti sui quali riposa il legittimo affidamento del debitore, mentre, nella specie, è stato lo stesso esportatore a fornire una erronea e falsa rappresentazione dei fatti, da cui il rilascio di certificazioni d’origine false, poi allegate dall’importatore;

– quanto poi alla posizione del rappresentante indiretto va ribadito che “in tema di esenzione dai dazi doganali in ragione dell’origine preferenziale delle merci, grava anche sul rappresentante indiretto dell’importatore l’obbligo di vigilare – con la diligenza qualificata da ragguagliare, ex art. 1176 c.c., comma 2, alla natura dell’attività esercitata – sull’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore allo Stato di esportazione, al fine di evitare abusi, posto che l’Unione Europea non è tenuta a subire le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini, rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali” (Cass. n. 3739 del 08/02/2019; Cass. n. 4059 del 12/02/2019; Cass. n. 5560 del 26/02/2019; Cass. n. 12719 del 23/05/2018);

– orbene la CTR non si è attenuta ai sopra esposti principi di diritto avendo, da un lato, ritenuto configurabile l’errore attivo della autorità doganale per il mero fatto che nessuna contestazione era stata mossa al momento dell’importazione e senza in alcun modo soffermarsi che l’errore era dipeso da una falsa rappresentazione dell’esportatore, e, dall’altro, ritenendo la buona fede senza considerare (e, anzi, negandone aprioristicamente la sufficienza) la doverosa diligenza professionale richiesta (e i conseguenti oneri di informativa che la compongono);

– in accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra esposti e provvederà anche all’esame delle questioni rimaste assorbite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 31 ottobre 2019

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