Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28068 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 21/12/2011), n.28068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18642-2007 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BAIAMONTI

2, presso lo studio dell’avvocato BLASI PAOLO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

– MINISTERO DELLA SANITA’ in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 27, presso

l’Avvocatura Regionale e lo studio dell’avvocato COLLACCIANI ANNA

MARIA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3653/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/07/2006 r.g.n. 8443/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.G., deducendo di aver subito un’infermità a causa di somministrazioni infette, ha convenuto in giudizio il Ministero della Salute e la Regione Lazio per il pagamento dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992.

2. Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda, con decisione che la Corte di Appello di Roma, con sentenza dell’11 luglio 2006, dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Regione, ha confermato, aderendo alla consulenza tecnica espletata in primo grado e disattendendo la consulenza espletata in sede di gravame, per l’effetto rigettando il gravame del S..

3. Avverso questa pronuncia S. propone ricorso per cassazione con due motivi cui hanno resistito con controricorso il Ministero della Salute e la Regione Lazio, con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. della Regione, con costituzione di nuovo difensore.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Censura la sentenza impugnata per aver la corte di merito ritenuto di non poter fondare la decisione sulla consulenza tecnica espletata in sede di gravame perchè basata su criteri di valutazione analogica della patologia, aderendo, contraddittoriamente, al primo elaborato peritale argomentato proprio su criteri analogici.

5. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 25 febbraio 1992, n. 210, in realtà censurando nuovamente la motivazione della corte territoriale per non aver aderito alle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico in sede di gravame nel senso dell’ascrivibilità della patologia accertata (epatomegalia ed epatite cronica per infezione latente) alla categoria 8^ della tabella A con conseguente diritto all’indennizzo. Entrambi i motivi si concludono con la formulazione dei quesiti di diritto con i quali si chiede alla Corte di dire se la L. n. 210 cit. tutela il diritto all’indennizzo da parte dello Stato a soggetti che presentino danni irreversibili all’integrità psicofisica richiedendo il nesso causale tra la trasfusione e la conseguente menomazione; e se l’accertamento del danno indennizzabile deve sempre essere riferito al criterio della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto, specialmente quando una certa patologia sia di difficile valutazione in relazione a quanto previsto dalla tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981.

6. Le censure non sono fondate.

7. Va, innanzitutto, richiamato l’orientamento elaborato con la pronuncia n. 8064 del 1 aprile 2010 dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, nel risolvere un contrasto di giurisprudenza hanno affermato che “la L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, letto unitamente al successivo art. 4, comma 4, deve interpretarsi nel senso che prevede un indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali sempre che tali danni possano inquadrarsi, pur alla stregua di un mero canone di equivalenza, e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare, in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, rientrando nella discrezionalità del legislatore, compatibile con il principio di assistenza sociale (art. 2 Cost.) e con il diritto a misure di assistenza sociale (art. 38 Cost.), la previsione di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti sanitari non prescritti dalla legge o da provvedimenti dell’autorità sanitaria”.

8. Nella specie la Corte d’appello, in sintonia con il principio di diritto appena affermato, ha recepito le conclusioni del consulente tecnico nominato in primo grado, che ha accertato la natura angiormatosa e, pertanto, slegata dalla sofferta epatite virale di tipo B, nell’area ipodensa di forma grossolanamente rotondeggiante, con diametro massimo di 3 cm, evidenziando l’esistenza di un fegato ingrossato con segni di sofferenza generica ovvero un situazione di “minor rilievo” rispetto a quella di un’epatopatia cronica con valori di funzionalità epatica alterati non ascrivibile, pertanto, ad alcuna categoria di quelle previste dalla menzionata tabella A ove non sono previste voci relative alle epatopatie nelle varie forme e l’ascrivibilità tabellare all’8^ categoria è prevista solo per l’epatite cronica persistente con valori di funzionalità epatica alterati.

9. Le contrarie affermazioni del ricorrente, secondo cui, sulla base delle conclusioni del consulente officiato in sede di gravame, non residuerebbero dubbi sul fatto che l’interessato, a seguito della patologia accertata, abbia riportato un danno alla propria integrità psicofisica inquadrabile nella categoria 8^ della tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981, si risolvono nella contestazione diretta (inammissibile in questa sede) del giudizio di merito, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento, come sopra accennato, all’impossibilità di inquadrare le patologie riscontrate dal consulente officiato in primo grado, sia pure alla stregua di un canone di equivalenza, in una delle otto categorie di cui alla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834.

10. La motivazione della Corte territoriale, che ha fatto proprie le osservazioni della prima consulenza tecnica con adeguata argomentazione, si sottrae, pertanto, alle censure che le vengono mosse.

11. Come ripetutamente affermato da questa Corte ed ora ribadito, “qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, affinchè i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico; al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in un’inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice” (v.

ex multis, Cass. 11894/2004).

12. Peraltro, come pure è stato precisato “rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità” (ex multis, Cass. 4660/2006), neppure sotto il profilo della carenza di motivazione quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza risulti comunque l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta (ex multis, Cass. 5277/2006), o l’adesione alle conclusioni del consulente officiato nel primo grado piuttosto che alle conclusioni del consulente nominato in sede di gravame.

13. Orbene nella fattispecie, la Corte di merito, con dovizia di riferimenti, ha richiamato le conclusioni dei consulenti officiati nel corso del giudizio ed attentamente considerato le doglianze dell’appellante avverso il primo elaborato peritale, all’uopo comparando le conclusioni rassegnate dagli ausiliari e ritenendo adeguatamente motivate e immuni da vizi logici le conclusioni del primo consulente argomentate con specifico riferimento alle ipotesi previste dalla tabella A allegata al D.P.R. n. 834 cit..

14. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

15. Non si deve provvedere sulle spese del presente giudizio, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, modifica qui non applicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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