Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28065 del 24/11/2017


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 28065 Anno 2017
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: NOCERA ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VILLOSIO Giovenale, Beltrando Maria, Villosio Riccardo
agricola semplice Il Convento,

amministratori
VILLOSIO,

e dalla società

con sede in Savignano, in persona dei soci

sigg. Sergio VILLOSIO, Daniele VILLOSIO, Federico

tutti difesi, come da mandato a margine del ricorso, dall’avv.

Mara Vurchio e dall’avv. Francescoantonio Borello, elettivamente
domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla Via di Vigna
Fabbri n. 29.
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 24/11/2017

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE,

Direzione provinciale di Cuneo, in persona del

legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

— controricorrente —

avverso la sentenza n. 44/30/2010 della Commissione tributaria regionale
del Piemonte, depositata il 10.06.2010, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9
novembre 2017 dal dott. Andrea Nocera;
udito per il controricorrente l’Avvocato dello Stato Beatrice Fiduccia
che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mauro
Vitiello che ha concluso per il rigetto del ricorso

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.Con sentenza depositata il 10 giugno 2010, la Commissione tributaria regionale del Piemonte,
confermando la decisione di primo grado, ha respinto il ricorso proposto dai sigg. Giovenale Villosio, Maria
Beltrando, Riccardo Villosio e da Il Convento società agricola semplice, avverso un avviso di liquidazione col
quale l’Agenzia delle entrate, ufficio di Cuneo, aveva provveduto a richiedere le maggiori imposte di
registro, ipotecaria e catastale su un atto di conferimento di un’azienda agricola, comprendente terreni e
fabbricati nei comuni di Savigliano, Cavallermaggiore, Fosano e Genola, altri cespiti mobiliari e debiti e
passività aziendali, nella società agricola semplice Il Convento. Nella specie, con atto stipulato il 4.3.2005 i
sigg. Sergio Villosio, Riccardo Villosio, Giovenale Villosio, Beltrando Maria, Daniele Villosio e Federico
Villosio, componenti unica azienda familiare diretto-coltivatrice, costituivano la società agricola Il Convento,
nella quale Daniele Villosio e Federico Villosio conferivano una somma di denaro e gli altri soci le proprie
quote di proprietà dell’azienda agricola familiare. Con successivo atto del 7.12.2005 i sigg. Giovenale
Villosio, Beltrando Maria e Riccardo Villosio cedevano a Sergio, Daniele e Federico Villosio le proprie quote
di partecipazione nella neocostitituita società agricola semplice.
La CTR ha condiviso l’atto tributario che aveva qualificato l’intera vicenda come cessione di immobili,
effetto giuridico finale prodotto da una pluralità di negozi collegati, in luogo del dichiarato conferimento di
azienda agricola. Nella specie, ha rilevato: 1. l’inconsistenza dell’azienda agricola per la carenza di dotazione
di beni fondi, attrezzature, giacenze di materie prime e scorte vive; 2. il collegamento negoziale tra i due

rappresenta e difende ope legis.

atti (costituzione della società con conferimento di azienda agricola e cessione di quote), espressivo di “una
vera e propria compravendita di immobili”, pur non potendo dichiararsi l’operazione “espressamente
elusiva ex art. 176, comma 3, TUIR”; 3. la necessità di dare prevalenza, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n.
131/1986 alla causa reale dell’assetto cartolare; 4. l’insussistenza di presupposti e condizioni applicando
l’imposta proporzionale per le società qualifica IAP e negando le agevolazioni per le agevolazioni previste
dal D. Lgs. n. 99 del 2001 per la cessione dei fondi rurali.
Per la cassazione della sentenza, ricorrono le parti contribuenti affidando le proprie doglianze a

quattro

motivi.
Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle entrate.

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986

e degli artt. 50 e 4, comma 1, lett. a) n. 3 della Tariffa, parte prima, allegata al citato d.P.R., in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Osservano i ricorrenti che la CTR, nel confermare le valutazioni espresse dalla CTP, ha riconosciuto al citato
art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 “una portata antielusiva” qualificando i due atti di costituzione della società
agricola semplice con conferimento e di cessione di quote come una vera e propria compravendita di
immobili, sulla base della carenza “in dettaglio del distinto valore della immobilizzazioni, delle scorte,
impianti e attrezzature agricole”.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omessa e insufficiente motivazione circa il fatto decisivo
per la .controversia concernente l’erronea interpretazione dell’oggetto della cessione, qualificato come
vendita di beni immobili in luogo di conferimento di azienda, nella parte in cui si afferma che “il
conferimento di azienda e la successiva cessione di quote concretizzano un effettivo trasferimento di beni”
e si individua il valore del corrispettivo, base imponibile per la tassazione, anche in relazione ai “cespiti
aziendali conferiti”.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso di deduce la carenza e contradditorietà della motivazione della sentenza
nella parte in cui la CTR si è “limitata a condividere la valutazione in ordine alla qualificazione dell’oggetto
del conferimento, ovvero d’immobile e non d’azienda e ciò per la inesistenza di perizia di stima asseverata”.
In tal modo ha ritenuto erroneamente “prevalente” il criterio del valore commerciale degli immobili su
quello della loro strumentalità per l’azienda, invece di qualificare la fattispecie negoziale come
conferimento di immobile — e non vendita — soggetto alla aliquota agevolata del 4% prevista per la piccola
proprietà contadina.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione di legge in relazione al disconoscimento delle
agevolazioni fiscali di cui agli artt. 2 e 4 del D. Lgs. n. 99 del 2004. Si evidenzia, in particolare, riproponendo
uno dei motivi di appello, che secondo le disposizioni della “normativa regolamentare piemontese
….esplicitamente escludono la necessità di un durevole legame tra soggetto ed immobile per legittimare
l’IAP alle agevolazioni in discussione” e che, alla luce della risoluzione numero 3/E del 4 gennaio 2008
dell’Agenzia delle entrate, non è richiesto “tra i requisiti agevolativi né l’effettiva conduzione del fondo da
parte della società né la disamina dell’attività svolta, al di là della previsione statutaria esclusiva
dell’oggetto agricolo.

2.1. I primi due motivi, suscettibili di trattazione unitaria, sono infondati.

Occorre evidenziare che la prima censura non coglie la ratio della decisione, focalizzando il momento di
critica su di un solo aspetto, peraltro non decisivo, della articolata motivazione della sentenza.
La CTR, infatti, nel qualificare l’operazione di conferimento di azienda seguita dalla cessione di quote come
vendita di beni immobili, ha ritenuto che essa possa essere dichiarata “non elusiva nei termini del c. 3
dell’art. 176 TUIR”, che è “riferito all’imposizione diretta del reddito delle società commerciali e prevede la

RAGIONI DELLA DECISIONE

non elusività qualora siano rispettate condizioni specifiche e specifici fini”, atteso che lo schema negoziale
utilizzato dai contraenti, pur potendo essere neutro ai fini della imposizione diretta, non lo è nel caso di
specie ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale.
Inoltre, rivendicando al proprio potere discrezionale l’individuazione del negozio giuridico finale e la
determinazione ella effettiva volontà delle parti, nella riconosciuta prevalenza ex art. 20 del d.P.R. n. 131
del 1986, alla causa reale del collegamento negoziale rispetto all’assetto cartolare, ha riconosciuto nella
compravendita di immobili “il vero scopo della transazione”.
In materia si è formato un solido orientamento giurisprudenziale di legittimità (tra le molte: Cass. nn.
10216/16; 24594/15; 1955/15; 3932/14; 3481/14; 16345/13; 15319/13; 14150/13), i cui passaggi essenziali

– il criterio in oggetto, reso speciale ed autonomo dalla sua funzionalità alla piena attuazione del precetto
fiscale, pur non elidendo i criteri ermeneutici generali di cui agli articoli 1362 e ss. cod. civ., si sovrappone
ad essi nel dare preminenza, sulla volontà delle parti comunque ricostruibile, alla intrinseca natura ed agli
effetti giuridici dell’atto così come da quest’ultimo testualmente ed obiettivamente evincibili; con
conseguente irrilevanza di elementi interpretativi di natura soggettiva ovvero extratestuale (che in ciò si
caratterizza la natura di ‘imposta d’atto’ attribuibile all’imposta di registro);
– il mancato ricorso da parte del giudice di merito ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ.
non implica dunque, di per sé, la censurabilità della decisione impugnata sotto il profilo della violazione o
falsa applicazione di legge, trattandosi di valutare tale decisione nella sua conformità non già a quei criteri
(incentrati sulla ricostruzione della volontà negoziale delle parti), bensì al parametro fondamentale di cui
all’articolo 20 in esame (basato, come detto, sull’ intrinseca natura dell’atto e sugli effetti giuridici da esso
‘obiettivamente scaturenti’, più che sugli effetti ‘voluti’ dalle parti contraenti);
– la prevalenza che quest’ultima disposizione attribuisce, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, alla
natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi rispetto al loro titolo ed alla loro forma apparente,
costituisce non già una mera opzione interpretativa tra tante, ma un preciso vincolo per l’interprete,
chiamato in ogni caso a privilegiare il dato giuridico reale dell’effettiva causa negoziale e degli obiettivi
effetti giuridici dell’atto sottoposto a registrazione, a scapito del relativo assetto nominale o cartolare.
Questo rapporto vincolante di preminenza che, operando solo sul piano fiscale, lascia intatta sul piano
privatistico la centralità della volontà delle parti e della libera determinazione della loro autonomia
negoziale, opera anche – venendo, con ciò, al nucleo fondamentale della censura qui in esame – allorquando
tale autonomia negoziale trovi estrinsecazione frazionata (eventualmente pur in assenza di un intento
elusivo o fraudolento, non essendo quest’ultimo coessenziale al parametro ricostruttivo in esame)
mediante più atti negoziali che il giudice di merito ritenga, nell’accertamento di una tipica quaestio facti, tra
loro collegati; trattandosi, anche in tal caso, di individuare a fini impositivi l’eventuale unitarietà di causa e
convergenza di effetti giuridici finali ascrivibili al regolamento negoziale come desumibile dall’insieme degli
atti medesimi, ancorchè connotati da oggetto diverso.
L’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 costituisce, dunque, norma interpretativa che indica la prevalenza, ai fini
fiscali, della causa reale della volontà negoziale e della regolamentazione degli interessi effettivamente
perseguita sull’assetto cartolare impresso dai contraenti, non risultando decisiva, in ipotesi di plurimi
negozi collegati, la rispettiva differenza di oggetto (ex multis, Cass. n. 10216/16; n. 3481/14; n. 6835/13; n.
9541/13; n. 14150/13; n. 17965/13).
Inoltre, quanto alla pretesa erronea individuazione della elusività dell’operazione, secondo il consolidato
orientamento di questa Corte, il collegamento negoziale tra atto di costituzione della società agricola e
successiva cessione delle quote, a prescindere dalla individuazione della causa reale delle due operazioni
negoziali — cessione di azienda o di beni immobili – “non costituisce operazione elusiva, per cui non grava
sull’Amministrazione l’onere di provare i presupposti dell’abuso di diritto, atteso che i termini giuridici della

possono così riassumersi:

questione sono già tutti desumibili dal criterio ermeneutico di cui al citato art. 20” (Cass. Sez. 5, Sentenza n.
3481 del 14/02/2014; in termini Cass. 1955/15; 11769/08; 10660/03 ed altre).
La CTR ha fatto corretto uso dei citati canoni interpretativi e, ha ritenuto chiara e sufficientemente
dimostrata la reale volontà dei contraenti che, attraverso due distinti negozi giuridici, aventi diversa causa
ed oggetto, hanno realizzato un’unica operazione di compravendita di immobili, attesa la non idoneità dei
beni e diritti trasferiti a rappresentare un complesso aziendale agricolo.
Del resto, la cessione agli altri soci delle quote della neocostituita società da parte degli originari conferenti
gli immobili aziendali — per la non provata esistenza di dotazioni aziendali strumentali – realizza i medesimi
effetti della cessione degli stessi.
L’individuazione di un fattispecie negoziale di cessione degli “immobili rurali, in realtà locati a terzi”, alla
società “Il Convento”, qualificata dalla CTR come “società immobiliare” che “non esercita alcuna attività
agricola” limitandosi a concedere a terzi in affitto i fondi rustici, rende non applicabile la richiesta
tassazione agevolata con aliquota fissa al 4% che riguarda la cessione dei terreni tra imprenditori che
svolgano effettivamente attività agricola.
In merito questa Corte ha affermato che l’art. 2 del d.lgs. n. 99 del 2004, nel parificare il trattamento fiscale
tra persona fisica con qualifica di coltivatore diretto e società con qualifica di imprenditore agricolo
professionale, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni, presuppone, comunque, il rispetto delle
condizioni oggettive, necessarie al fine di promuovere il riordino della piccola proprietà contadina, stabilite
dalla I. n. 604 del 1954, che prevede, tra l’altro, all’art. 7 la decadenza del beneficio per coloro che non
coltivino direttamente il fondo, ritenendo corretta la decadenza dall’agevolazione quando il fondo sia
concesso in affitto a terzi alla data dell’atto (Sez. 5, n. 21609 del 2016).
3. Per i motivi sopra esposti il ricorso deve essere rigettato, con conferma della sentenza impugnata.
4. Alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti alle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese del giudizio di legittimità
alla controricorrente, che liquida in C 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Cos í deciso in Roma, il 9 novembre 2017.

2.2. — Anche il terzo e il quarto motivo di ricorso, suscettibili di trattazione congiunta, sono infondati.

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