Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28063 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 31/10/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 31/10/2019), n.28063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6309/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (c.f. (OMISSIS)) in persona del

Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato con sede in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

ALPERIA SMART SERVICES s.r.l., già AZIENDA ENERGETICA TRADING

(A.E.T.) s.r.l., (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta in atti

dall’avv. prof. Paolo Puri (PEC paolopuri.ordineavvocatiroma.org) e

dall’avv. Alberto Mula (PEC albertomula.ordineavvocatiroma.org) con

domicilio eletto presso lo studio dei ridetti difensori in Roma,

alla via XXIV Maggio n. 43;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia sez. distaccata di Brescia n. 3779/67/15 depositata il

04/09/2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

02/10/2019 dal consigliere Roberto Succio;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

procuratore generale Umberto De Augustiniis che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

uditi l’avvocato dello Stato Anna Collabolletta e l’avvocato Alberto

Mula che hanno chiesto rispettivamente l’accoglimento e il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Azienda Energetica Trading s.r.l., ora Alperia Smart Service s.r.l., quale rivenditore a privati di energia elettrica, impugnava il diniego di rimborso formulato dall’Agenzia delle Dogane competente avente per oggetto la somma di Euro 34.288,67 relativa ad addizionale provinciale sull’accisa versata, derivante dalla compensazione tra crediti e debiti di tal tributo maturati nel periodo tra il 2008 e il 2012.

L’Erario riteneva, in sintesi, maturato il termine di decadenza biennale di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14, (c.d. TUA), stante la presentazione dell’istanza di rimborso in data 23 luglio 2012, mentre il termine era scaduto in data 30 marzo 2011, due anni dopo la presentazione della dichiarazione di consumo 2008, presentata il 30 marzo 2009, anno nel quale era venuto a formarsi il credito poi riportato nelle dichiarazioni seguenti.

La contribuente, viceversa, sosteneva la decorrenza del termine dall’ultima dichiarazione presentata a credito.

La CTP di Brescia accoglieva il ricorso; l’Ufficio appellava la sentenza di fronte alla CTR della Lombardia, sez. staccata di Brescia, che confermava la pronuncia di primo grado.

Ricorre a questa Corte l’Amministrazione doganale con atto affidato a tre motivi; resiste la contribuente A.E.T. con controricorso che illustra con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 428 del 1990, art. 29, comma 4, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR ritenuto inammissibile l’istanza di rimborso della società contribuente in quanto non presentata anche all’Agenzia delle Entrate, come prescritto dalla disposizione surrichiamata.

Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto la CTR che incombesse sull’Erario dedurre prima e fornire la prova poi che il tributo chiesto a rimborso abbia concorso a determinare il reddito d’impresa. Va esaminato per primo il secondo mezzo di gravame, per le ragioni che si vedranno: invero dal suo rigetto discende il venir meno dell’interesse di parte ricorrente alla decisione sul primo motivo di ricorso, con conseguente dichiarazione di inammissibilità di quest’ultimo motivo.

La giurisprudenza in questo ambito ha definito un importante principio (sulla base della regola comunitaria secondo cui la traslazione in sè non legittima mai il rifiuto di rimborso se non comporta per l’operatore “anche” un arricchimento senza causa), (CGE, 2 ottobre 2003, causa C147/01, Weber’s Wine) e cioè che l’arricchimento ingiustificato non può essere presunto in via automatica dalla mera inclusione del tributo nel prezzo. Tale aumento potrebbe infatti determinare per l’operatore economico una flessione delle vendite (come in ipotesi di offerte e/o domande espresse per “consumi non essenziali”) mentre solo ove la domanda si presentasse anelastica (o rigida) perchè determinata da un bisogno generalizzato di utilizzo di quel prodotto (insostituibile con succedanei destinati a svolgere la stessa funzione) non sarebbe prefigurabile un reale pregiudizio economico per l’operatore.

Non certo, direi, si può quindi attribuire vis probatoria alla mera descrizione operata dal contribuente della propria attività, come si sostiene a pag. 17 del ricorso, alla luce di quanto sopra.

Era onere invero dell’Ufficio, come ha correttamente ritenuto la sentenza qui impugnata, e come chiaramente ha stabilito questa Corte (Cass. Sez. 5, sent. n. 19618 del 1 ottobre 2015), che contestava il relativo diritto, l’onere di provare sia l’avvenuta traslazione del tributo sia l’esistenza di un effettivo arricchimento a vantaggio dell’operatore in conseguenza del rimborso, trattandosi di fatti impeditivi e non costitutivi.

Non solo, in concreto, non risulta adempiuto l’onere, ma la circostanza non risulta neppure esser stata chiaramente dedotta.

Il rigetto del secondo motivo, nei termini di cui si è detto, provoca il venir meno di ogni interesse dell’Amministrazione Doganale quanto al motivo che lo precede.

In ogni caso, lo stesso primo motivo è comunque infondato.

La disposizione che rileva, L. n. 428 del 1990, art. 29, prevede infatti al comma 2, che “i diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti”; si aggiunge poi al comma 4, che “la domanda di rimborso dei diritti e delle imposte di cui ai commi 2 e 3, quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa, deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza”;

Orbene, è di tutta evidenza come debba escludersi che l’addebito ai clienti dell’addizionale in oggetto, da parte della ricorrente che agisce come grossista immettendo in consumo, possa rilevare ai fini della determinazione del reddito d’impresa.

Tal addizionale, in effetti, costituisce mera partita di giro come somma di terzi “in transito”, la cui collocazione nelle scritture contabili della contribuente società non provoca – correttamente – alcuna rilevanza sulla determinazione dell’utile o della perdita civilistica, o sulle variazioni TUIR, ex art. 83, dalle quali discende la determinazione dell’utile o della perdita a fini tributari.

Venendo all’esame del terzo motivo, esso censura la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 14, comma 2, artt. 56 e 60, del D.M. n. 689 del 1996, art. 5, comma 2, tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR trascurato la portata generale del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14, (c.d. TUA), il cui termine biennale dovrebbe decorrere dal momento del pagamento del tributo, non dalla presentazione della dichiarazione a seguito di definizione del rapporto contrattuale.

Il motivo è infondato.

Diversamente da quanto dedotto in ricorso, questa Corte ha già stabilito, (Cass. Ord. 20628/19; Cass. 22215/2019; Cass. 16264/2019) che il credito da eccedenza di versamento di accise è sostanzialmente “revolving”, in quanto e quindi la decadenza biennale del D.Lgs. n. 504 del 1995, artt. 14-56, (c.d. TUA), parte dall’ultima dichiarazione (con saldo attivo).

In concreto, il versamento dell’accisa diviene indebito nel momento in cui – cessata la somministrazione del bene gravato dal prelievo – resta a conguaglio una maggior somma versata che non può utilizzarsi in compensazione. Analogamente a quanto avviene in contratto di conto corrente, come si nota correttamente in memoria da parte del controricorrente, ex art. 1823 c.c., solo all’atto della chiusura del rapporto tra le parti il credito in parola risulterà in concreto esigibile. Solo da quel momento, pertanto, coincidente con l’ultima dichiarazione recante il credito, decorre quindi il termine decadenziale D.Lgs. n. 504 del 1995, ex art. 14, comma 2, (TUA).

Pertanto, come ancora di recente confermato da questa Corte (Cass. Sez. 5, sent. 18 giugno 2019, n. 16261), proprio in tema di accise sull’energia elettrica, il saldo creditorio che matura al momento della presentazione della dichiarazione annuale – costituendo una modalità di pagamento dell’imposta, in quanto detratto ex lege dai successivi versamenti di acconto – non è reclamabile prima della chiusura del rapporto tributario, con conseguente decorrenza del termine biennale di decadenza del D.Lgs. n.. n. 504 del 1995, ex art. 14, comma 2, (TUA) per il rimborso dell’eventuale credito di imposta dal momento della presentazione dell’ultima dichiarazione annuale di consumo.

In tal senso fanno concludere le particolari modalità di pagamento dell’accisa in esame, incentrata sul meccanismo degli acconti calcolati sui consumi del corrispondente periodo precedente, fa sì che alla chiusura annuale di ciascun periodo si determina un nuovo saldo debitorio o creditorio che, come affermato dalla società contribuente, va a costituire un nuovo credito o debito rispetto a quelli precedentemente maturati. Secondo questo meccanismo, quindi, il credito d’imposta si rinnova anno per anno, con la conseguenza che l’istanza di rimborso avanzata dalla contribuente, odierna ricorrente, è certamente tempestiva.

Pertanto, il ricorso va – nei termini di cui in motivazione complessivamente rigettato.

La soccombenza regola le spese.

P.Q.M.

rigetta il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo motivo; rigetta il terzo motivo di ricorso; liquida le spese in Euro 5.300 oltre al 15% per spese generali, CPA ed IVA di legge che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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