Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28063 del 24/11/2017


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 28063 Anno 2017
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23689/2014 R.G. proposto da
Associazione agricola Maria SS. Addolorata, rappresentata e difesa
dall’Avv. Luigi Lanucara, con domicilio eletto presso il suo studio in
Roma, Corso d’Italia, n. 19;

ricorrente

contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi,
n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 24/11/2017

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Sicilia, n. 163/01/13 depositata il 4 luglio 2013.
Udita la relaziOne svolta nella pubblica udienza del 14 settembre 2017
dal Consigliere Emilio Iannello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Federico Sorrentino, che ha concluso chiedendo il rigetto.

1. All’esito di indagini condotte dalla Guardia di Finanza nei
confronti della Associazione agricola Maria SS. Addolorata, l’Agenzia
delle entrate, Ufficio di Termini Imerese, emetteva avvisi di
accertamento con i quali rettificava in aumento l’imponibile Irpeg e
Ilor per gli anni 1994 e 1995, irrogando le relative sanzioni e
ingiungendo il pagamento degli interessi. Riteneva infatti l’Ufficio che
l’attività condotta dall’associazione avesse natura commerciale e che
il reddito della stessa dovesse essere considerato, a fini fiscali, quale
reddito d’impresa e non come reddito agrario.
I ricorsi proposti dalla contribuente, previa riunione, erano
rigettati in primo grado con decisione confermata in appello dalla
Commissione tributaria regionale della Sicilia la quale riteneva
legittimo l’accertamento operato, sotto tutti i profili contestati dalla
contribuente e, dunque, con riferimento, in sintesi: alla qualificazione
dell’attività condotta e, conseguentemente, del reddito da essa
ricavato; alla legittimità dell’utilizzazione di dati raccolti senza
l’osservanza delle garanzie difensive previste dal codice di procedura
penale; alla quantificazione dell’imponibile; alla legittimità delle
sanzioni irrogate.
Sotto il primo profilo in particolare la C.T.R. attribuiva rilievo
dirimente all’emergenza, dagli atti d’indagine, di operazioni di
acquisto di animali destinati direttamente alla macellazione senza la
mediazione di un’attività di allevamento condotta sul terreno e,
comunque, senza alcun collegamento con quest’ultimo.

2

FATTI DI CAUSA

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la
contribuente sulla base di cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle
entrate, depositando controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce

violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché omessa

primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. interamente
basato la motivazione della sentenza su bolle di accompagnamento —
le quali, secondo quanto affermato in sentenza, dimostrerebbero
l’acquisto di animali, anche da non associati, destinati direttamente al
mattatoio comunale di Valledolmo, Palermo — in realtà mai prodotte
in giudizio, né allegate al processo verbale di constatazione del 12
marzo 1998, incorrendo conseguentemente anche in vizio di
motivazione, per non aver spiegato come, in assenza di tali
documenti, ne abbia potuto valutare il contenuto.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione del diritto
di difesa ex art. 24 Cost., con riferimento all’art. 360, comma primo,
num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R., argomentando nel modo
predetto, attribuito rilievo decisivo a prove documentali non prodotte,
né allegate al p.v.c., né in questo specificamente elencate con
indicazione dei relativi estremi e che essa ricorrente pertanto non è
mai stata in grado di conoscere e di esaminare.
Detti motivi, congiuntamente esaminabili per la loro intima
connessione, sono inammissibili o, comunque, infondati.
A base della decisione impugnata è posto l’accertamento, in fatto,
dell’acquisto e immediata macellazione di animali da parte
dell’associazione ricorrente; di tali circostanze è tratta prova — per
via indiretta, attraverso la citazione del p.v.c. — dalle bolle di
accompagnamento cui ivi si fa riferimento.
Trattandosi di atti da presumere conosciuti o comunque

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motivazione su un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma

certamente conoscibili dalla contribuente, il riferimento che ad essi è
fatto nel processo verbale redatto dai verificatori (a sua volta
richiamato dagli avvisi di accertamento) soddisfa certamente sia
l’onere motivazionale, sia l’onere probatorio posto a carico dell’Ufficio
accertatore.
Sotto il primo profilo (onere motivazionale) varrà rammentare

Corte, l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente,
attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni
della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il
riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o
conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione
della Guardia di finanza notificato o consegnato al contribuente; in
tale prospettiva non v’è motivo di non riconoscere anche
l’ammissibilità di una doppia motivazione

per relationem laddove,

come nella specie, anche il processo verbale di constatazione a sua
volta faccia rimando a documenti in possesso o comunque conosciuti
o agevolmente conoscibili dal contribuente.
Sotto il secondo profilo (onere probatorio) occorre considerare che
il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o
dagli altri organi di controllo fiscale, può assumere un valore
probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati,
potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a)
il verbale è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod.
civ., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui
compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere
senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale,
nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico
ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese (cfr.

ex multis

Cass.

03/07/2014, n. 15191; Cass. 10/02/2006, n. 2949); b) quanto invece
alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da

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che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa

terzi — e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla
stessa parte e/o da terzi — esso fa fede fino a prova contraria, che
può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di
conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e
valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della
indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate

giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi,
ai fini della decisione, e può essere disatteso solo in caso di sua
motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi
acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che
quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente
verificatore (cfr. Cass. 20/03/2007, n. 6565).
Alla luce di tali premesse ricostruttive, non è dubitabile che anche
il solo riferimento da parte degli agenti accertatori, sia pure non
specifico e analitico, al contenuto di documenti comunque conoscibili
dal soggetto sottoposto a verifica (quali devono certamente
considerarsi le bolle di accompagnamento della merce da lui
acquistata) vale a costituire elemento di prova bensì non assistito da
fede privilegiata ma pur sempre idoneo a suffragare le conclusioni in
base ad essi raggiunte dai verificatori, ove — come nella specie —
non risulti che all’atto della verifica il contribuente abbia mosso
specifica contestazione al riguardo, come indubbiamente era già in
grado di fare.
2.1. Sotto tale profilo può peraltro apprezzarsi anche un
preliminare profilo di inammissibilità delle censure, in quanto dirette a
sollecitare il sindacato di questa Corte su questione che non risulta
trattata nel giudizio di merito e da considerarsi pertanto nuova.
Mette conto al riguardo rammentare che, secondo principio
consolidato nella giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di
cassazione, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni

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nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il

che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal
giudice del merito, perché allo stesso non sollecitati. Ove una
determinata questione che implichi un accertamento di fatto (nella
specie contestazione della veridicità sostanziale delle bolle di
accompagnamento richiamate nel processo verbale di constatazione)
non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il

ha l’onere di indicare in quale atto del giudizio di merito l’abbia
dedotta, così da permettere alla S.C. di controllare

ex actis la

veridicità di tale asserzione, prima di ogni altro esame (v. Cass.
12/07/2005, n. 14590; 28/07/2008, n. 20518).
Tale onere nella specie non solo non risulta assolto, ma emerge
anzi, al contrario, dalla parte narrativa della sentenza impugnata e
dalla stessa esposizione dello svolgimento del giudizio di merito
contenuta in ricorso, che una siffatta questione non fu mai prima
sollevata.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 29 (ora 32), comma 2, lett.

b), d.P.R. 22

dicembre 1986, n. 917, In relazione all’art. 360, comma primo, num.
3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto irrilevante la prova
documentale da essa offerta, attraverso la produzione del c.d.
catastino dei terreni, al fine di dimostrare la notevole estensione dei
terreni e la potenzialità degli stessi di garantire la quantità di mangimi
minima richiesta per poter qualificare come agricola l’attività di
allevamento di animali (« … mangimi ottenibili per almeno un quarto
dal terreno …») e ciò in base all’assunto — da essa ricorrente indicato
come contrastante con la lettera e la ratio della norma medesima —
secondo cui a tal fine è richiesta la prova della effettiva quantità di
mangimi prodotti sul terreno, unitamente ai dati complessivi relativi
agli animali con questi effettivamente allevati.
4. Con il quarto motivo si denuncia poi violazione degli artt. 115 e

ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità

116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4,
cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di adeguatamente valutare
i mezzi di prova offerti dalla ricorrente (catastino dei terreni) al fine di
dimostrare la notevole estensione dei terreni e le potenzialità degli
stessi in rapporto al numero di animali condotti al macello nell’anno in
questione, senza sufficientemente motivare al riguardo.

con le quali si facevano valere gli indici ermeneutici desumibili, ai fini
della qualificazione dell’attività come agricola, dalla nuova
formulazione dell’art. 2135 cod. civ. e dell’art. 32 d.P.R. n. 917 del
1986 e della novella legislativa rappresentata dall’art. 1, comma
1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007) la
quale ha previsto che anche gli enti costituiti in forma societaria
possono optare per la determinazione del reddito agrario, con la
conseguente ininfluenza, ai fini di detta qualificazione, della forma
giuridica rivestita dal soggetto e delle dimensioni della sua attività,
dovendosi piuttosto aver riguardo esclusivamente alla natura
dell’attività svolta.
5. Anche tali censure, a loro volta congiuntamente esaminabili in
quanto strettamente connesse, sono inammissibili, non
confrontandosi con la effettiva ratio decidendi posta a base della
sentenza impugnata.
Non si ricava, infatti, dalla lettura della motivazione l’affermazione
di principio cui si appunta la prima critica, osservandosi piuttosto, ben
diversamente, da parte dei giudici

a quibus,

che,

«indipendentemente dal fatto che i terreni abbiano la potenzialità di
produrre il mangime necessario» — inciso che vale evidentemente a
porre in disparte la questione della rilevanza della quantità di
mangimi ottenibili dal terreno —, l’esclusione della natura agraria del
reddito prodotto trova fondamento nel rilievo del tutto distinto e
indipendente della mancata prova della conduzione di una effettiva

/

Lamenta inoltre omessa pronuncia sulle argomentazioni difensive

attività di allevamento sul terreno.
Di

conseguenza inconferente si appalesa anche la critica

relativa alla mancata positiva valutazione dei mezzi di prova offerti
allo scopo di dimostrare l’estensione e le connesse potenzialità del
fondo, mentre palesemente priva di pregio è la doglianza di
«omessa pronuncia» sugli argomenti difensivi proposti basati sugli

civ. e dalla norma di cui all’art. 1, comma 1093, legge n. 296 del
2006.
È appena il caso al riguardo di rammentare che ad integrare gli
estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una
espressa statuizione del giudice su ogni questione o argomentazione
difensiva svolta dalla parte, essendo necessaria la totale
pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla
soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto
vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta
valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in
assenza di una specifica argomentazione (v. Cass. n. 10636 del
2007). È vero che, sempre secondo la citata giurisprudenza, l’omessa
pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività
del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere dal
ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo

error in

procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c. (v. Cass. n. 11844 del
2006; n. 24856 del 2006 e n. 12952 del 2007), tuttavia nella specie
la ricorrente non ha dedotto che sul punto fosse stato proposto uno
specifico motivo d’appello.
6. Con il quinto motivo, infine, si denuncia violazione dell’art. 220
disp. att. cod. proc. pen. e degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., ai
sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la
C.T.R. disatteso l’eccezione di nullità dell’accertamento, discendente

asseriti indici ermeneutici traibili del nuovo testo dell’art. 2135 cod.

dalla violazione delle garanzie difensive dettate dalle norme sopra
citate, in ragione della sola inconferente considerazione della diversità
e separatezza del giudice tributario rispetto a quello penale. È
formulato in conclusione il seguente quesito di diritto: dica la
Suprema Corte «se risulta emessa in violazione dell’art. 220 disp. att.
cod. proc. pen. e degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., la sentenza

disposizioni, non abbia sancito la consequenziale nullità dell’avviso di
accertamento che risulta emesso a seguito dell’attività istruttoria in
cui si è concretizzata la rilevata violazione».
La censura è infondata.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con indirizzo cui si
intende qui dare continuità, che in materia tributaria, gli elementi
raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza
senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il
procedimento penale, non sono inutilizzabili nel procedimento di
accertamento fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale
rispetto a quello di accertamento tributario, secondo un principio che,
oltre ad essere sancito dalle norme sui reati tributari (art. 12 del d.l.
10 luglio 1982, n. 429 successivamente confermato dall’art. 20 del
d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), è desumibile anche dalle disposizioni
generali dettate dagli artt. 2 e 654 cod. proc. pen. ed è
espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., che
impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura
penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato,
ma soltanto ai fini della «applicazione della legge penale» (v. Cass.
12/11/2010, n. 22984).
In

materia

tributaria,

invero,

non

qualsiasi

irritualità

nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento
comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una
specifica previsione in tal senso, esclusi i casi — tra i quali non rientra

impugnata che, pur non disconoscendo la violazione delle citate

quello in esame — in cui viene in discussione la tutela di diritti
fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà
personale o del domicilio (Cass. 16/12/2011, n. 27149).
6. In ragione delle considerazioni che precedono deve in definitiva
pervenirsi al rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da

P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore
della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 2.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a
debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello
stesso articolo 13.
Così deciso il 14/9/2017

dispositivo.

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