Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28060 del 24/11/2017


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 28060 Anno 2017
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8119/2010 R.G. proposto da
Associazione agricola Maria SS. Addolorata, rappresentata e difesa
dall’Avv. Luciano Pellegrino, con domicilio eletto in Roma, via
Eustachio Manfredi, n. 17, presso lo studio dell’Avv. Susanna Mazzà;
– ricorrente contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi,
n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Sicilia, n. 42/19/09 depositata il 3 febbraio 2009.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 settembre 2017

Data pubblicazione: 24/11/2017

dal Consigliere Emilio Iannello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Federico Sorrentino, che ha concluso chiedendo il rigetto.
FATTI DI CAUSA
1. All’esito di indagini condotte dalla Guardia di Finanza nei
confronti della Associazione agricola Maria SS. Addolorata, l’Agenzia

accertamento con il quale rettificava in aumento l’imponibile Irpeg e
Ilor per l’anno 1996, irrogando le relative sanzioni e ingiungendo il
pagamento degli interessi. Riteneva infatti l’Ufficio che l’attività
condotta dall’associazione avesse natura commerciale e che il reddito
della stessa dovesse essere considerato, a fini fiscali, quale reddito
d’impresa e non come reddito agrario.
Il ricorso proposto dalla contribuente era rigettato in primo grado
con decisione confermata in appello, con la sentenza in epigrafe, dalla
Commissione tributaria regionale della Sicilia la quale riteneva
legittimo l’accertamento operato, sotto tutti i profili contestati dalla
contribuente e, dunque, con riferimento, in sintesi: alla qualificazione
dell’attività condotta e, conseguentemente, del reddito

da essa

ricavato; alla legittimità dell’utilizzazione di dati raccolti senza
l’osservanza delle garanzie difensive previste dal codice di procedura
penale; alla quantificazione dell’imponibile; alla legittimità delle
sanzioni irrogate.
Sotto il primo profilo in particolare la C.T.R. attribuiva rilievo
dirimente all’emergenza, dagli atti d’indagine, di operazioni di
acquisto di animali destinati direttamente alla macellazione senza la
mediazione di una attività di allevamento condotta sul terreno e,
comunque, senza alcun collegamento con quest’ultimo.
2.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la

contribuente sulla base di dieci motivi, cui resiste l’Agenzia delle
entrate, depositando controricorso.

2

delle entrate, Ufficio di Termini Imerese, emetteva avviso di

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce —
formulando conferenti quesiti — violazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ., nonché omessa motivazione su un fatto decisivo, in
relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., per
avere la C.T.R. interamente basato la motivazione della sentenza su

sentenza, dimostrerebbero l’acquisto di animali, anche da non
associati, destinati direttamente al mattatoio comunale di Valledolmo,
Palermo — in realtà mai prodotte in giudizio, né allegate al processo
verbale di constatazione del 12 marzo 1998, incorrendo
conseguentemente anche nel denunciato vizio motivazionale, per non
aver spiegato come, in assenza di tali documenti, ne abbia potuto
valutare il contenuto.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce — anche in tal caso
formulando quesito di diritto — violazione del diritto di difesa ex art.
24 Cost., con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod.
proc. civ., per avere la C.T.R., argomentando nel modo predetto,
attribuito rilievo decisivo a prove documentali non prodotte, né
allegate al p.v.c., né in questo specificamente elencate con
indicazione dei relativi estremi e che essa ricorrente, pertanto, non è
mai stata in grado di conoscere e di esaminare.
Detti motivi, congiuntamente esaminabili per la loro intima
connessione, sono inammissibili o, comunque, infondati.
A base della decisione impugnata è posto l’accertamento, in fatto,
dell’acquisto e della successiva immediata macellazione di animali da
parte dell’associazione ricorrente; di tali circostanze è tratta prova —
per via indiretta, attraverso il richiamo alla motivazione dell’avviso di
accertamento e a quanto affermato dai verificatori nel p.v.c. (v.
sentenza, pag. 11, inizio) — dalle bolle di accompagnamento cui ivi si
fa riferimento.

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bolle di accompagnamento — le quali, secondo quanto ripetuto in

Trattandosi di atti da presumere conosciuti o comunque
certamente conoscibili dalla contribuente, il riferimento che ad essi è
fatto nel processo verbale redatto dai verificatori (a sua volta
richiamato dall’avviso di accertamento) soddisfa certamente sia
l’onere motivazionale, sia l’onere probatorio posto a carico dell’Ufficio
a cce rtato re .

che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte, l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente,
attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni
della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il
riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o
conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione
della Guardia di finanza notificato o consegnato al contribuente; in
tale prospettiva non v’è motivo di non riconoscere anche
l’ammissibilità di una doppia motivazione

per relationem laddove,

come nella specie, anche il processo verbale di constatazione a sua
volta faccia rimando a documenti in possesso o comunque conosciuti
o agevolmente conoscibili dal contribuente.
Sotto il secondo profilo (onere probatorio) occorre considerare che
il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o
dagli altri organi di controllo fiscale, può assumere un valore
probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati,
potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a)
il verbale è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod.
civ., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui
compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere
senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale,
nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico
ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese (cfr.

ex multis

Cass.

03/07/2014, n. 15191; Cass. 10/02/2006, n. 2949); b) quanto invece

4

Sotto il primo profilo (onere motivazionale) varrà rammentare

alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da
terzi — e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla
stessa parte e/o da terzi — esso fa fede fino a prova contraria, che
può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di
conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e
valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della

nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il
giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi,
ai fini della decisione e può essere disatteso solo in caso di sua
motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi
acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che
quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente
verificatore (cfr. Cass. 20/03/2007, n. 6565).
Alla luce di tali premesse ricostruttive, non è dubitabile che anche
il solo riferimento da parte degli agenti accertatori, sia pure non
specifico e analitico, al contenuto di documenti comunque conoscibili
dal soggetto sottoposto a verifica (quali devono certamente
considerarsi le bolle di accompagnamento della merce da lui
acquistata) vale a costituire elemento di prova bensì non assistito da
fede privilegiata ma pur sempre idoneo a suffragare le conclusioni in
base ad essi raggiunte dai verificatori, ove — come nella specie —
non risulti che all’atto della verifica il contribuente abbia mosso
specifica contestazione al riguardo, come indubbiamente era già in
grado di fare.
2.1. Sotto tale profilo può peraltro apprezzarsi anche un
preliminare profilo di inammissibilità delle censure, in quanto dirette a
sollecitare il sindacato di questa Corte su questione che non risulta
trattata nel giudizio di merito e da considerarsi pertanto nuova.
Mette conto al riguardo rammentare che, secondo principio
consolidato nella giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di

indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate

cassazione, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni
che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal
giudice del merito, perché allo stesso non sollecitati. Ove una
determinata questione che implichi un accertamento di fatto (nella
specie contestazione della veridicità sostanziale delle bolle di
accompagnamento richiamate nel processo verbale di constatazione)

ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità
ha l’onere di indicare in quale atto del giudizio di merito l’abbia
dedotta, così da permettere alla S.C. di controllare

ex actis la

veridicità di tale asserzione, prima di ogni altro esame (v. Cass.
12/07/2005, n. 14590; 28/07/2008, n. 20518).
Tale onere nella specie non solo non risulta assolto, ma emerge
anzi al contrario dalla parte narrativa della sentenza impugnata e
dalla stessa esposizione dello svolgimento del giudizio di merito
contenuta in ricorso, che una siffatta questione non fu mai prima
sollevata.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia — formulando
quesito di diritto — violazione e falsa applicazione dell’art. 29 (ora
32), comma 2, lett. b), d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione
all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R.
ritenuto irrilevante la prova documentale da essa offerta, attraverso
la produzione del c.d. catastino dei terreni, al fine di dimostrare la
notevole estensione dei terreni e la potenzialità degli stessi di
garantire la quantità di mangimi minima richiesta per poter qualificare
come agricola l’attività di allevamento di animali (« … mangimi
ottenibili per almeno un quarto dal terreno …») e ciò in base
all’assunto — da essa ricorrente indicato come contrastante con la
lettera e la ratio della norma medesima — secondo cui a tal fine è
richiesta la prova della effettiva quantità di mangimi prodotti sul
terreno, unitamente ai dati complessivi relativi agli animali con questi

non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il

effettivamente allevati.
4. Con il quarto motivo si denuncia poi violazione degli artt. 115 e
116 cod. proc. civ., nonché insufficiente motivazione su un fatto
decisivo e controverso, in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e
5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di adeguatamente
valutare i mezzi di prova offerti dalla ricorrente (catastino dei terreni)

potenzialità degli stessi in rapporto al numero di animali condotti al
macello nell’anno in questione, senza sufficientemente motivare al
riguardo.
Anche tali censure, a loro volta congiuntamente esaminabili in
quanto strettamente connesse, sono inammissibili , non
confrontandosi con la effettiva ratio decidendi posta a base della
sentenza impugnata.
Non si ricava, infatti, dalla lettura della motivazione l’affermazione
di principio cui si appunta la prima critica o, quantomeno, non riposa
su di essa il nucleo centrale e fondante della decisione, osservandosi
piuttosto, ben diversamente, da parte dei giudici a quibus, che, «a
prescindere dalla quantità di terreno posseduto» — inciso che vale
evidentemente a porre in disparte la questione della rilevanza della
quantità di mangimi anche solo potenzialmente ottenibili dal terreno
—, «non può … in alcun modo considerarsi attività agricola …
l’acquisto di animali immediatamente destinati alla macellazione».
In altre parole, come del resto riconosciuto dalla stessa
ricorrente, rilievo centrale e assorbente assume comunque
l’accertamento dell’esplicarsi dell’attività condotta dall’associazione
anche, e in misura qualificante, nell’acquisto di animali da non
associati e nella loro immediata destinazione alla macellazione,
senza dunque alcun collegamento strumentale con il fondo.
Di conseguenza inconferente si appalesa anche la critica

7

al fine di dimostrare la notevole estensione dei terreni e le

relativa alla mancata positiva valutazione dei mezzi di prova offerti
allo scopo di dimostrare l’estensione e le connesse potenzialità del
fondo.
5.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia poi omessa

motivazione su un fatto decisivo e controverso, con riferimento all’art.
360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R.

qualificazione dell’attività come agricola, dalla nuova formulazione
dell’art. 2135 cod. civ. e dell’art. 32 d.P.R. n. 917 del 1986, i quali
attribuiscono detta qualifica anche all’attività di trasformazione e
commercializzazione di prodotti ottenuti dall’allevamento di animali,
anche se tale attività non è svolta sul terreno.
6. Con il sesto motivo si denuncia ancora omessa motivazione su
un fatto decisivo e controverso, con riferimento all’art. 360, comma
primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di
pronunciarsi sulla questione sottoposta al suo esame circa l’incidenza,
ai fini della decisione, della novella legislativa rappresentata dall’art.
1, comma 1093, legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007) la
quale ha previsto che anche gli enti costituiti in forma societaria
possono optare per la determinazione del reddito agrario, con la
conseguente ininfluenza, ai fini di detta qualificazione, della forma
giuridica rivestita dal soggetto e delle dimensioni della sua attività,
dovendosi piuttosto aver riguardo esclusivamente alla natura
dell’attività svolta.
7.

Con il settimo motivo si denuncia ancora insufficiente

motivazione su un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360,
comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di
pronunciarsi sulle contestazioni mosse in ordine agli addebiti di
acquisto di animali vivi da soggetti non associati e di omessa
fatturazione di acquisti imponibili. Si lamenta che il riferimento in

8

omesso di considerare gli indici ermeneutici desumibili, ai fini della

sentenza alla «natura dell’attività svolta» non ha alcuna attinenza con
il rilievo dei presunti acquisti in evasione.
8. Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia ancora insufficiente
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi
dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la
C.T.R. omesso di motivare sulle contestazioni mosse in ordine alla

d’affari derivante dalla vendita di carni, essendosi i giudici d’appello
limitati a richiamare, anche a tal proposito, genericamente, la natura
dell’attività svolta che — afferma — è aspetto privo di rilevanza
alcuna ai fini della ricostruzione induttiva dei presunti ricavi.
Tutti i detti motivi (dal quinto all’ottavo) sono inammissibili per
violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile alla
fattispecie

ratione temporis

per essere stata la sentenza

impugnata depositata il 3/2/2009, e quindi prima del 4/7/2009,
data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma
indicata, disposta dall’art. 47, comma 1, lett. d), legge 18 giugno
2009, n. 69 (cfr. Cass. Sez. U. N. 20360 del 2007; v. anche ex
multis Cass. n. 24597 del 2014).
La ricorrente ha infatti omesso la formulazione del c.d.
momento di sintesi richiesto per il motivo di cui all’art. 360,
comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per il quale è richiesta una
illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve
concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso — in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria — ovvero delle ragioni per le quali la
dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la
decisione.
L’inammissibilità dei motivi quinto e sesto discende peraltro
anche dall’essere essi riferiti a questioni di mero diritto, per le quali

9

ricostruzione — operata dai verificatori e dall’Ufficio — del volume

com’è noto non è configurabile vizio di motivazione. Ciò in quanto il
giudice di legittimità è investito, a norma dell’art. 384 cod. proc. civ.,
del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza
impugnata, con la conseguenza che, se chiamato a valutare la
conformità a diritto della decisione impugnata, la sua valutazione ben
può prescindere dalla motivazione che, in punto di diritto, sia

anche l’eventuale mancanza di questa, quando il giudice del merito
sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema
giuridico sottoposto al suo esame (v. ex multis Cass. 17/11/1999, n.
12753).
Quanto ai motivi settimo e ottavo può poi rilevarsi che gli stessi,
lungi da prospettare l’omesso esame di specifici fatti di carattere
decisivo, tendono inammissibilmente a sollecitare una nuova
complessiva valutazione di merito, preclusa nel giudizio di legittimità.
9. Con il nono motivo si denuncia poi violazione dell’art. 220 disp.
att. cod. proc. pen. e degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen. per avere
la C.T.R. disatteso l’eccezione di nullità dell’accertamento,
discendente dalla violazione delle garanzie difensive dettate dalle
norme sopra citate, in ragione della sola inconferente considerazione
della diversità e separatezza del giudice tributario rispetto a quello
penale. È formulato in conclusione il seguente quesito di diritto: dica
la Suprema Corte «se risulta emessa in violazione dell’art. 220 disp.
att. cod. proc. pen. e degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., la
sentenza impugnata che, pur non disconoscendo la violazione delle
citate disposizioni, non abbia sancito la consequenziale nullità
dell’avviso di accertamento che risulta emesso a seguito dell’attività
istruttoria in cui si è concretizzata la rilevata violazione».
La censura è infondata.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con indirizzo cui si
intende qui dare continuità, che in materia tributaria, gli elementi

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contenuta nella sentenza impugnata, restando del tutto irrilevante

raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza
senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il
procedimento penale, non sono inutilizzabili nel procedimento di
accertamento fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale
rispetto a quello di accertamento tributario, secondo un principio che,
oltre ad essere sancito dalle norme sui reati tributari (art. 12 del d.l.

d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), è desumibile anche dalle disposizioni
generali dettate dagli artt. 2 e 654 cod. proc. pen. ed è
espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., che
impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura
penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato,
ma soltanto ai fini della «applicazione della legge penale» (v. Cass.
12/11/2010, n. 22984).
In

materia

tributaria,

invero,

non

qualsiasi

irritualità

nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento
comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una
specifica previsione in tal senso, esclusi i casi — tra i quali non rientra
quello in esame — in cui viene in discussione la tutela di diritti
fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà
personale o del domicilio (Cass. 16/12/2011, n. 27149).
10. Con il decimo motivo la ricorrente infine deduce violazione
dell’art. 23 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per avere la C.T.R.
omesso di rilevare le preclusioni derivanti dalla tardiva costituzione
nel giudizio di primo grado dell’Ufficio resistente.
Anche di tale motivo si deve preliminarmente rilevare
l’inammissibilità, in quanto non corredato dalla prescritta
formulazione di apposito quesito di diritto richiesta a pena di
inammissibilità nei casi di impugnazione per i motivi di cui all’art.
360, comma primo, cod. proc. civ., nn. da 1 a 4, la cui

11

10 luglio 1982, n. 429 successivamente confermato dall’art. 20 del

enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come
attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio
di diritto.
La censura comunque si appalesa anche infondata.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte, cui si intende dare continuità, in tema di contenzioso tributario,

sensi dell’art. 23 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546, entro sessanta
giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di
proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili
d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi. Peraltro, qualora tali
difese non siano concretamente esercitate, nessuna altra
conseguenza sfavorevole può derivarne al resistente, sicché deve
escludersi qualsiasi sanzione di inammissibilità per il solo fatto della
tardiva costituzione della parte resistente, cui deve riconoscersi il
diritto, garantito dall’art. 24 della Costituzione, sia di difendersi,
negando i fatti costitutivi della pretesa attrice o contestando
l’applicabilità delle norme di diritto invocate dal ricorrente, sia di
produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del d.lgs. n. 546 del
1992, facoltà esercitabile anche in appello ai sensi dell’art. 58 del
d.lgs. medesimo (v. Cass. 02/04/2015, n. 6734; Cass. 28/09/2005, n.
18962).
11. In ragione delle considerazioni che precedono deve in
definitiva pervenirsi al rigetto del ricorso, con la conseguente
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali,
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore
della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 3.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a

12

la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai

debito.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

(Emilio Iannello)

(Aurelio CZpabianca)

Così deciso il 14/9/2017

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