Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28057 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/12/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 09/12/2020), n.28057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21057-2015 proposto da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI

COMMERCIALISTI (C.N.P.A.D.C.), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SILVIA LUCANTONI;

– ricorrente –

contro

B.R., B.E., B.C.V.C.,

nella qualità di eredi di B.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato

EMANUELE RICCI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANNA CAMPILII;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 346/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/06/2015 R.G.N. 17/2013.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 17.6.2015, la Corte d’appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dottori Commercialisti avverso la pronuncia con cui il Tribunale di Como aveva accolto la domanda di B.G. volta al pagamento del contributo di solidarietà nella misura di cui al D.L. n. 201 del 2011, art. 24;

che avverso tale pronuncia la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dottori Commercialisti ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura; che gli eredi di B.G. hanno resistito con controricorso;

che entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 163,164,342,414 e 434 c.p.c., nonchè dell’art. 24 Cost., per avere la Corte di merito ritenuto l’inammissibilità dell’appello per difetto di conclusioni circa il caso specifico, pur dando atto che nei confronti della sentenza impugnata erano state rivolte molteplici censure;

che, al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che la mancata riproduzione, nella parte dell’atto di appello a ciò destinata, delle conclusioni relative ad uno specifico motivo di gravame, non può equivalere a difetto di impugnazione o essere causa della nullità di essa, se dal contesto dell’atto risulti, sia pur in termini non formali, una univoca manifestazione di volontà di proporre impugnazione per quello specifico motivo (v. in tal senso già Cass. n. 7585 del 2003, il cui dictum è stato successivamente consolidato, tra le altre, da Cass. n. 25751 del 2013);

che, nella specie, avuto riguardo al contenuto dell’atto di appello (debitamente riprodotto a pagg. 11-41 e 47 del ricorso per cassazione e pienamente compreso dalla Corte territoriale, che ne ha sintetizzato le censure a pag. 2 della sentenza impugnata), deve ritenersi che il conclusum di “confermare la sentenza impugnata nelle parti sopra indicate”, sulla scorta del quale i giudici di merito hanno ravvisato l’inammissibilità del gravame, costituisca mero errore materiale, affatto intelligibile anche in considerazione della conclusione spiegata in subordine di “limitare l’obbligo di restituzione ai periodi di applicazione di tale secondo contributo” e della stessa intestazione del gravame, dove si legge che il ricorso in appello mira alla “riforma della sentenza del Tribunale di Como n. 415/2012 del 15 novembre 2012”;

che, pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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