Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28052 del 02/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 02/11/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 02/11/2018), n.28052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17893-2017 proposto da:

D.G.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TARO 35, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MAZZONI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.C., P.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 93, presso lo studio dell’avvocato

ENRICO CATALDO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA MICCICHE’;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2824/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. D.T.G. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma che in accoglimento della domanda di P.G. e R.C. lo aveva condannato al pagamento di Euro 110.000,00 a titolo di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale. Il giudice adito aveva accertato che dopo aver accettato la proposta di acquisto formulata dal P., con facoltà di nomina del soggetto che avrebbe stipulato il rogito e con riferimento all’immobile del convenuto, il D. aveva comunicato agli attori di non voler più alienare il predetto immobile vendendolo poi a terzi, nel corso del giudizio. A seguito di tale evenienza gli attori avevano modificato la domanda, originariamente proposta ex art. 2932 c.c., chiedendo la declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento del convenuto e la condanna del medesimo al risarcimento del danno.

La Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 3465 del 28 aprile 2017 ha ritenuto che l’accordo originario costituisse un vero e proprio contratto preliminare e non una semplice puntuazione. Quindi, accoglieva parzialmente sia il ricorso principale sia quello incidentale, riformava in parte la sentenza impugnata, tenendo ferma la condanna al pagamento di Euro 60.000,00 già liquidata in primo grado e condannando il Sig. D. al pagamento di Euro 189.125,46 a titolo di risarcimento danni, oltre le spese di giustizia.

Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione il Sig. D., sulla base di quattro motivi. Resistono con controricorso i Sig.ri P. e R..

2. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

4.1. Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, art. 2729 c.c. e art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4)”. Il Giudice d’appello avrebbe errato nel considerare l’accordo concluso tra le parti, piuttosto che un contratto di puntuazione, un vero e proprio contratto preliminare, sulla base della comune intenzione delle parti, in tal senso nulla ostando la previsione, nell’accordo stesso, della stipulazione di un successivo contratto preliminare (che la Corte territoriale ha inteso come momento di versamento di un ulteriore acconto).

Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto lo è perchè il ricorso si pone in violazione del principio di autosufficienza, sancito dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 e art. 369 c.p.c., in base ai quali la Corte di cassazione deve essere messa nelle condizioni di poter giudicare l’impugnazione sulla sola base del ricorso, confrontato con la sentenza impugnata. L’odierno ricorrente, oltre ad una carente esposizione del fatto, fonda le proprie articolazioni sulla base degli accordi sottoscritti dalle parti, senza tuttavia nè riportarne il contenuto nè allegarli.

Infine lo è perchè richiede una nuova rivalutazione di merito non consentita in questa sede (Cass. n. 17446/2017). La valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, comporta un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzioni difensiva.

Tale impostazione è del tutto rispettata dal Giudice di merito il quale, nelle pagine 8 e 9 della sentenza impugnata, indica le ragioni per le quali considera integrato un vero e proprio contratto preliminare (elencando quali elementi la inducono a questa conclusione) anche in considerazione della comune intenzione delle parti ai sensi dell’art. 1362 c.c., che interpreta in tal senso.

Anche la asserita violazione dell’art. 115 c.p.c. si pone in contrasto con l’impossibilità di procedere ad una nuova valutazione del merito in sede di legittimità. Infatti, a parte il fatto che la Corte territoriale prende in considerazione detti elementi, il Giudice è comunque libero di valutare le prove secondo il suo libero convincimento, motivando le sue conclusioni.

E comunque il motivo sarebbe, inoltre, infondato.

La condotta del Sig. D. è senz’altro contraria alla buona fede e rispetta tutti i requisiti per la sussistenza della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.. Infatti, una volta che il Sig. D. aveva alienato il bene oggetto di trattative, e volendo comunque ritenere inapplicabile l’art. 2932 c.c., i Sig.ri P. e R. avevano giustamente richiesto il risarcimento danni per responsabilità precontrattuale.

4.2. Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Il Giudice d’appello avrebbe errato nel condannare il ricorrente al pagamento di Euro 60.000,00, ovvero della somma richiesta ai promissari acquirenti dall’agenzia Immobiliare Non solo casa a titolo di provvigione, in quanto tale diritto dell’intermediario, soggetto al periodo di prescrizione di un anno, sarebbe prescritto. Il Giudice era pervenuto a questa condanna sul presupposto che il Sig. P. avesse ormai assunto l’obbligazione di pagamento in favore dell’agenzia.

Il motivo è inammissibile in quanto pone una questione nuova mai proposta nei precedenti gradi di giudizio.

4.3. Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4)”.

Il Giudice avrebbe errato nel quantificare il risarcimento del danno liquidato in favore dei promissari acquirenti sulla base della differenza tra il prezzo ottenuto da D. a seguito della vendita a terzi ed il prezzo pattuito tra le parti nell’accordo preliminare. Il risarcimento doveva essere stabilito sulla base del valore commerciale dell’immobile e il Giudice avrebbe errato nell’identificarlo con il prezzo di vendita al terzo.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che non vi è una definizione certa e assoluta di prezzo commerciale di un bene, esso è comunque individuabile ne “l’importo stimato al quale l’immobile verrebbe venduto alla data di valutazione tra un acquirente e un venditore essendo entrambi non condizionati da fattori esterni e dopo un’adeguata attività di marketing da entrambe le parti”.

Tenuto fermo il fatto che il Giudice di merito abbia fatto riferimento comunque al prezzo di vendita del bene, che rappresenta il valore di mercato dello stesso, questo prezzo rappresentava l’unico parametro certo di commisurazione del valore commerciale del prezzo, essendo, altrimenti, il giudice costretto a decidere in maniera del tutto astratta, senza altri parametri di riferimento.

Ciò non si pone in alcun modo in contrasto con quanto affermato dalla sentenza n. 17688/2010 di questa Corte, in quanto il Giudice di merito ha ritenuto di individuare il valore commerciale del bene nel prezzo di vendita del bene, che rappresentava il dato più certo ed attuale di quantificazione.

4.4. Con l’ultimo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Il Giudice avrebbe errato nel porre interamente a carico del D. le spese processuali, in quanto il suo ricorso era stato comunque parzialmente accolto. Avrebbe, quindi, errato nell’applicare il principio di soccombenza.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente sembra non considerare che, nonostante l’accoglimento parziale del suo ricorso, e nonostante una formale reciproca soccombenza, dal punto di vista sostanziale egli è l’unico soccombente del giudizio. Infatti, mentre in primo grado il ricorrente era stato condannato a pagare la somma di Euro 110.000,00, all’esito del secondo grado di giudizio lo stesso è stato condannato al pagamento di una somma due volte superiore. E indubbio che il Giudice d’appello abbia applicato correttamente le regole della soccombenza di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., condannando al pagamento delle spese di giustizia il solo soccombente sostanziale Sig. D..

5. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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