Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28050 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. III, 14/10/2021, (ud. 19/05/2021, dep. 14/10/2021), n.28050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18754/2019 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 96,

presso lo studio dell’Avvocato LETIZIA TILLI, rappresentato e difeso

dagli Avvocati SABATINO CIPRIETTI, e LAURA TETI;

– ricorrente –

contro

B.F., B.S., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’Avvocato

LUIGI MANZI, rappresenta e difesa dagli Avvocati WALTER PUTATURO, e

PAOLO MAZZOTTA;

– controricorrenti –

nonché da

B.F., B.S., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’Avvocato

LUIGI MANZI, rappresenta e difesa dagli Avvocati WALTER PUTATURO e

PAOLO MAZZOTTA;

– ricorrenti incidentali –

contro

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 96,

presso lo studio dell’Avvocato LETIZIA TILLI, rappresentato e difeso

dagli Avvocati SABATINO CIPRIETTI e LAURA TETI;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2322/2018 della CORTE D’APPELLO de L’AQUILA,

depositata l’11/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.C. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 2322/19, dell’11 dicembre 2018, della Corte di Appello de L’Aquila, che – accogliendo solo parzialmente il gravame dallo stesso esperito avverso la sentenza n. 853/17, del 28 giugno 2017, del Tribunale di Pescara – ha condannato l’odierno ricorrente a rimborsare a B.F. e S., in proprio e nella qualità di eredi di D.V.M., la somma, comprensiva di interessi legali dalla data della domanda al saldo, corrispondente, rispettivamente, a 3/54 e 2/54 dell’importo da esso percepito, dal giugno 2012, quale canone di locazione di un immobile, di proprietà comune alle parti, sito in (OMISSIS).

2. In punto di fatto, il ricorrente riferisce di essere stato convenuto in giudizio da B.F. e S., comproprietari “pro quota” dell’immobile suddetto in forza di successione “mortis causa” dalla comune dante causa D.V.M., affinché fosse condannato a pagare a costoro una somma, in misura proporzionale alle quote di comproprietà, per avere riscosso il canone relativo alla locazione, disposta in via unilaterale, della “res communis”.

Il primo giudice accoglieva la domanda, ravvisando la fattispecie della gestione di affari (sulla scorta dei principi affermati da Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2012, n. 11135, Rv. 623019-01), disattendendo le difese del convenuto, secondo cui – essendo il bene oggetto di causa una porzione di un più ampio immobile di proprietà comune – tra i comproprietari dello stesso sarebbe intervenuto un accordo divisionale, basato sul riconoscimento della disponibilità esclusiva di singole sue parti a ciascuno dei comproprietari, ed in particolare della “res litigiosa” in capo soltanto ad esso C.. Seguiva, dunque, la condanna dell’allora convenuto a pagare agli attori (nei limiti della prescrizione decennale) una somma pari a quote del canone di locazione – dal medesimo riscosso dal novembre 2001, data di decorrenza dell’obbligo di pagamento della prima mensilità del canone, fino all’agosto 2012 – corrispondenti a quelle di comproprietà del bene comune. In particolare, il Tribunale pescarese condannava il C. a pagare ai B. la somma di Euro 44.035,08, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Esperito gravame dal convenuto soccombente, il giudice di appello lo accoglieva parzialmente, ritenendo l’esistenza di un “comune accordo” tra i comproprietari, quanto “alle modalità di godimento della cosa comune” (ancorché da compiersi in tempi diversi), accordo in forza del quale ciascuno dei partecipanti utilizzava “per sé, escludendo gli altri, distinte unità autonome del più complesso immobile”, ritendo che siffatta conclusione si desumesse “dalla stessa lettura delle note difensive depositate in primo grado” dagli attori. A tale esito, pertanto, il giudice di appello perveniva “senza alcuna necessità di analizzare il contenuto della bozza di divisione”, già allegata dal convenuto/appellante, bozza della quale gli attori/appellati avevano eccepito, sin dal primo grado di giudizio, la nullità, per non essere intervenuta tra tutti i comproprietari del bene comune. Nondimeno, il secondo giudice comunque riconosceva il diritto degli attori/appellati a fruire “pro quota” del canone di locazione dell’appartamento che era stato nella disponibilità esclusiva del convenuto, ma ciò solo a partire dal momento (anno 2012) in cui essi – dopo aver cessato, “medio tempore”, l’utilizzazione esclusiva di altre parti dell’immobile comune nella loro disponibilità – avevano “rivendicato il pagamento” delle porzioni di loro spettanza del canone di locazione.

3. Avverso la sentenza della Corte abruzzese ricorre per cassazione il C., sulla base – come detto – di due motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione dell’art. 99 c.p.c. e dell’art. 2907 c.c., “in correlazione con l’art. 112 c.p.c.”.

Si censura la sentenza impugnata per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sul presupposto che il giudice di appello avrebbe accolto una domanda di rimborso mai proposta, o meglio “per un periodo mai preteso”. Difatti, sottolinea il ricorrente, gli attori avevano circoscritto la loro pretesa al rimborso delle quote del canone di locazione riscosso da esso C. dall’agosto 2002 fino al 2012, anno a partire dal quale essi attestano – nello stesso atto di citazione con cui convennero in giudizio l’odierno ricorrente – di aver richiesto e conseguito direttamente dalla conduttrice le rispettive quote del canone di locazione di loro spettanza.

3.2. Il secondo motivo denuncia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 324 c.p.c. e/o art. 2909 c.c.”.

Si censura la sentenza impugnata, in questo caso, per violazione del giudicato, sul presupposto che gli attori/appellati, per conseguire il pagamento delle quote del canone di locazione di loro (asserita) spettanza anche dopo il 2012, avrebbero dovuto proporre appello incidentale, avendo il primo giudice circoscritto la condanna del convenuto al rimborso delle quote di canone riscosse fino a tale anno.

4. B.F. e S. hanno resistito, con controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, il rigetto, nonché svolgendo ricorso incidentale sulla base di quattro motivi.

4.1. Il primo motivo di ricorso incidentale denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1103 c.c. e segg. e dell’art. 2028 c.c.”.

Si censura la sentenza impugnata in quanto la Corte territoriale ha disatteso la tesi, accolta invece dal primo giudice, circa la ricorrenza, nel caso che occupa, di un’ipotesi di “negotiorum gestio”, facendo applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (e’ citata Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2012, n. 11135, Rv. 623019-01).

4.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1102 e 1103 c.c. e segg., in relazione agli artt. 36 e 122 c.p.c.”.

In questo caso, la sentenza impugnata è censurata in quanto il giudice di appello avrebbe dato rilievo, in assenza di domanda riconvenzionale del C., ai controcrediti dallo stesso vantatati in relazione all’utilizzazione esclusiva che gli attori avrebbero fatto di altre porzioni del bene comune, diverse da quelle oggetto di causa.

4.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36,112,115 e 116 c.p.c. e dei principi “tantum devolutum, quantum appellatum”, di corrispondenza tra il chiesto il e pronunciato”.

Si fa carico alla Corte aquilana di un’errata applicazione del principio di non contestazione, giacché essi attori/appellati, lungi dall’ammettere – o semplicemente dal non contestare – che vi fosse stato un accordo tacito per l’utilizzazione separata ed esclusiva di singole porzioni del bene, avrebbero sempre negato tale circostanza.

4.4. Infine, il quarto motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – “omesso esame circa un punto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, punto costituito dalla mancata partecipazione di uno dei comproprietari all’accordo divisionale scritto richiamato dal C. nelle proprie difese.

5. Il C. ha resistito, con controricorso, al ricorso incidentale, chiedendo che sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Entrambi i ricorsi vanno accolti.

7. Il ricorso principale – i cui due motivi vanno scrutinati congiuntamente, data la loro connessione – e’, infatti, fondato.

7.1. Invero, la Corte territoriale ha effettivamente ecceduto i limiti del proprio potere decisorio, come definiti dall’art. 112 c.p.c..

Sul punto, va evidenziato che quella proposta dai già attori (e poi appellati) B.F. e S. era una domanda con cui essi, in qualità di comproprietari di un bene oggetto di comunione ereditaria, intendevano conseguire il pagamento – in misura corrispondente alle loro quote di comproprietà – del canone di locazione riscosso, per intero, da altro comproprietario, assumendo, come meglio si vedrà nello scrutinare il loro ricorso incidentale, l’inesistenza di qualsivoglia accordo, intervenuto tra tutti i comproprietari, in ordine all’utilizzazione non solo della singola porzione immobiliare oggetto di locazione da parte del C., ma della più ampia “res communis” di cui l’appartamento locato costituiva, appunto, solo una parte.

Il giudice di appello, per contro, sul presupposto che tra i comproprietari fosse intervenuto un accordo per l’utilizzazione, in via esclusiva ancorché in tempi diversi, di singole porzioni del bene comune, ha ritenuto che la pretesa degli attori andasse soddisfatta solo a partire dall’anno 2012 (epoca alla quale la sentenza impugnata ha fatto risalire la cessazione, da parte dei B., dell’uso di quelle ulteriori porzioni della “res communis” – rispetto all’appartamento locato dal C. a terzi – oggetto di loro fruizione esclusiva). Esito, peraltro, al quale la Corte abruzzese è pervenuta ignorando che gli stessi B. avevano circoscritto la loro pretesa al rimborso delle quote del canone di locazione riscosso dal C. dall’agosto (o, al più, dal novembre) del 2001 fino al novembre 2012, giacché nel periodo successivo – secondo quanto attestano nei propri scritti defensionali e come risulta incontroverso tra le parti – essi hanno conseguito direttamente dal terzo conduttore le rispettive quote del canone di locazione di loro spettanza.

La doglianza oggetto del ricorso principale e’, dunque, fondata, dovendo osservarsi che questa Corte, ancora di recente, ha ribadito (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 17 febbraio 2020, n. 3893, Rv. 657148-01), che il potere del giudice d’appello “di dare al rapporto controverso una qualificazione giuridica difforme da quella data dal primo giudice con riferimento all’individuazione della causa petendi”, incontra il solo “limite di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al suo esame” (cfr., sul punto, anche Cass. Sez. 2, sent. 31 marzo 2006, n. 7620, Rv. 589275-01; Cass. Sez. 3, sent. 13 agosto 2004, n. 15764, Rv. 575562-01) “e di non mutare l’effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire” (si veda, al riguardo, pure Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2010, n. 15383, Rv. 613802-01).

Nel caso che occupa, a ben vedere, oltra ad assistersi proprio ad una trasformazione dell’effetto giuridico (riscossione delle quote solo a partire dal 2012) “che la parte ha inteso conseguire”, si realizza anche un “mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato”, evenienza ricorrendo la quale deve ritenersi integrata “una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado, e ciò anche se tali fatti erano già stati esposti nell’atto introduttivo del giudizio al mero scopo di descrivere ed inquadrare altre circostanze”, ciò che esclude che essi, successivamente, possano essere “dedotti con una differente portata, a sostegno di una nuova pretesa, determinando in tal modo l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 11 gennaio 2018, n. 535, Rv. 647219-01, ma nello stesso senso già Cass. Sez. Lav., sent. 12 luglio 2010, n. 16298, Rv. 614527-01; Cass. Sez. Lav., sent. 8 aprile 2010, n. 8342, Rv. 613299-01; Cass. Sez. Lav., sent. 23 marzo 2006, n. 6431, Rv. 587699-01; Cass. Sez. 1, sent. 29 novembre 2004, n. 22473, Rv. 578250-01).

Invero, la sentenza impugnata ha posto a fondamento dell’accoglimento della domanda dei B. non il fatto da essi allegato, ovvero che il C. avesse disposto del bene comune locandolo ad un terzo – in via unilateralmente e senza nulla erogare ai medesimi, a titolo di quota del canone riscosso nei confronti del conduttore, in proporzione alle rispettive quote di comproprietà. La pretesa, per contro, è stata soddisfatta sul diverso presupposto che, una volta cessata, nel 2012, la loro utilizzazione esclusiva di altre parti dello stesso immobile (frutto di un accordo dei quali essi avrebbero ammesso l’esistenza nei propri scritti defensionali), il C. non aveva più ragione per trattenere l’intera somma riscossa quale canone di locazione.

In questo modo, dunque, la Corte territoriale ha ulteriormente violato l’art. 112 c.p.c., dal momento che si ha “modificazione della “causa petendi” anche quando sia diverso il titolo giuridico della pretesa, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche diverse da quelle prospettate in primo grado”, e ciò perché “non va confuso il fatto storico, inteso come avvenimento umano o fattuale intervenuto nella vicenda oggetto di causa, con il fatto giuridico costitutivo, che è invece il fondamento della pretesa creditoria, occorrendo avere unicamente riguardo a quest’ultimo al fine di riscontrare se vi sia stato o meno mutamento della domanda” (così, ancora una volta, Cass. Sez. 62, ord. n. 535 del 2018, cit.).

7.2. Il ricorso principale, pertanto, va accolto.

8. Anche il ricorso incidentale, tuttavia, va accolto, ancorché solo in relazione al suo terzo motivo.

8.1. Il primo motivo – con cui i ricorrenti incidentali si dolgono del fatto che la Corte territoriale avrebbe disatteso la tesi del primo giudice sulla “negotiorum gestio” – è inammissibile.

Esso non si confronta con l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che è quella dell’esistenza di un accordo per l’utilizzazione esclusiva (ancorché in tempi diversi), da parte dei diversi comproprietari, di singole porzioni del bene, “ratio” che – a prescindere dalla sua fondatezza, ciò di cui si dirà nell’esaminare il terzo motivo del ricorso incidentale – ha l’effetto di rendere irrilevanti i principi della gestione di affari, che presuppongono la c.d. “absentia domini”, da intendersi, con riferimento al bene comune, come non conoscenza dell’altrui utilizzazione, ovvero proprio la circostanza che la Corte territoriale ha escluso, ritenendo sussistere, tra i comproprietari, un accordo per l’utilizzazione complessiva del bene del quale faceva parte l’immobile locato.

In relazione, dunque, al motivo in esame deve farsi applicazione del principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso”, sul punto, “rilevabile anche d’ufficio” (cfr. Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01, in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01).

8.2. Anche il secondo motivo risulta inammissibile.

Invero, considerazioni analoghe a quelle appena sopra svolte vanno ripetute nello scrutinarlo, visto che la doglianza in cui esso si risolve (vale a dire, che il giudice di appello abbia dato rilievo, in assenza di una domanda riconvenzionale, ai controcrediti vantatati dal convenuto in relazione all’utilizzazione esclusiva che gli attori avrebbero fatto di altre porzioni del bene comune) risulta, nuovamente, “eccentrica” rispetto al “decisum” della Corte territoriale, visto che tale tema non è stato neppure affrontato dalla sentenza impugnata.

8.3. Fondato e’, invece, il terzo motivo di ricorso, nella parte in cui lamenta un’errata applicazione del principio di non contestazione, e dunque la violazione dell’art. 115 c.p.c..

Tale censura, in primo luogo, risulta formulata nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), avendo i ricorrenti incidentali provveduto a riprodurre stralci dei propri scritti defensionali, idonei a rivelare l’assenza di comportamenti di non contestazione, rispettando, così, i “dicta” di questa Corte secondo cui, “in virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 9 agosto 2016, n. 16655, Rv. 641486-01).

Nel merito, la censura è fondata, perché i B., lungi dall’ammettere – o dal non contestare – che vi fosse stato, tra i comproprietari del bene, un accordo tacito per l’utilizzazione, separata ed esclusiva, di singole porzioni del bene comune, hanno sempre negato tale circostanza, evidenziando, la prima di essi ( B.S.), di aver solo conservato la residenza anagrafica in uno degli appartamenti dell’immobile in questione, trasferendo però altrove il proprio luogo di abitazione sin dall’anno 2002, e sostenendo l’altro ( B.F.) di aver sì utilizzato altra porzione dell’unità immobiliare quale studio professionale (dal 1986 al 2001), ma che essa venne poi adibita ad esposizione mobili dallo stesso convenuto.

Non ricorre, pertanto, il caso in cui (al quale ha dato rilievo questa Corte, per ritenere integrato un comportamento di “non contestazione”), a fronte di una certa iniziativa attorea basata su determinati fatti – qui, l’utilizzazione esclusiva, da parte degli stessi attori, di singole porzioni della più ampia “res communis”, nel quadro di una gestione “concordata” del bene comune – “l’altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi”, sicché essi addirittura “possono considerarsi “pacifici”” (così, da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 29 ottobre 2020, n. 23862, Rv. 659532-01).

8.4. L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento del quarto.

9. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno accolti, nei termini sopra indicati, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Appello de L’Aquila, in diversa composizione, per la decisione nel merito.

10. Il giudice del rinvio, infine, provvederà ad una rinnovata regolamentazione delle spese di lite, ivi comprese quelle relative al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale e per l’effetto cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello de L’Aquila, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi – in forma camerale, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

 

 

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