Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28049 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 09/12/2020), n.28049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28112-2015 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE N. 34, presso lo studio dell’avvocato DONATELLA PLUTINO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2390/2015 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 21/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. D.A. ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio in data 21 aprile 2105, n. 2380, con la quale sono stati dichiarati legittimi gli avvisi di liquidazione emessi dall’Agenzia delle Entrate in revoca delle agevolazioni “prima casa”, previste dalla nota II bis, all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 18, fruite da esso ricorrente, nell’anno 2009, in relazione all’acquisto di un immobile risultato essere, in base ad accertamenti dell’Agenzia delle Entrate avallati dalla commissione, di lusso (e quindi sottratto al regime agevolato) ai sensi ai sensi del D.M. lavori pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, art. 5;

2. l’Agenzia delle entrate ha depositato memoria di costituzione tardiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso, il contribuente lamenta “violazione e falsa applicazione del D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, artt. 5 e 6, deducendo che la commissione ha ritenuto l’immobile in questione, “di lusso”, ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, art. 5, (“Ai sensi e per gli effetti della L. 2 luglio 1949, n. 408, e successive modificazioni ed integrazioni, della L. 2 febbraio 1960, n. 35, e successive modificazioni ed integrazioni, del D.L. 11 dicembre 1967, n. 1150, convertito nella L. 7 febbraio 1968, n. 26, sono considerate abitazioni di lusso:… 5. Le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale avente superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed aventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta”), senza dire alcunchè in merito alla presenza di un’area pertinenziale e senza considerare che i locali nel piano seminterrato risultavano essere, da atti prodotti da esso contribuente, una cantina;

2. il motivo è inammissibile. La commissione ha affermato che, dagli atti di causa (perizia dell’ufficio del territorio, documentazione catastale e atto di compravendita), l’immobile risultava essere “un villino in tre piani, con superficie utile complessiva di 240 mq.” e che, “diversamente da quanto sostenuto dalla perizia di parte, risulta(va) evidente che nella superficie utile abitabile dell’immobile in questione andava compreso anche l’intero piano seminterrato in quanto composto da ambienti abitabili, seppure di altezza inferiore a 2,70”. Queste affermazioni costituiscono l’esito della avvenuta verifica, in conformità al disposto del decreto, del carattere lussuoso del fabbricato. A fronte di esse, il motivo, sotto la rubrica di violazione di legge, prospetta, per un verso, una questione (quella della presenza di un’area pertinenziale scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta), sulla quale la commissione non si sarebbe pronunciata, che, in realtà, è stata prospettata, inammissibilmente (v., tra molte conformi, Cass. n. 14477/2018; n. 25319/2017; n. 5809/1999), solo in questa sede (a pagina 2 dell’atto introduttivo del presente giudizio si legge che il contribuente, nel ricorso originario e nel ricorso in appello, aveva solo contestato che la inclusione della “cantina” nella superficie utile e non anche la presenza di tale area pertinenziale), per altro verso, una questione, su un’ipotetica, minor consistenza del fabbricato, afferente al merito e perciò inammissibile in questa sede di legittimità;

3. con il secondo motivo di ricorso, il contribuente lamenta “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” della sentenza impugnata sostenendo che la commissione non avrebbe congruamente motivato la decisione di avallare l’accertamento dell’ufficio;

4. il motivo è inammissibile in quanto il vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, non è denunciabile in riferimento alla sentenza di cui trattasi, depositata il 21 aprile 2015. Per le sentenze pubblicate dall’8 agosto 2012, ossia dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2102, n. 134, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che nella versione originaria consentiva di denunciare quel vizio, consente, nella versione modificata dal del suddetto D.L. n. 83 del 2012, art. 54, di denunciare il diverso vizio di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (Si ricorda che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 8053, del 7 aprile 2014 hanno affermato che “Le disposizioni sul ricorso per cassazione, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità”);

6. il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

7. non vi è luogo a pronuncia sulle spese in quanto l’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese;

8. all’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), l’obbligo, a carico del ricorrente, di pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, ove dovuto.

PQM

la corte dichiara il ricorso inammissibile;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

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