Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28042 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/12/2020, (ud. 29/09/2020, dep. 09/12/2020), n.28042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 6575 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

D.P.E. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’Avv.to Domenico D’Arrigo, elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’Avv.to Paola Ramadori, in Roma M. Prestinari n. 13;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia n.

229/67/2013, depositata in data 26 luglio 2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29 settembre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

-con sentenza n. 229/67/2013, depositata in data 26 luglio 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, aveva rigettato l’appello proposto da D.P.E. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 3/08/12 della Commissione tributaria provinciale di Brescia che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), notificato il 21.12.2010, con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.f. del 10.11.2010, aveva contestato nei confronti di quest’ultima, esercente attività di commercio all’ingrosso di elettrodomestici, un maggior reddito imponibile, per l’anno 2005, ai fini Ires, Irap e Iva, oltre sanzioni, per quanto di interesse, imputando a ricavi non dichiarati le movimentazioni risultate ingiustificate sui conti correnti bancari intestati ai due soci e riprendendo a tassazione costi per carburante ritenuti indebitamente dedotti, ai fini delle imposte dirette, e, detratti ai fini Iva;

– in punto di fatto il giudice di appello ha premesso che: 1) avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso, previo p.v.c. della G.d.F. del 10.11.2010, dall’Agenzia delle entrate di Brescia, la contribuente D.P.E. s.r.l. aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Brescia limitatamente ai rilievi relativi alla indebita deduzione, ai fini delle imposte dirette, e detrazione, ai fini Iva, di costo per carburante e alla contestazione di maggiore reddito di impresa da indagini bancarie sui conti correnti intestati ai soci; 2) la CTP, con sentenza n. 3/8/12, aveva rigettato il ricorso; 3) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la contribuente deducendo il difetto di motivazione dell’atto impositivo, la mancata allegazione del p.v.c. redatto a carico della Impresa M.P. e C. s.r.l., la nullità dell’avviso per violazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto, l’infondatezza nel merito della pretesa tributaria; 4) aveva controdedotto l’Agenzia chiedendo dichiararsi la inammissibilità ovvero rigettarsi il gravame, con conferma della sentenza di primo grado;

– la CTR, in punto di diritto, ha osservato che: 1) l’avviso di accertamento impugnato, emesso prima della decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni dalla redazione del p.v. di chiusura delle operazioni di verifica, era conforme alla previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, contenendo una espressa motivazione circa l’esistenza di una fondata ragione di urgenza per l’emissione anticipata dell’atto impositivo indicata nella “improrogabile scadenza dei termini di accertamento” per il periodo di imposta in oggetto; 2) a fronte dei dati indicati dall’Ufficio in ordine alla riferibilità alla società dei conti formalmente intestati ai soci, la contribuente non aveva dimostrato la estraneità di ciascuna delle dette operazioni alla propria attività di impresa, essendosi limitata a una generica dichiarazione contenuta nei motivi di ricorso e non supportata da alcun elemento probatorio, secondo cui le movimentazioni in entrata dei conti correnti bancari costituivano il frutto di vendite immobiliari avvenute nel passato;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la previsione di cui all’art. 12, comma 7, cit. – relativa alla necessaria intercorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni tra il rilascio del p.v. di chiusura delle operazioni di verifica e l’emissione dell’atto impositivo – potesse essere derogata dalla indicazione, nella motivazione dell’avviso di accertamento, quale particolare ragione di urgenza, della circostanza della “improrogabile scadenza dei termini di accertamento” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43 per il periodo di imposta in oggetto (2005), senza che l’Ufficio avesse chiarito nè tantomeno provato, nel caso specifico, le ragioni della propria mancata tempestiva attivazione;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2 in combinato con gli artt. 2697-2727 e 2729 c.c., per avere la CTR ritenuto operante la presunzione legale ex artt. 32 e 51 cit. anche con riferimento a movimentazioni effettuate sui conti correnti bancari intestati ai soci, senza richiedere la prova, anche presuntiva, circa la sostanziale riferibilità al soggetto accertato dei conti correnti riferiti a terzi;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR ritenuto operante la presunzione di cui agli artt. 32 e 51 cit. anche con riferimento a movimentazioni su conti correnti intestati a soggetti terzi, senza valutare i dati risultanti dagli atti di vendita allegati al ricorso di primo grado ovvero la riferibilità delle operazioni bancarie contestate alla diversa società “Immobiliare A&36” s.a.s. (acquirente della Impresa Edile M.P. & C. s.r.l. e con sede coincidente con quella della contribuente) di cui erano soci i medesimi soggetti;

– il primo motivo è fondato;

– dalla sentenza impugnata risulta circostanza incontestata l’emissione (con notifica in data 21.12.2010) dell’avviso di accertamento impugnato rilevante prima della decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto dalla redazione in data 10.11.2010 – in pari data della verifica fiscale effettuata nei locali della contribuente – del processo verbale della G.d.F. a chiusura delle operazioni di verifica nonchè la giustificazione da parte dell’Ufficio di tale emissione anticipata dell’atto impositivo con la indicazione, in motivazione, della ragione di urgenza ravvisata nella “improrogabile scadenza del termine di accertamento per il periodo di imposta in oggetto”;

-le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823), premesso che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 si applica ai soli casi di accesso ed ispezioni e verifiche nei locali del contribuente, hanno chiarito che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (Cass., sez. un., n. 24823 del 2015; tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 21071 del 2017; Cass. n. 26943 del 2017); pertanto, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale è stato escluso, relativamente ai tributi non armonizzati, solo per gli accertamenti cd. a tavolino e, cioè, per quelli derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre Pubbliche Amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (da ultimo, Cass. n. 998 del 2018). Questa Corte ha anche chiarito a) che “la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non prevede alcuna distinzione, nemmeno in via interpretativa, tra verbale di chiusura di operazioni di controllo o di mero accesso istantaneo finalizzato ad acquisire documentazione e pertanto risulta arbitrario applicare il termine di 60 giorni distinguendo a seconda del tipo di operazione svolta dall’Ufficio” (Cass. Sez. V, n. 15624/14); b) che la redazione di un verbale è sempre necessaria, “anche in caso di mera acquisizione di documentazione”, alla luce del chiaro disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, per cui “di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia” (Cass. n. 20770 del 2013); c) che una volta redatto il verbale, va, in ogni caso, rispettato l’obbligo di emanare l’avviso solo dopo sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di accesso o di ispezione, salvo casi di particolare e motivata urgenza (Cass., sez. un., n. 18184 del 2013; Cass. n. 15624 del 2014 e 9424 del 2014). “La garanzia di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso, come prescrive il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6” (Cass. n. 15624 del 2014, da ultimo Cass. n. 19259 del 2017);

-“In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, ove siano eseguiti più accessi nei locali dell’impresa per reperire documentazione strumentale all’accertamento, il termine di sessanta giorni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, decorre dall’ultimo accesso, in quanto postula il completamento della verifica e la completezza degli elementi dalla stessa risultanti, essendo posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio, in modo da attribuire al contribuente un lasso di tempo sufficiente a garantirgli la piena partecipazione al procedimento ed ad esprimere le proprie valutazioni” (Cass. sez. VI-5 n. 18110/16);

-invero, a far tempo dalla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184/13 – ripresa e confermata dalla sentenza S.U. n. 24823/15 – si è affermato l’orientamento per cui la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, “deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del temine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni” (ed “indipendentemente da/fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali: (Cass. n. 15010/14; 9424/14, 5374/14, 20770/13, 10381/14, come si ha cura di precisare in Cass., sez. un., n. 24823 del 2015) – “determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”; con la precisazione che “il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativi dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (ex multis, da ultimo, Cass. nn. 7897 del 2016, 7601 del 2016, 7218 del 2016, 5365 del 2015, 14287 del 2014, 1563 del 2014, 25118 del 2014, 25759 del 2014).

-da ultimo, nelle sentenze n. 701 e 702 del 2019, la Corte ha espresso i principi – che il Collegio condivide e ai quali intende dare continuità secondo cui “1) la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex onte in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non; 2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario; 3) per i tributi armonizzati la necessità della “prova di resistenza”, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità”;

– in particolare, questa Corte ha chiarito che, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, “la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (Cass. civ., 10 aprile 2018, n. 8749), ben potendo, invece, l’Amministrazione offrire come giustificazione dell’urgenza la prova che l’esercizio nell’imminenza della scadenza del termine sia dipeso da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso sull’attività accertativa fino al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, a pena di vedere dissolta la finalità di recupero delle imposte ritenute non versate dal contribuente. Non è, quindi, l’imminenza della scadenza del termine ad integrare l’urgenza, ma, semmai, l’insorgenza di fatti concreti e precisi che possono rendere giustificata l’attivazione dell’Ufficio quando non può più essere rispettato il termine dilatorio a pena di vedere decaduta l’Amministrazione” (per esempio in caso di reiterate violazioni delle leggi tributarie aventi rilevanza penale oppure per la partecipazione del contribuente ad una frode fiscale come da Cass. civ., sez. 6-5, 2 luglio 2018, n. 17211; Cass., sez. 5, n. 27623 del 2018; Sez. 6 – 5, n. 22786 del 2015; da ultimo Cass., sez. 5, n. 33649 del 2019; sez. 5, Cass. n. 15755 del 2020);

-nella sentenza impugnata, la CTR non ha fatto buon governo dei suddetti principi in quanto- non trattandosi di un controllo “a tavolino”, dal momento che, come si evince anche dallo stesso controricorso, l’accertamento aveva avuto origine dalla verifica fiscale effettuata nei locali aziendali durante la quale era stata rinvenuta sia contabilità della società relativa alle schede carburante che la documentazione afferente i c/c bancari formalmente intestati ai soci – ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione emesso prima della decorrenza del termine di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto dal rilascio del processo verbale dell’avvenuto accesso, in base alla mera indicazione in motivazione della ragione di urgenza ravvisata nella “improrogabile scadenza dei termini di accertamento per il periodo di imposta in oggetto”, senza che l’Amministrazione avesse offerto come giustificazione della assunta urgenza l’insorgenza di fatti concreti e precisi, ad essa non imputabili, determinanti la propria mancata tempestiva attivazione;

– l’accoglimento del primo motivo – vertente sul motivo assorbente di nullità dell’avviso di accertamento emesso ante tempus – rende inutile la trattazione dei restanti motivi comportandone l’assorbimento;

– in conclusione, va accolto il primo motivo, assorbiti gli altri; con cassazione della sentenza impugnata e, decidendo nel merito, con accoglimento del ricorso originario della società contribuente;

-stante il consolidamento della giurisprudenza di legittimità in materia dopo la proposizione del ricorso per cassazione, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

la Corte:

– accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della società contribuente; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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