Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28040 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 31/10/2019), n.28040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19260/2018 proposto da:

M.M.L., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCO PAOLO LONGO MINNOLO;

– ricorrente –

contro

FONDO DI ROTAZIONE PER LA SOLIDARIETA’ ALLE VITTIME DEI REATI DI TIPO

MAFIOSO PRESSO IL MINISTERO 1749 DELL’INTERNO, A.M.,

SERVIZIO CENTRALE PROTEZIONE PRESSO DIPARTIMENTO PS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2399/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

M.M.L. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Catania A.M. ed il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso presso il Ministero dell’Interno chiedendo il risarcimento del danno conseguente all’omicidio del coniuge F.A. ad opera dell’ A. come accertato con giudicato penale. Il Tribunale adito accolse la domanda nei confronti del solo A., condannandolo al pagamento della somma di Euro 531.159,76. Avverso detta sentenza propose appello la M.. Con sentenza di data 21 dicembre 2017 la Corte d’appello di Catania rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che dal giudicato penale emergeva che la condanna dell’ A. era stata pronunciata per reati diversi da quelli indicati dalla L. n. 512 del 1999, art. 4, comma 1 (art. 416 bis c.p., delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste da quest’ultimo articolo e delitti commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso), ed in particolare per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi (la causa era l’avere il F. schiaffeggiato presso una discoteca la fidanzata di tale D.L.G., donna con cui il F. medesimo in passato aveva avuto una relazione), senza alcun riferimento all’impiego della forza intimidatrice del vincolo dell’associazione mafiosa o al raggiungimento dei fini del sodalizio mafioso, e men che meno senza contestazione della speciale aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (reato commesso avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis, o allo scopo di agevolare l’associazione prevista da tale articolo). Aggiunse che l’applicazione dell’attenuante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 8, era correlata alla presa d’atto della dissociazione dal contesto criminoso di A.M. ed all’utilità del contributo fornito per la ricostruzione dei fatti. Osservò inoltre che, anche volendo prescindere dall’effetto vincolante del giudicato, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia A. e S. si evinceva chiaramente il movente (squisitamente personale del D.L.) dell’omicidio (la ritorsione per lo schiaffeggiamento) e che tali dichiarazioni “escludono che l’omicidio promanasse dal sodalizio mafioso”. Aggiunge che “l’autorizzazione da parte del vice capo del sodalizio di per sè è insufficiente a ricollegare il delitto all’associazione”.

Ha proposto ricorso per cassazione M.M.L. sulla base di un motivo. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 512 del 1999, art. 4,artt. 651 e 648 c.p.p., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Premette la ricorrente che il GUP del Tribunale di Catania nella sentenza di condanna aveva affermato che “per commettere il delitto era necessaria (stante in quel momento la impossibilità di contattare il capo indiscusso dell’organizzazione, S.N., da poco arrestato) l’autorizzazione del “vice rappresentante” della “famiglia” Ma.Fr., al quale pertanto A. si rivolse andandolo a trovare…il Ma. concesse l’autorizzazione per ambedue gli omicidi…tale movente sia espressione delle distorte logiche prevaricatrici delle consorterie mafiose, in forza delle quali vengono commessi anche i più efferati delitti (come quello in esame) colpendo chiunque entri in contrasto, anche per banali ragioni personali, con esponenti dell’organizzazione”; inoltre, a proposito dell’attenuante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 8, aveva affermato che A. aveva “contribuito in maniera decisiva, con il proprio comportamento processuale, alla ricostruzione della vita della consorteria criminale (nel cui ambito sono maturati gli episodi delittuosi oggetto del presente processo)”. Osserva quindi la ricorrente che con il giudicato penale era stata stabilita la matrice mafiosa dell’omicidio e che l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, non poteva essere contestata trattandosi di reato punito con l’ergastolo, ma ciò non escludeva che si fosse trattato di un omicidio di mafia (avvenuto nella pubblica piazza, dopo l’autorizzazione del reggente del clan S., con evocazione della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo).

Il motivo è infondato. La ricorrente denuncia la violazione del giudicato penale senza tuttavia considerare i limiti oggettivi del giudicato alla stregua dell’art. 651 c.p.p., e cioè il riferimento al fatto, alla sua illiceità penale ed alla sua commissione da parte dell’imputato. Ed invero si pretende di estendere l’efficacia del giudicato oltre i contorni rigorosi della fattispecie penale, per allargarla a singoli passaggi motivazionali funzionali, ma non coincidenti, con l’oggetto del giudicato, che resta il fatto di reato. Il giudicato, quale norma giuridica del caso concreto, può formarsi solo sugli elementi della fattispecie penale, e non su meri passaggi motivazionali o su premesse logico-giuridiche della statuizione adottata. Avuto riguardo all’oggetto della censura, ed in particolare ai passaggi motivazionali richiamati, non vi è dunque violazione del giudicato penale.

Peraltro della L. n. 512 del 1999, stesso art. 4, richiamando il delitto di cui all’art. 416- bis c.p., i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal medesimo art. 416 bis ed i delitti commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, fa riferimento ad una fattispecie penale in senso tecnico.

Indipendentemente dall’efficacia del giudicato, il giudice di merito ha tuttavia accertato, con giudizio di fatto insindacabile nella presente sede di legittimità se non nei limiti del vizio motivazionale non specificatamente denunciato, che “l’autorizzazione da parte del vice capo del sodalizio di per sè è insufficiente a ricollegare il delitto all’associazione” e che l’omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, non era da collegare all’impiego della forza intimidatrice del vincolo dell’associazione mafiosa o al raggiungimento dei fini del sodalizio mafioso, ossia agli elementi connotanti la fattispecie di cui all’art. 416 bis, comma 3.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione, in mancanza della partecipazione delle parti intimate.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della insussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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