Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28040 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/12/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 09/12/2020), n.28040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – M. –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23596/2014 proposto da:

AB. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

G.F., entrambi rappresentati e difesi in due distinti ricorsi

dall’Avv. Nicola Stolfi domiciliati presso la Cancelleria della

Corte;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 10/2/2014 della COMM.TRIB.DI SECONDO GRADO DI

TRENTO, depositata il 10/2/2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/9/2020 dal consigliere Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

-Con sentenza n. 10/2/2014 depositata in data 10 febbraio 2014 la Commissione tributaria di secondo grado di Trento dichiarava cessata la materia del contendere con riguardo al ricorso IRPEF 2004 di F.N. e, in accoglimento nel resto dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, riformava la sentenza n. 18/1/11 della Commissione tributaria di primo grado di Trento rigettando i ricorsi della società Ab. S.r.l. e di G.F., aventi ad oggetto avvisi di accertamento, rispettivamente, per IVA e IRAP 2004 e per IRPEF 2004.

-In particolare, la CT di primo grado riuniva i ricorsi dei due soci N. e G., relativi a reddito da partecipazione non dichiarato, con il ricorso della società, per ricavi non dichiarati in forza di accertamento analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies fondato sull’antieconomicità aziendale non giustificata in sede di contraddittorio endoprocedimentale.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società per quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso. Con ricorso successivo affidato a quattro analoghi motivi, anche G.F. impugnava la decisione, e l’Agenzia replicava con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

-I due ricorsi connessi oggettivamente e soggettivamente, in quanto proposti avverso la medesima decisione, con le medesime parti e svolgenti medesime difese, devono essere riuniti.

– Con il quarto motivo di entrambi i ricorsi, da affrontarsi prioritariamente in quanto attinente a questione preliminare alla disamina del merito, i contribuenti ripropongono – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la questione della violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente per il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni anteriori alla notifica dell’atto impositivo impugnato, in assenza di motivi di urgenza.

– Il motivo è inammissibile. Per espressa dichiarazione dei ricorrenti, si tratta della mera riproposizione della questione già dichiarata tardiva dal giudice di primo, accertamento confermato dal giudice di secondo grado, e i ricorsi non aggrediscono in alcun modo tale motivazione della CTR deducendo fatti decisivi e contrari ritualmente introdotti nel processo e non valutati dai giudici del merito.

– Con il primo motivo di entrambi i ricorsi i contribuenti censurano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione quanto all’incongruità fra il reddito dichiarato emergente dalle scritture contabili e il tenore della famiglia dei soci, senza considerare che F.N. sarebbe titolare non di un immobile di 1358 mq, come affermato dall’Agenzia e condiviso dal giudice di appello, ma di un appartamento di modeste dimensioni nel quale vive con la famiglia.

– Con il secondo motivo di ciascun ricorso i contribuenti deducono – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 per le statuizioni assunte dal giudice d’appello in tema di redditi determinati in base alle scritture contabili e alla possibilità di rettifica delle stesse, essendo inesistente l’asserito squilibrio fra reddito dichiarato e tenore di vita, nè indicate le fonti probatorie da cui viene tratto il convincimento dell’acquisto da parte del F. di un intero edificio di 1358 mq; inoltre, come affermato dalla decisione di primo grado, sarebbe comunque insufficiente la motivazione dell’atto impositivo basato su meccanismi induttivi e presuntivi, e l’attività di impresa, mai in perdita, a differenza di quanto ritenuto non sarebbe antieconomica tenuto conto della natura familiare della stessa.

– Con il terzo motivo di entrambi i ricorsi i contribuenti ripropongono ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 – la doglianza già formulata in sede di merito e accolta dal giudice di primo grado, ma non da quello di appello, del ricorso da parte dell’Agenzia a coefficienti presuntivi errati e a studi di settore incongrui rispetto alla specifica realtà produttiva della società a base famigliare.

– I motivi sono inammissibili, in accoglimento dell’eccezione preliminare formulata nei controricorsi. La Corte reitera che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.” (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332). Le censure non deducono e dimostrano con prove ritualmente introdotte nel processo fatti decisivi e contrari alla decisione impugnata non valutati dal giudice d’appello, e si risolvono in una richiesta di sostanziale rinnovazione del giudizio di valutazione del quadro probatorio, riservata al giudice del merito e preclusa nel presente giudizio di legittimità.

– Da quanto precede discende il rigetto del ricorso per inammissibilità dei motivi, e a ciò segue secondo soccombenza il regolamento delle spese di lite, poste a carico dei ricorrenti in solido e liquidate in dispositivo come fosse uno solo il controricorso, tenuto conto dell’identità di difese svolte dall’Agenzia.

P.Q.M.

riunisce i due ricorsi proposti dalla società Ab. Srl e da G.F.;

rigetta i ricorsi riuniti per inammissibilità dei motivi e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione alla controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. La Corte dà atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 comma 17 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis testo unico spese di giustizia, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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