Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28039 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 31/10/2019), n.28039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10260/2018 proposto da:

MARGHERITA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO ORBIRELLI, 31, presso lo

studio dell’avvocato MARIA ELENA RIBALDONE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PILADE LANERO;

– ricorrente –

contro

PARIGI IMMOBILIARE SRL, in persona dell’amministratore unico

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 11,

presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO TOBIA, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati MARIA GIOVANNA PIZZORNI, CRISTINA

PIZZORNI, PIER GIORGIO PIZZORNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 80/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 30/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

Parigi Immobiliare s.r.l. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Genova Margherita s.p.a. chiedendo la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare della locazione di area ad uso commerciale nonchè il risarcimento del danno. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello Parigi Immobiliare s.r.l.. Con sentenza di data 30 gennaio 2018 la Corte d’appello di Genova accolse l’appello, dichiarando la risoluzione del contratto per inadempimento di Margherita s.p.a. e condannando quest’ultima al risarcimento del danno determinato all’attualità nella misura di Euro 200.000,00.

Osservò la corte territoriale, avuto riguardo alla circostanza che l’area doveva essere divisa per la locazione di due spazi distinti (l’uno all’appellata e l’altro a Agrifarma s.p.a.) destinati a due supermercati, che la clausola che parlava di un obbligo a concordare il progetto relativo alla divisione dell’immobile doveva essere interpretata alla luce della buona fede nel senso che l’onere della predisposizione del progetto gravasse su Margherita (e Agrifarma), all’esito del quale Parigi Immobiliare avrebbe presentato domanda di frazionamento, come si evinceva dal fatto che la stessa Margherita avesse affermato di avere elaborato molteplici schemi di divisione discussi con la promittente locatrice e Agrifarma, sicchè non poteva che imputarsi a Margherita la mancata predisposizione di un progetto idoneo a consentire l’apertura dei due supermercati. Aggiunse, sulla base della ritenuta esaustiva ed accurata CTU, che benchè per un supermercato alimentare di mq. 720 fosse necessario uno spazio a parcheggio di mq. 1.800,00, la previsione nell’immobile di un esercizio per il quale non era richiesto parcheggio (parafarmacia) consentiva la riduzione del parcheggio a mq. 1.600,00, come richiesto in contratto dalla stessa Margherita, evidentemente tenendo già conto dell’abbattimento derivante dalla presenza dell’esercizio di vicinato” corrispondente alla parafarmacia. Osservò inoltre, premesso che sulla base di un’interpretazione secondo buona fede del contratto le due conduttrici non potevano essere intese come entità drasticamente distinte (Agrifarma era stata coinvolta nella locazione da Margherita ed erano stati questi due soggetti i principali protagonisti delle riunioni per discutere del progetto divisionale, inoltre nel contratto preliminare di Agrifarma si parlava dell’impegno ad aprire un esercizio commerciale “in concomitanza con l’apertura di Margherita s.p.a.”), che fra Margherita e Agrifarma avrebbe potuto avvenire una sorta di scambio di aree, consentendo che Margherita fruisse della parte di parcheggio eccedente quello necessario ad Agrifarma,. Concluse sul punto che, essendo stata messa a disposizione da Parigi Immobiliare una superficie complessivamente sufficiente, era imputabile a Margherita il mancato perfezionamento del progetto divisionale (peraltro non era stato predisposto neanche il capitolato d’appalto per le opere necessarie per la divisione), travolgendo anche la possibilità di addivenire al contratto con Agrifarma.

Osservò, quanto al risarcimento del danno, premesso che Margherita non aveva contestato l’ammontare del canone pattuito allegato dalla controparte, che il danno era pari ai canoni non corrisposti da marzo 2014, epoca in cui sarebbe dovuta iniziare la locazione con Margherita e Agrifara, a luglio 2014 (epoca di inizio della locazione con Basko s.p.a.) pari ad Euro 50.000,00, mentre quanto alle successive mensilità la differenza fra Euro 960.000,00 (pari al canoni complessivi che si sarebbe incassato nei sei anni di rapporto di locazione con Margherita e Agrifara) ed Euro 795.000,00 (pari al canone complessivo ricavabile dalla locazione con Basko s.p.a. per la durata di sei anni) pari ad Euro 165.000,00 doveva essere ridotta per essere rimasta esclusa dalla locazione con Basko una porzione ulteriore rispetto a quella prevista per le due promissarie conduttrici, sicchè il danno ammontava complessivamente ad Euro 150.000,00 (all’attualità 200.000,00).

Ha proposto ricorso per cassazione Margherita s.p.a. sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione alla L.R. n. 1 del 2007, artt. 24 e 16; con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 1375 c.c.. Osserva la ricorrente che la CTU (condivisa dal giudice di appello), nonostante avesse accertato la necessità di munire il supermercato per la superficie di mq. 720 di un parcheggio di mq. 1.800, ha ritenuto realizzabile il supermercato ritenendo erroneamente inclusi nel contratto i due esercizi (supermercato e parafarmacia), laddove nel contratto si prevede solo la facoltà concessa dalla promittente locatrice di attivare all’interno del supermercato una parafarmacia con la medesima insegna “(OMISSIS)”, senza quindi che ciò modifichi la natura del supermercato e dunque l’estensione del parcheggio nella misura di mq. 1.800, conformemente alla normativa regionale. Aggiunge, quanto alla soluzione alternativa prospettata dalla CTU di una diversa distribuzione degli spazi fra i due operatori commerciali rispetto a quelli previsti in contratto (consentendo a Margherita di fruire della parte di parcheggio eccedente quello necessario ad Agrifarma), che non era possibile procedere alla modifica degli accordi contrattuali stante la loro distinta individualità giuridica, non potendo l’uno operatore modificare il contratto di cui era parte l’altro operatore (e comunque Agrifarma non avrebbe potuto cedere a Margherita l’area di mq. 200 da adibire a parcheggio).

I due motivi, trattati unitariamente dalla ricorrente, sono inammissibili. La prima censura attiene ad un errore interpretativo del contenuto contrattuale di cui sarebbe affetta la decisione sulla scorta della CTU. Oggetto della censura è dunque il risultato interpretativo cui la corte territoriale è pervenuta con riferimento al contratto in questione. Il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della assenza di vizi della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (fra le tante Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465).

La seconda censura attiene ad una asserita violazione del principio di relatività degli effetti negoziali, contemplato dall’art. 1372 c.c., che si sarebbe verificata per avere la corte territoriale preteso da Margherita s.p.a. un comportamento tale da incidere sul contratto stipulato dall’altro operatore commerciale. La censura non intercetta la ratio decidendi, la quale attiene alla complessiva valutazione del comportamento della ricorrente alla stregua del programma negoziale e dell’inclusione nella condotta prevista dal contratto, secondo il giudizio di fatto del giudice di merito, anche di un dovere di attivarsi presso l’altro operatore commerciale per addivenire ad uno scambio di aree. In tal modo il giudice di merito non ha certo inteso che la ricorrente avesse il potere di modificare il regolamento contrattuale stipulato da altri, ma ha solo valutato il comportamento della ricorrente che ha reputato, sulla base del proprio giudizio di fatto, contrattualmente dovuto.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 115 c.p.c., artt. 2697,1453,1372 e 1362 c.c. e segg.. Osserva la ricorrente che la motivazione è incomprensibile e dunque mancante. Precisa che in base alla clausola che parlava di un obbligo a concordare il progetto relativo alla divisione dell’immobile doveva ritenersi obbligata anche la promittente locatrice e che, anche ipotizzando che l’obbligo fosse solo della promissaria conduttrice, stante la carenza di prova dell’inadempimento, si sarebbe dovuta istruire la causa al fine di valutare il soggetto che non si era attivato adeguatamente. Conclude nel senso che la corte territoriale non era stata in grado di configurare un inadempimento in capo a Margherita e che l’obbligo di predisporre il capitolato dei lavori poteva diventare efficace solo in epoca successiva all’intervenuto accordo sul progetto di divisione.

Il motivo è inammissibile. Sotto le spoglie di una denuncia di motivazione apparente, la censura mira in realtà a sindacare il giudizio di valutazione della prova svolto dal giudice di merito e, nuovamente, il risultato interpretativo circa il contenuto negoziale. La lettura delle risultanze processuale resta rimessa alla competenza del giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti del vizio motivazionale, nella specie non specificatamente denunciato, avendo la ricorrente denunciato solo l’assenza di motivazione per il solo fatto della riconosciuta esistenza dell’inadempimento, in contrasto a quelle che, secondo la lettura della medesima ricorrente, sarebbero le risultanze processuali. Infine non attinge la ratio decidendi la parte di censura relativa alla predisposizione del capitolato dei lavori, trattandosi di passaggio motivazionale chiaramente non costituente il motivo portante della decisione.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1225 c.c.. Osserva la ricorrente che, facendo applicazione del criterio di prevedibilità del danno di cui all’art. 1225, l’obbligazione risarcitoria si sarebbe dovuta limitare al periodo di vigenza del contratto preliminare, poi risolto, senza estenderlo, in modo spropositato ed imprevedibile, ai primi sei anni di durata della locazione, limitando così il danno al differimento della conclusione del contratto con Basko s.p.a.. Aggiunge che la corte territoriale avrebbe dovuto valutare la natura eccessiva del canone richiesto complessivamente a Margherita e Agrifarma, mentre conforme ai valori immobiliari dell’epoca era il canone previsto dal contratto stipulato con Basko.

Il motivo è infondato. il giudice di merito ha determinato il danno, per la parte eccedente l’importo di Euro 50.000,00, sulla base della differenza fra il canone che sarebbe stato percepito se i contratti, stipulati rispettivamente con la ricorrente e Agrifarma, avrebbe avuto esecuzione ed il canone, di importo inferiore, previsto dal contratto con Basko, sul presupposto che i due contratti sono rimasti ineseguiti per il comportamento inadempiente di Margherita. In tal modo ha liquidato il danno corrispondente al mancato guadagno nel pieno rispetto dell’art. 1223 c.c.. Quanto al resto la censura si sofferma sul profilo della coerenza del canone ai valori di mercato che è profilo, oltre che inerente al giudizio di fatto e dunque insindacabile nella presente sede di legittimità, non pertinente con riferimento ad un ammontare del canone contrattualmente stabilito.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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