Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28038 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 31/10/2019), n.28038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8346/2018 proposto da:

T.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato EZIO

GUERINONI;

– ricorrente –

contro

M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1305/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 07/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

M.G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo, con contestuale istanza di sequestro giudiziario, T.D. chiedendo la risoluzione del contratto con cui l’attore aveva ceduto al convenuto, con riserva della proprietà, azienda per l’esercizio di attività di bar e ristorante per il prezzo di Euro 100.000,00 (di cui Euro 20.000,00 per l’attrezzatura ed Euro 80.000,00 per l’avviamento), con consegna da parte del convenuto di cambiali di pari valore, nonchè il risarcimento del danno per la perdita dell’avviamento commerciale pari a non meno di Euro 80.000,00. Il convenuto rimase contumace. Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda, dichiarando risolto il contratto e condannando il convenuto al pagamento della somma di Euro 80.000,00 a titolo risarcitorio. Avverso detta sentenza propose appello T.D.. Con sentenza di data 7 settembre la Corte d’appello di Brescia rigettò l’appello, condannando l’appellante alla rifusione delle spese processuali.

Osservò la corte territoriale, premesso che il M. aveva dal giugno 2011 omesso di presentare all’incasso le cambiali visto che quelle già scadute non erano stato pagate con addebito delle spese di protesto, che la circostanza della perdita dei beni non era stata oggetto di adeguata contestazione nè di impugnativa, sicchè sul punto si era formato il giudicato, nè risultava provato il contrario, essendovi contestazione generica del preteso danno, e che benchè negli atti si facesse riferimento al verbale di sequestro, questo non vi era nel fascicolo. Aggiunse che mentre la quantificazione del valore dell’avviamento risultava documentalmente, era onere dell’appellante provare che le risultanze del verbale di sequestro non potevano essere considerate e/o che la perdita delle autorizzazioni non si era verificata e che il locale oggetto di cessione aziendale fosse stato gestito da altra impresa era pacifico e documentato. Osservò inoltre che il danno era direttamente conseguente al mancato pagamento del prezzo, agli oneri per il protesto delle prime cambiali, alla necessità di attivarsi quanto ai terzi immessi nel possesso dell’azienda, e che per di più parte dei beni aziendali era scomparsa, mentre la domanda di restituzione delle somme corrisposte dal T. era stata introdotta per la prima volta in appello. Aggiunse che non era censurabile la quantificazione del danno per l’inadempimento accertato e per le altre circostanze (cessione a terzi e perdita dei beni aziendali) nella misura di Euro 80.000,00, con relativo capo di sentenza censurato in modo generico e comunque senza idonea prova di una minore quantificazione del danno. Concluse, quanto all’ultimo motivo di appello, che in base all’art. 91 c.p.c., la condanna alle spese conseguiva alla soccombenza e che in presenza di parziale soccombenza l’ammontare delle spese veniva definito dal giudice in modo discrezionale.

Ha proposto ricorso per cassazione T.D. sulla base di cinque motivi. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115,156 e 169 c.p.c., artt. 74,77 e 87 att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che era stata contestata la circostanza che i beni fossero andati dispersi essendo stato nell’atto di appello affermato che la stessa sentenza aveva confermato che i terzi avevano continuato ad esercitare la medesima attività commerciale e che sempre nell’atto di appello era stata contestata la mancanza di prova circa la quantificazione del danno, affermando che la perdita dell’avviamento commerciale avrebbe dovuto essere provata dall’attore e non ritenuta in re ipsa. Aggiunge che la corte territoriale ha erroneamente posto a fondamento della decisione un documento, quale il verbale di sequestro, che la stessa corte indica come mancante nel fascicolo.

Il motivo è inammissibile. Rilevare che era stata contestata la circostanza che i beni fossero andati dispersi essendo stato nell’atto di appello affermato che la stessa sentenza aveva confermato che i terzi avevano continuato ad esercitare la medesima attività commerciale è motivo di censura che non raggiunge la critica della decisione per mancanza di decisività. L’esercizio dell’azienda da parte di terzi non esclude infatti che i beni possano essere andati dispersi.

Quanto alla censura relativa alla mancanza di prova del danno per perdita dell’avviamento commerciale, con l’argomento che tale danno non poteva essere ritenuto in re ipsa, il motivo risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto il ricorrente non ha indicato sul punto quale sia stato il contenuto della motivazione della sentenza di primo grado in modo da poter apprezzare il livello di specificità e di inerenza alla decisione impugnata del motivo di appello. Non conoscendo sulla base del ricorso quale fosse il contenuto sul punto della motivazione della decisione di primo grado il Collegio non è in grado di scrutinare il motivo.

Infine è estraneo alla ratio decidendi il rilievo secondo cui la corte territoriale ha posto a fondamento della decisione un documento, quale il verbale di sequestro, che la stessa corte indica come mancante nel fascicolo. Una tale fondamento decisionale non è rinvenibile nella decisione impugnata.

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che, con riferimento al riconoscimento nella sentenza di primo grado del danno risarcibile in termini di valore dell’avviamento commerciale, era stato con l’appello rilevato che tale danno doveva essere provato e che non era in re ipsa e che sul punto la motivazione della decisione di appello è inesistente. Aggiunge che a fronte del motivo di appello secondo cui il Tribunale aveva recepito la valutazione di Euro 80.000,00 senza motivare e che sarebbe stato onere dell’attore dimostrare l’equivalenza del danno all’avviamento totale, la corte territoriale si è limitata a rilevare che non era censurabile la quantificazione del danno in Euro 80.000,00, sicchè anche per tale aspetto la decisione è priva di motivazione.

Il motivo è infondato. Sulla questione del danno per perdita di avviamento commerciale la motivazione non è inesistente, avendo affermato la corte territoriale che la censura era stata formulata in modo generico e che comunque non era stata offerta controprova di una minore quantificazione del danno.

Circa l’ulteriore censura di mancanza di motivazione il motivo risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto il ricorrente non ha nuovamente indicato sul punto quale sia stato il contenuto della motivazione della sentenza di primo grado in modo da poter apprezzare il livello di specificità e di inerenza alla decisione impugnata del motivo di appello e di sufficienza quindi dell’argomento della corte territoriale ai fini dell’integrazione del requisito motivazionale. Di nuovo va osservato che non conoscendo sulla base del ricorso quale fosse il contenuto sul punto della motivazione della decisione di primo grado il Collegio non è in grado di scrutinare il motivo.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 329 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che, come affermato nel motivo precedente, era stata contestata con l’atto di appello la circostanza per cui i beni sarebbero andati dispersi ed inoltre che è incomprensibile come la sentenza abbia ravvisato un giudicato sul punto non essendovi uno specifico capo della sentenza di primo grado in cui si affermi che i beni aziendali erano andati perduti. Aggiunge che la perdita delle autorizzazioni non era oggetto del giudizio di appello in quanto il relativo danno era stato escluso dal Tribunale e che la sentenza, nel motivare sulla quantificazione del danno, ha fatto riferimento alla perdita dei beni aziendali non oggetto del giudizio di appello in quanto la relativa domanda era stata in primo grado disattesa per non essere stato provato il relativo valore. Osserva inoltre che nell’atto di appello era stato formulato il motivo di censura secondo cui era stato riconosciuto un risarcimento di Euro 80.000,00 nonostante che l’attore avesse incassato una parte del prezzo e mantenesse il possesso delle cambiali da azionare in sede esecutiva e che vi è omessa pronuncia su tale motivo di appello. Osserva ancora che la corte territoriale ha affermato che la domanda di restituzione delle somme corrisposte dal T. era stata introdotta per la prima volta in appello, mentre una simile domanda non vi era avendo lo stesso T. con l’atto di appello affermato che la domanda di restituzione non poteva essere proposta in quanto nuova.

Il motivo è fondato per quanto di ragione. Circa la quantificazione dei danni nella motivazione della sentenza si fa riferimento alla perdita dell’autorizzazione ed in più occasioni alla perdita dei beni aziendali. Il ricorrente sul punto ha specificatamente indicato quale sia stato il contenuto della motivazione di primo grado, e cioè l’esclusione di tali voci di danno. L’assolvimento dell’onere processuale di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, consente al Collegio di accedere agli atti del processo di merito, data la natura processuale della violazione denunciata. Il Tribunale ha in effetti affermato che non vi è prova del danno per perdita delle autorizzazioni commerciali e che non è provato il valore dei beni costituenti l’azienda. Non risultando proposto appello incidentale sul punto, sulla relativa statuizione si è formato il giudicato interno. Ricorre dunque la denunciata violazione del giudicato nella misura in cui la corte territoriale include nel danno voci escluse dal Tribunale con statuizione non impugnata dall’appellato.

Fondata è anche la denuncia di omessa pronuncia su motivo di appello. In adempimento dell’onere processuale di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente ha ritrascritto il motivo di appello, rispetto al quale effettivamente si rileva la mancanza di pronuncia nella decisione impugnata.

Infine privo di decisività è il rilievo sulla domanda che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, non sarebbe stata proposta in quanto trattasi di questione che resta estranea al fondamento della decisione.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223,2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che nella quantificazione del danno risultano erroneamente indicati fattori coperti dal giudicato e che il rilievo della mancanza di idonea prova di una minore quantificazione del danno rappresenta una violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio, dovendo il danneggiato fornire la prova del danno.

Il motivo è in parte assorbito ed in parte inammissibile. Sulla questione del giudicato il motivo è da ritenere assorbito per effetto dell’accoglimento del motivo precedente. Sull’altra questione la censura resta estranea alla ratio decidendi perchè ciò che ha inteso affermare la corte territoriale è che a fronte della quantificazione del danno cui il Tribunale era pervenuto non risulta offerta una controprova da parte dell’appellante o l’allegazione di fatti modificativi o estintivi.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che con il motivo di appello si era inteso affermare che la soccombenza reciproca è integrata anche dall’accoglimento parziale della domanda, sicchè si sarebbe dovuta disporre la compensazione delle spese.

Il motivo è inammissibile. La valutazione se ricorrere alla compensazione delle spese è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito, mentre il motivo di censura attiene al limite di legittimità dell’esercizio del potere (discrezionale) di compensazione delle spese.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo per quanto di ragione, rigettando per il resto il ricorso, con il parziale assorbimento del quarto motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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