Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28036 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. II, 21/12/2011, (ud. 28/11/2011, dep. 21/12/2011), n.28036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.M., rappresentato e difeso, per procura speciale in

calce al ricorso, dagli Avvocati Bruno Antonello e Vittoriano Bruno,

elettivamente domiciliato in Roma, via Giovanni Pierluigi da

Palestrina n. 19, presso lo studio dell’Avvocato Fabio Francesco

Franco;

– ricorrente –

contro

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO AGRICOLTURA DI BRINDISI, in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocato Gennarini Alessandro per procura speciale a margine del

controricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via del Cancello n.

20, presso lo studio dell’Avvocato Luigi Pedone;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di

Francavilla Fontana n. 269 del 2005, depositata in data 17 ottobre

2005;

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Tribunale di Brindisi ha rigettato l’opposizione proposta da G.M. avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Brindisi, per il pagamento della sanzione di Euro 5.146,57 relativa alla violazione della L. n. 122 del 1992, art. 10 per avere esercitato l’attività di autoriparazione in assenza della prescritta iscrizione;

che il Tribunale ha innanzitutto disatteso la censura di violazione della L. n. 241 del 1990, art. 2 ritenendo non applicabile al procedimento sanzionatorio la normativa in materia di procedimento amministrativo;

che ha poi disatteso il motivo di opposizione con il quale l’opponente si doleva del fatto che non aveva avuto luogo l’audizione che aveva richiesto all’autorità amministrative, osservando che la Camera di Commercio aveva provveduto a convocare l’opponente, il quale non si era presentato;

che il Tribunale ha infine rilevato che dal rapporto dei Carabinieri e dalla deposizione del verbalizzante emergeva che, al momento della ispezione, l’opponente era in possesso di un crick, un ponte sollevatore, chiavi inglesi e altro materiale per riparazioni;

circostanze, queste, che inducevano ad escludere l’attendibilità dell’assunto dell’opponente di essersi limitato ad eseguire un semplice cambio di olio su una autovettura di un suo parente;

che la cassazione di questa sentenza è chiesta da G.M. sulla base di tre motivi;

che l’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2 e della L. n. 689 del 1981, art. 28 nonchè vizio di motivazione, sostenendo l’applicabilità del termine di trenta giorni previsto dall’art. 2 citato e rilevando che, nel caso di specie, l’accertamento era stato effettuato il (OMISSIS) e l’ordinanza-ingiunzione era stata emessa solo in data 8 marzo 2002, e notificata il successivo 22 marzo, a distanza di circa cinque anni dall’illecito;

che il motivo è infondato alla luce del principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte e condiviso dal Collegio, secondo cui il termine di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 3, tanto nella sua originaria formulazione, quanto in quella risultante dalla modificazione apportata dal D.L. n. 35 del 2005, art. 3, comma 6-bis conv. dalla L. n. 80 del 2005, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi, i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine così breve (Cass. n. 8763 del 2010; Cass., S.U., n. 9591 del 2006);

che con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 18 dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione, dolendosi del rigetto del motivo di opposizione concernente la sua mancata audizione nel corso del procedimento sanzionatorio;

che il motivo, pur a voler prescindere dalla idoneità della comunicazione dell’amministrazione di invito all’interessato a concordare un appuntamento per l’audizione, è infondato alla luce del principio affermato di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui in tema di ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative – emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 204 ovvero a conclusione del procedimento amministrativo L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 18 – la mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l’atto, gli argomenti a proprio favore che l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale (Cass. n. 1786 del 2010);

che con il terzo motivo il G. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 122 del 1992, artt. 1 e 10, della L. n. 689 del 1981, art. 23, art. 2700 c.c., artt. 2727 e 2729 cod. civ., sostenendo che il Tribunale avrebbe omesso di considerare che ai sensi della L. n. 122 del 1992, art. 1, comma 2, non rientrano nell’attività di autoriparazione le attività di lavaggio, di rifornimento di carburante, di sostituzione del filtro dell’aria, del filtro dell’olio, dell’olio lubrificante e di altri liquidi lubrificanti o di raffreddamento, che devono in ogni caso essere effettuate nel rispetto delle norme vigenti in materia di tutela dall’inquinamento atmosferico e di smaltimento dei rifiuti, nonchè l’attività di commercio di veicoli;

che nel caso di specie, al momento dell’accertamento esso ricorrente stava, come evidenziato nello stesso verbale di accertamento e come affermato dal teste nel corso del giudizio di opposizione, effettuando il cambio dell’olio sull’autovettura del cugino;

che il Giudice di pace avrebbe quindi operato la propria valutazione prescindendo da questi elementi e attribuendo efficacia alla circostanza della presenza dei materiali e degli strumenti oggetto di sequestro, in tal modo compiendo una valutazione presuntiva senza peraltro indicare quali fossero gli ulteriori indizi gravi, precisi e concordanti che lo avevano indotto alla soluzione accolta;

che il motivo è infondato, atteso che il ragionamento presuntivo svolto dal giudice di pace, che ha valorizzato, quale elemento noto, la presenza nel locale del ricorrente di tutta l’attrezzatura tipica di un’officina per desumerne la convinzione dello svolgimento dell’attività di autoriparazioni in assenza della prescritta autorizzazione, è logico, congruente e del tutto immune dai denunciati vizi di violazione di legge, non risultando violato alcuno dei principi in tema di prova presuntiva e di efficacia probatoria dei verbali degli agenti accertatori;

che le doglianze del ricorrente sul punto si risolvono in una inammissibile richiesta di nuova valutazione delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimità;

che conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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