Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28036 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/12/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 09/12/2020), n.28036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10275/2014 R.G. proposto da:

Prima s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Di Gravio, elettivamente

domiciliata nel suo studio, in Roma, via Piediluco, n. 9;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.,

domiciliata in Benevento via dei Longobardi snc;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 359/46/13, depositata il 22 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2020 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– In data 13 gennaio 2011 veniva notificato alla contribuente in epigrafe avviso di accertamento mediante il quale, per l’anno di imposta 2005, venivano ripresi a tassazione importi Ires, Irap e IVA.

– L’accertamento scaturiva da un accesso eseguito il 19 marzo 2008 da funzionari dell’Agenzia delle entrate di Benevento.

– In data 3 ottobre 2011 veniva notificata, altresì, cartella di pagamento pedissequamente correlata all’avviso anzidetto.

– La Prima s.r.l. impugnava sia l’avviso che la cartella. La CTP di Benevento accoglieva solo in parte il ricorso della contribuente, limitandosi ad escludere i maggiori ricavi e a riconoscere la deducibilità dei costi per l’importo di Euro 2462,05.

– La CTR della Campania, adita con appello della contribuente, rigettava il gravame.

– La parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione incentrato su tre motivi.

– L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre Equitalia Sud s.p.a. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– Occorre premettere che la ricorrente, nell’incipit del ricorso, ha contestato i vizi rubricati “A – error in procedendo”, per non aver la CTR “pronunciato su punti decisivi della controversia” e “B – error in iudicando” per “vizi della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 5” che, ove debbano essere valutati come motivi di ricorso, sono inammissibili per totale genericità, nulla essendo specificato in fatto e in diritto.

– Con il primo motivo di ricorso, indicato sub “1)”, la parte contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, per avere la CTR apoditticamente disconosciuto la deducibilità e l’inerenza dei costi sostenuti dalla società per il rifornimento di automezzo detenuto in leasing, costi regolati per la maggior parte con carta di credito aziendale, per la residua parte per contanti mediante “scheda carburante”; con il medesimo mezzo di ricorso si lamenta, altresì, il mancato sgravio della cartella, la mancanza della relata di notifica della cartella stessa, con conseguente omesso perfezionamento del procedimento notificatorio, nonchè infine – la sua emissione pur a fronte della presentazione, a cura del contribuente, di istanza di autotutela, mai vagliata e definita.

– Con il secondo motivo di ricorso, indicato sub “2)”, la contribuente lamenta la nullità della sentenza ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, art. 112 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR escluso senza motivazione alcuna l’inerenza dei costi per il carburante.

– Con il terzo motivo di ricorso, esposto sub “3)”, la contribuente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e della L. n. 212 del 2000, art. 12 avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR trascurato la circostanza della mancata redazione, in esito all’accesso dei funzionari dell’Agenzia delle entrate, di un processo verbale, con conseguente illegittima acquisizione della documentazione e compromissione del principio del giusto procedimento.

– Il primo e il secondo motivo di ricorso sono suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione; essi non colgono nel segno e vanno disattesi.

– Segnatamente dette censure si palesano inammissibili nella parte in cui, l’uno aggredendo l’asserito deficit motivazionale sulla base dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’altro adombrando la nullità della sentenza, parimenti adducono la carenza e insufficienza della motivazione.

– Con riferimento specificamente al primo motivo di ricorso giova considerare che la sentenza d’appello è stata depositata nell’ottobre 2013, il che precludeva in radice la possibilità di dedurre il vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria nei termini prospettati dal ricorrente.

– Come noto, infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. sez. un. 8053 del 2014; Cass. n. 8054 del 2014; Cass. n. 7402 del 2017; Cass. n. 22598 del 2018).

– Nella fattispecie concreta, la CTR, senza collocarsi al di sotto nella descritta soglia “minima costituzionale”, si è incaricata di spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto di qualificare i costi per carburante indeducibili per difetto d’inerenza in relazione all’attività svolta dalla società contribuente. Il giudice d’appello ha valorizzato in dettaglio le seguenti circostanze: l’omessa ostensione da parte della società della “necessaria univocità” dei costi rispetto all’attività d’impresa; la ricondubilità dei costi medesimi “direttamente” alla società “piuttosto che personalmente” ad uno dei soci; la mancata corrispondenza fra “scheda carburanti” e carta SI Business intestata alla società”; la suscettibilità di “utilizzazione extra-imprenditoriale” delle spese sostenute per il carburante; la “sproporzione fra la frequenza dei rifornimenti e dei viaggi rispetto al fatturato dell’impresa”.

– Il giudizio espresso dal giudice d’appello in punto di ritenuta alterità della spesa, non univocità, sproporzione, collegabilità di essa a finalità distinte rispetto all’attività d’impresa, sottende un percorso logico che rende possibile il controllo sulla ratio decidendi della pronuncia impugnata.

– Su queste premesse, anche il secondo motivo, pur lamentando la nullità della sentenza, si traduce, in realtà, nella censura di un asserito vizio motivazionale poichè si risolve in una critica del tessuto argomentativo della sentenza d’appello, che tende ad ottenere una diversa ricostruzione di fatto. Tuttavia, le argomentazioni rese dalla Commissione tributaria regionale poggiano – come si è veduto – su ragioni in fatto, astrattamente logiche, esclusa la lamentata apparenza, e dunque incensurabili in sede di legittimità (Cass. n. 25332 del 2014).

– Questa Corte ha, d’altronde, chiarito che la nullità della sentenza per motivazione apparente ricorre solo quando la motivazione, pur graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, in quanto recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, senza che possa essere lasciato all’interprete il compito d’integrarla, in virtù di ipotetiche congetture (cfr. Cass. sez. un. 2232 del 2016; Cass. sez. un. 19881 del 2014; Cass. sez. un. 8053 del 2014).

– Oltre a ciò, va rilevato, con riguardo alle ulteriori questioni lamentate con il primo motivo, che, quanto al contestato mancato esame da parte della CTR della documentazione asseritamente prodotta dalla contribuente, la doglianza impinge in parte qua in un vizio che la rivela inammissibile per carenza di decisività, non essendo il dato formale della “scheda carburante” su cui insiste di per sè stesso idoneo a dimostrare il requisito dell’inerenza vieppiù in costanza di un rilevato disallineamento tra le risultanze di detta scheda e i pagamenti effettuati con la carta di credito aziendale.

– La censura è altresì inammissibile anche per difetto di autosufficienza nella parte in cui veicola una contestazione in relazione al mancato sgravio della cartella e alla emissione di questa pur a fronte della proposizione, da parte del contribuente, di una istanza di autotutela, mai vagliata e definita. Invero, la contribuente ha omesso di trascrivere il contenuto del della sentenza di primo grado dal quale assume evincibile lo sgravio integrale della cartella di pagamento, il che non consente alla Corte di apprezzare la rilevanza della censura, a fronte della carenza, in sentenza, di specifici e univoci riferimenti.

– Altrettanto è a dirsi con riferimento all’istanza di autotutela che la parte contribuente deduce come ostativa all’emissione della cartella, anche sul punto rinvenendosi un vuoto di autosufficienza. In effetti, per evitare che il ricorso si palesi inammissibile è necessario, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., che esso contenga la specifica indicazione dei documenti sui quali si fonda. Ciò significa che i documenti su cui il ricorso si basa debbono non solo essere allegati, ma anche specificamente indicati nel corpo dell’impugnazione, affinchè il giudice di legittimità non sia costretto a ricercarli nella documentazione prodotta dalla parte, e dunque a compiere la selezione degli atti rilevanti ai fini della decisione sui singoli motivi di ricorso, ma possa limitarsi ad esaminare i documenti già selezionati dalla parte in funzione del giudizio sui singoli motivi di ricorso. Orbene, nel corpo del ricorso proposto non vi è la specifica indicazione di alcun documento rilevante ai fini del giudizio.

– La censura, infine, è inammissibile anche con riferimento alla parte in cui segnala come necessaria – e viceversa omessa – la relata di notifica della cartella di pagamento. Al riguardo esso difetta di specificità e di autosufficienza (art. 366 c.p.c.) in quanto la parte ricorrente non precisa il contenuto degli atti che, nella fattispecie, hanno integrato il procedimento notificatorio, – così da consentire alla Corte di ricostruire, nei suoi esatti termini, la fattispecie al cui interno andava ascritto l’adempimento relativo alla relata di notifica, che assume trascurato. Questa Corte ha condivisibilmente evidenziato che “In tema di ricorso per cassazione, ove sia contestata la rituale notifica delle cartelle di pagamento, per il rispetto del principio di autosufficienza, è necessaria la trascrizione integrale delle relate e degli atti relativi al procedimento notificatorio, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza in base alla sola lettura del ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso” (v. Cass. n. 31038 del 2018). In ogni caso, la sentenza d’appello ha accertato l’avvenuta esecuzione della notifica in parola a mezzo posta, il che esclude la necessità della relata. Detta circostanza non è contraddetta specificamente dalla ricorrente e secondo il condiviso orientamento di questa Corte in tema di notifica a mezzo posta della cartella esattoriale emessa per la riscossione di imposte o sanzioni amministrative, trova, infatti, applicazione il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 per il quale la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore – come accaduto nel caso di specie – di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica (v. Cass. n. 16949 del 2014; Cass. n. 14327 del 2009; Cass. n. 14105 del 2000). Questa Corte ha soggiunto che in tema di notifica della cartella esattoriale D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, seconda parte, la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione e della relativa data è assolta mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve, anche in omaggio al principio di cd. vicinanza della prova, ritenersi ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il contribuente dimostri di essersi trovato senza colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 33563 del 2018; Cass. n. 15795 del 2016).

– Il terzo motivo va incontro ad una inammissibilità per difetto di autosufficienza nella parte in cui sottopone all’esame della Corte di legittimità una questione – quella dell’omessa redazione di un processo verbale di constatazione e di ritiro dei documenti – che si palesa nuova in quanto affatto esaminata dai giudici di merito. Dalla sentenza impugnata non risulta, infatti, che il contribuente abbia formulato tale motivo di nullità con il ricorso introduttivo, nè – ove lo avesse prospettato – che abbia “riproposto” la relativa questione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 e art. 346 c.p.c.. E’, invero, orientamento consolidato che qualora una determinata questione giuridica, che implichi accertamenti di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, trascrivendone il contenuto o le parti essenziali di esso, onde dare modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 16347 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017; Cass. n. 1435 del 2013; Cass. n. 22540 del 2006; Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 6542 del 2004). Solo ad abundantiam va, peraltro, evidenziato che questa Corte ha precisato (Cass. n. 16546 del 2018) che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione, essendo sufficiente un verbale attestante le operazioni compiute.

– Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato per inammissibilità dei motivi.

– Le spese sono regolate dalla soccombenza, nella misura esplicitata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 510,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

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