Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28035 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/12/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 09/12/2020), n.28035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7478/2014 R.G. proposto da:

M.M., e M.G., in proprio e nella qualità di

legali rappresentanti della M.M. & G. s.n.c.,

rappresentati e difesi dall’avv. Caforio Giuseppe, elettivamente

domiciliati presso elettivamente domiciliati presso lo studio, in

Roma, via Barberini, n. 12 del Prof. Avv. Tonelli Enrico;

– ricorrente in via principale –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente – ricorrente in via incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Umbria n. 160/03/2013, depositata il 2 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2020 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– La M. s.n.c. acquistava porzioni di immobile al fine di esercitarvi l’attività alberghiera e di ristorazione. Dette porzioni immobiliari venivano interessate da lavori di ristrutturazione. L’ente era reso destinatario di un primo avviso di accertamento, mediante il quale, in relazione al periodo d’imposta 2005, l’Agenzia delle entrate contestava come indebita la detrazione dell’IVA sulle spese di ristrutturazione del complesso abitativo. Con successivi atti l’Agenzia delle entrate contestava la debenza di maggiori imposte per il periodo 2006-2008, ritenendo che la società ricorrente principale fosse una “società di comodo”, sprovvista dei requisiti per superare il c.d. “test di operatività”; infine l’erario irrogava le sanzioni correlate agli anni di imposta in contestazione.

– La M. s.n.c. impugnava con separati ricorsi gli atti impositivi.

– La CTP di Perugia disattendeva i ricorsi con sentenza n. 38/07/11.

– La CTR dell’Umbria accoglieva l’appello, riconoscendo il diritto alla detraibilità dell’IVA sui lavori di ristrutturazione.

– La parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione incentrato su un solo motivo.

– L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso, spiegando, altresì, ricorso incidentale articolato su due motivi.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– Con l’unico motivo di ricorso, la parte contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la CTR mancato di pronunciarsi sulla questione della dedotta inapplicabilità delle norme dettate in materia di società di comodo.

– Con il primo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia censura la violazione o falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR trascurato la circostanza della “mancata presentazione della istanza di interpello disapplicativo”.

– Con il secondo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 19-bis 1 per avere la CTR tralasciato di valorizzare in senso ostativo alla detraibilità dell’IVA la circostanza dell’insussistenza dell’esercizio di impresa in costanza di lavori di ristrutturazione delle porzioni di fabbricato successivamente destinate all’attività di agriturismo.

– Il motivo unico del ricorso principale è inammissibile.

– Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con avviso cui va data continuità, “Nel giudizio per cassazione – che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1 – il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunziala parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purchè nel motivo su faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (Cass., sez. un., n. 17931 del 2013).

– Calando il suddetto principio nella fattispecie in esame, deve ritenersi che il motivo di ricorso sia inammissibile dacchè la doglianza, pur dedotta come vizio di motivazione, lamenta una omessa pronuncia, rimanendo tuttavia insuscettibile di riqualificazione per mancanza di ogni univoco riferimento alla nullità della sentenza.

– A detto profilo d’inammissibilità se ne affianca un altro, per l’evidente deficit di autosufficienza della doglianza de qua, non essendo stato riprodotto il motivo asseritamente pretermesso dal giudice a quo. Il principio di autosufficienza avrebbe imposto, invece, di enucleare in ricorso tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. n. 1926 del 2015; Cass. n. 7825 del 2006).

– Inammissibile va dichiarato anche il ricorso incidentale.

– Esso si palesa, infatti, irrispettoso dei termini per la notifica.

– Le Sezioni Unite di questa Corte hanno osservato che “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notifica torio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa” (Cass., sez. un., n. 14594 del 2016).

– Orbene, mentre il ricorso principale è stato notificato in data 9 aprile 2013, il controricorso, con l’unito ricorso incidentale, è stato avviato alla notifica, una prima volta, il 19 maggio 2013; questa, tuttavia, non è andata a buon fine (essendo risultato sconosciuto il numero civico dell’indirizzo di destinazione), sicchè l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto provvedere a rinnovarla nel rispetto termini di cui all’art. 325 c.p.c. dimezzati, il che non risulta essere stato fatto, con conseguente tardività.

– La declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi postula la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara, altresì, inammissibile il ricorso incidentale. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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