Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28031 del 02/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 02/11/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 02/11/2018), n.28031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29426-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI DI ROMA DI POSTE ITALIANE, rappresentata

e difesa dagli avvocati PAOLA FERRETTI, COSTANTINO PUZONE, ROSSANA

CATALDI, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

D.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANT. MORDINI

14, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO V.E. SPINOSO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO GRATTAROLA,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 642/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 03/06/2014 R.G.N. 927/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso che ha concluso per

l’inammissibilità o in subordine rigetto;

udito l’Avvocato ANNAMARIA URSINO per delega verbale Avvocati ROSSANA

CATALDI e COSTANTINO PUZONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 7471/2003 la Corte di cassazione respingeva i ricorsi proposti da D.A. e Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza con la quale la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda della D. intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimatole dalla società in data 13.10.1998 e la domanda, formulata in seconde cure dal Poste Italiane, intesa alla restituzione delle somme asseritamente corrisposte alla lavoratrice in esecuzione della sentenza di primo grado.

2. Con ricorso di primo grado relativo al presente giudizio la società Poste Italiane s.p.a. ha chiesto la condanna di D.A. al pagamento dell’importo lordo di Euro 13.585,50, che asseriva corrisposto a titolo di retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegrazione in esecuzione della sentenza di primo grado resa nell’ambito del processo definito con la richiamata sentenza di legittimità.

3. La domanda sul rilievo della preclusione nascente da precedente giudicato era respinta dal giudice di prime cure con sentenza confermata in secondo grado.

3.1. Per quel che ancora rileva, il giudice di appello ha osservato che la sentenza di secondo grado resa nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento, pur affermando di non poter prendere in esame la domanda di restituzione avanzata da Poste Italiane s.p.a., la aveva in realtà esaminata e respinta nel merito in quanto aveva argomentato sul fatto che la società non aveva dato prova non solo dell’ammontare di quanto in ipotesi versato alla D. ma dello stesso avvenuto pagamento ossia del fatto generatore del diritto alla restituzione. Il rigetto del ricorso (incidentale) per cassazione proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso tale statuizione aveva determinato il passaggio in giudicato della stessa.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto formato il giudicato sulla domanda con la quale, nel giudizio avente ad oggetto l’impugnativa di licenziamento, Poste Italiane s.p.a. aveva, in seconde cure, aveva chiesto la condanna di controparte alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado. Sostiene che la sentenza di secondo grado non si era pronunziata sulla domanda di restituzione essendosi limitata ad affermare che tale domanda non poteva essere presa in esame in difetto di prova sia dell’avvenuto pagamento delle somme richieste in restituzione che del relativo ammontare; tale affermazione la quale, peraltro, non aveva trovato neppure corrispondenza nel dispositivo di seconde cure del precedente giudizio inter partes non configurava una decisione nel merito circa la non debenza della somma da parte della D. ma costituiva, piuttosto, una statuizione di non luogo a provvedere, insuscettibile di passare in giudicato; in coerenza con tale ricostruzione doveva essere, quindi, interpretata la sentenza di legittimità che aveva respinto il ricorso incidentale della società Poste.

2. Con il secondo motivo di ricorso deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti rappresentato dal realizzarsi della non contestazione sulla circostanza dell’avvenuto pagamento in favore della D. delle somme chieste in restituzione dalla società, somme la cui erogazione risultava altresì documentata dai cedolini paga prodotti da essa Poste Italiane in primo grado.

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto articolato con modalità non coerenti con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Questa Corte ha chiarito che l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (v. tra le altre, Cass. 08/03/2018 n. 5508.; Cass. 13/12/2006 n. 26627). Il principio affermato è coerente con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607).

3.1. Parte ricorrente non ha assolto agli oneri prescritti al fine della valida censura della decisione sul punto in quanto ha omesso di riprodurre il contenuto della sentenza di appello resa nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento, della quale, per il profilo che viene in rilievo in questa sede, si contesta l’idoneità a configurare statuizione di merito suscettibile di passare in giudicato; non ha, inoltre, assolto agli oneri di indicazione della sede di produzione dei detti documenti.

3.2. L’inammissibilità del primo motivo di ricorso assorbe l’esame del secondo motivo incentrato sulla verifica nel merito della fondatezza della pretesa restitutoria di Poste, verifica non consentita per la preclusione scaturente dal giudicato formatosi sul punto nel giudizio di impugnazione del licenziamento.

4. Al rigetto del ricorso segue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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