Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28030 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. III, 14/10/2021, (ud. 15/04/2021, dep. 14/10/2021), n.28030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13367-2019 proposto

RSM IMMOBILIARE SRL, in persona del suo amministratore e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TUSCOLANA 1348, presso lo studio dell’avvocato GIAMPAOLO RUGGIERO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE

n. 87, presso lo studio dell’avvocato GREGORIA MARIA FAILLA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonché contro

C.D.; S.C.; CONDOMINIO DI VIA (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 6572/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.S.M. Immobiliare S.r.l., quale proprietaria di un immobile adibito ad uso ufficio, successivamente all’espletamento – su sua istanza – di un accertamento tecnico preventivo, convenne in giudizio C.D., S.C., D.B.R. e il Condominio di (OMISSIS), per sentirli condannare in solido, quali corresponsabili delle infiltrazioni idriche, all’esecuzione dei lavori necessari ad eliminare le infiltrazioni, e alla condanna generica ex art. 278 c.p.c. al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede.

Si costituirono i convenuti opponendosi alla domanda e chiedendo la D.B. di indicare le quote a carico delle parti.

Espletata nel giudizio di merito una c.t.u., con sentenza n. 21643/14, il Tribunale di Roma condannò tutti i convenuti in solido all’esecuzione dei lavori necessari ad eliminare le cause delle infiltrazioni ed al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 15.420,00, oltre interessi, ed al rimborso delle spese di lite.

Il Giudice di primo grado rilevò che la causa delle infiltrazioni, come risultava dalla ATP espletata, era riconducibile sia a carenze strutturali e difetti costruttivi, sia a fatiscenza del rivestimento esterno ed a vetustà del manto bituminoso afferente alla chiostrina condominiale ed al bocchettone di scarico, oltre che a difettosa impermeabilizzazione dei terrazzi sovrastanti l’unità immobiliare; affermò che il C.T.U. aveva verificato quali fossero ancora i lavori da eseguire per eliminare completamente gli inconvenienti e condannò i convenuti al pagamento delle somme indicate dall’ausiliare del giudice per il ripristino dell’immobile, a titolo di risarcimento dei danni.

Avverso tale sentenza propose appello R.S.M. Immobiliare S.r.l.

Si costituì il Condominio di (OMISSIS), chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Si costituirono, altresì, C.D. e S.C., che chiesero il rigetto del gravame e proposero appello incidentale, contestando la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale aveva riconosciuto anche la loro corresponsabilità.

Si costituì, infine, D.B.R. chiedendo il rigetto dell’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, dalla medesima proposto, che i lavori fossero posti a carico del solo Condominio, salvo la ripartizione delle spese secondo i criteri di cui all’art. 1226 c.c. (da intendersi, evidentemente, quale art. 1126 c.c.).

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 6572/2018, pubblicata il 18 ottobre 2018, rigettò l’appello principale e quello incidentale proposto da C.D. e S.C.; dichiarò inammissibile, perché tardivo, l’appello incidentale proposto da D.B.R.; condannò l’appellante alle spese di quel grado in favore del Condominio di (OMISSIS); compensò le spese di lite tra le altre parti in causa.

Avverso la sentenza della Corte di merito R.S.M. Immobiliare S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria.

D.B.R. ha resistito con controricorso, pure illustrato da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 101,112 e 278 c.p.c. nonché dell’art. 2058 c.c. per mancato accoglimento della domanda di condanna generica formulata sin dal primo atto difensivo e conseguente liquidazione/limitazione del quantum dovuto a titolo di risarcimento del danno (in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Con tale mezzo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella pone in cui la Corte di merito ha ritenuto insussistente ogni ragione per determinare la scissione tra il procedimento relativo all’an e quello relativo al quantum sia perché la domanda era volta ad ottenere in primo luogo una condanna dei convenuti all’esecuzione dei lavori e, quindi, ad ottenere sostanzialmente una condanna al risarcimento del danno in forma specifica, sia perché non risultavano elementi concreti inerenti alla sussistenza di ulteriori danni da quantificare in un separato giudizio, il che costituisce – secondo la Corte territoriale – presupposto giuridico per la pronuncia di una condanna generica.

Sostiene la ricorrente che l’assunto della Corte di merito secondo cui la domanda attorea fosse volta ad ottenere una condanna dei convenuti all’esecuzione dei lavori e, quindi, sostanzialmente ad una condanna al risarcimento del danno in forma specifica non sarebbe esaustivo, atteso che la domanda richiamata riguardava la condanna “a) – ad eseguire le opere necessarie all’eliminazione delle cause delle infiltrazioni” e era “quindi limitata alla sola causa permanente del danno riferibile ad aree di pertinenza condominiale ovvero esclusiva dei convenuti. Ciò al fine di ottenere un più rapido provvedimento che inducesse le controparti a sanare il presupposto pregiudizievole per poi, successivamente all’eliminazione di tale presupposto, quantificare i danni in separato giudizio per l’arco di tempo interessato, come da domanda di condanna generica sub b) delle conclusioni”.

Assume, altresì, la società ricorrente che ben può essere la domanda di risarcimento del danno proposta in misura incompleta o ridotta se il creditore fa espressa riserva di domandare in giudizio le voci non richieste (si richiama a Cass. 2005, n. 26687) e ribadisce di aver, nel caso all’esame, chiesto l’eliminazione delle cause del danno permanente e proposto altresì domanda di condanna generica ex art. 278 c.c. al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio. Lamenta, quindi, che la Corte di merito, confermando la sentenza di prime cure e ribadendo la facoltà del giudice di decidere anche in ordine al quantum, avrebbe limitato la quantificazione del risarcimento nella esigua somma indicata dal C.T.U., disattendendo la domanda volta alla condanna in via generica dei convenuti ex art. 278 c.p.c. al risarcimento dei danni da quantificarsi in separato giudizio, così violando gli artt. 101,112 e 278 c.p.c..

1.1. Il motivo è fondato.

Questa Corte già avuto modo di affermare che “Poiché il risarcimento del danno in forma specifica non esaurisce in sé, di regola, tutte le possibili conseguenze dannose del fatto lesivo – ed in particolare quelle prodottesi prima che la riduzione in pristino sia materialmente eseguita ovvero quelle diverse residuate nonostante tale riduzione in pristino il fatto che il giudice abbia ordinato la demolizione di opere abusive eseguite su di un fondo gravato da servitù (nella specie, di non edificare) non osta, anche in difetto di prova di un concreto danno ulteriore in aggiunta a quello risarcibile in forma specifica, alla pronuncia di una condanna generica al risarcimento del danno ex art. 278 c.p.c., essendo sufficiente a tal fine l’accertamento di quella potenziale dannosità del fatto lesivo” (Cass. 11/04/1991, n. 3802).

Alla luce di quanto sopra evidenziato, risulta errata la prima delle argomentazioni su cui si basa la decisione censurata in questa sede. Ne’ a miglior sorte è destinata la seconda argomentazione su cui si fonda la decisione sul punto della Corte territoriale.

Ed invero, il riferimento operato dai giudici di secondo grado alla sentenza di questa Corte n. 3769/2004 per sostenere che rientra nel potere discrezionale del giudice del merito tanto la facoltà di derogare, in presenza di richiesta della parte, alla regola generale della concentrazione della decisione in un’unica sentenza, quanto quella di rigettare, anche senza espressa motivazione, tale richiesta ed emettere un’unica sentenza non è pertinente. Infatti, in quel caso si trattava di causa in materia di lavoro in cui, solo a seguito di rinvio disposto da questa Corte, la domanda, volta inizialmente, tra l’altro, alla condanna della parte convenuta al risarcimento del danno e alla liquidazione di questo nello stesso processo, era stata, in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale, riformulata nel senso che il riassumente aveva richiesto una sentenza non definitiva sulle conclusioni di cui ai punti da 1 a 4, unitamente al pagamento di una provvisionale, ai sensi dell’art. 278 c.p.c., comma 2, o dell’art. 423 c.p.c., e, con le conclusioni di cui ai punti da 5 a 8, aveva chiesto che, a seguito della prosecuzione del giudizio, fossero, con sentenza definitiva, accolte le ulteriori domande; il giudice del rinvio non aveva “ritenuto di accogliere la richiesta di scissione del giudizio in due fasi, con una prima sentenza non definitiva (accompagnata dalla condanna ad una provvisionale) e, a seguito della prosecuzione del giudizio, una sentenza definitiva”. Trattavasi, quindi, di fattispecie in cui, come evidenziato da questa Corte con la sentenza già richiamata, conclusiva del secondo giudizio di legittimità, si tendeva, “inammissibilmente, ad ottenere la scissione del giudizio in due fasi, una relativa alle conclusioni da 1 a 4, di cui la 4 riguardava comunque una condanna risarcitoria ancorata ad una cifra predeterminata, ed una successiva fase di ulteriore specifica2One della indennità richiesta e di accoglimento di altre domande”, fattispecie, all’evidenza, processualmente del tutto diversa da quella all’esame, in cui è stata ab initio proposta una domanda volta al risarcimento in forma specifica e alla condanna generica ai danni (evidentemente ulteriori).

E’ stato pure precisato da lesta Corte che, con riguardo alle azioni di risarcimento del dannc (sia in materia contrattuale che extracontrattuale), è amnissibile la domanda dell’attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario il consenso – espresso o tacito – del convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dai9’ordinamento ed essendo configurabile un interesse giuridicamente rilevante dell’attore (Cass. 21/03/2016, n. 5551; v. Cass., sez. un., 23/11/1995, n. 12103).

Inoltre, il convenuto non può opporsi ad una domanda di condanna generica, ma ha la facoltà di domandare in via riconvenzionale l’accertamento negativo della sussistenza del danno, con conseguente onere dell’attore, in tal caso, di dare piena prova dell’esistenza del danno e divieto per il giudice, ai sensi dell’art. 278 c.p.c., di rimettere la determinazione del quantum ad un separato giudizio (Cass., 24/10/2017, n. 25113). Ma nella specie non è stato dedotto che una siffatta domanda sia stata ritualmente proposta.

Va pure rilevato che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la condanna generica al risarcimento dei danni, sia essa oggetto di autonomo giudizio, ovvero di quello che prosegue per la determinazione del quantum, presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso, in base ad un accertamento anche di probagilità o di verosimiglianza, mentre la prova dell’esistenza in concreto del danno, della sua reale entità e del rapporto di causalità è riservata alla fase successiva di determinazione e di liquidazione, sicché la pronuncia sulla responsabilità si configura come una mera declaratoria jurs, da cui esula qualunque accertamento in ordine alla misura ed alla concreta sussistenza del danno, con la conseguenza che il giudicato formatosi sulla responsabilità non incide sul giudizio di liquidazione (Cass., 2/05/2002, n. 6257; Cass. 17/04/2003, n. 6190; v. anche Cass., sez. un., 3/08/1993, n. 8545).

L’esistenza del fatto illecito e la sua potenzialità dannosa vanno accertati nel giudizio relativo all’an debeatur e di essi deve essere data una prova sia pure sommaria e generica e con valutazione probabilistica (Cass. 1/08/2001, n. 10453), mentre l’accertamento in concreto del danno va effettuato nel separato giudizio (Cass. 14/03/2018, n. 6235; Cass. 29/08/2018, n. 21326).

A tale riguardo va rimarcato che, nella specie il danno è stato liquidato dai giudici del merito, sia pure limitatamente al danno emergente (e senza tener unto, ad avviso della ricorrente, degli elementi relativi alla sussister za di ulteriori danni), il che è indicativo dell’accertamento della sussistenza del fatto potenzialmente produttivo del danno.

Alla luce di quanto sopra evidenziato, risulta evidente la fondatezza delle censure proposte con il motivo all’esame, avendo la Corte di merito violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. e non essendosi attenuta ai principi sopra richiamati.

2. L’accoglimento del primo motivo assorbe l’esame degli ulteriori mezzi proposti.

3. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

4. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

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