Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2803 del 07/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2803 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 15530-2007 proposto da:
SCUDERI

ANTONINO

(c.f.

SCDNNN45B21F004U),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BORMIDA 5,
presso l’avvocato MORONI IGNAZIO, che lo

Data pubblicazione: 07/02/2014

rappresenta e difende unitamente all’avvocato
SCANDURRA D’URSO MARIO, giusta procura a margine
2013

del ricorso;
– ricorrente –

1894

contro

FALLIMENTO

DELLA

S.I.T.I.

S.R.L.

(P.I.

1

026666410879),

in

persona

del

Curatore

avv.

MUSUMECI ANDREA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DEI GRACCHI, 187, presso l’avvocato MAGNANO DI
SAN LIO GIOVANNI, rappresentata e difesa
dall’avvocato MAUCERI SALVATORE, giusta procura a

– controricorrente contro

RAITI SALVATORE;
– intimato

avverso la sentenza n. 9/2007 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 04/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 03/12/2013 dal Consigliere
Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato MORONI IGNAZIO
che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per

margine del controricorso;

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

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Ritenuto in fatto e in diritto
1.- Il Tribunale di Catania ha affermato la responsabilità
di Scuderi Antonino e Raiti Salvatore, già amministratori
della s.r.l. S.I.T.I., dichiarata fallita, condannandoli
al risarcimento del danno liquidato nella misura del

passivo fallimentare in accoglimento della domanda ex art.
146 1. fall. proposta dal curatore fallimentare della
predetta società.
La Corte di appello di Catania, con la sentenza impugnata
(depositata il 6.12.2006), nella contumacia del Raiti, ha
rigettato l’appello proposto dallo Scuderi, il quale aveva
dedotto di avere rivestito la carica di amministratore
soltanto dal 26 settembre 1989 al 18 dicembre 1989 quale
prestanome del vero “dominus” e non poteva essergli
imputato di non avere chiesto lo scioglimento della
società per avere cessato dalla carica da oltre due anni.
Nei suoi confronti non poteva essere invocata l’inversione
dell’onere della prova.
Secondo la Corte di merito l’assunto dell’appellante – il
quale si era prestato a fungere da prestanome della
società – era rimasto del tutto sfornito di prova. Egli
aveva rivestito la carica con gli stessi poteri del Raiti;
aveva gravemente violato i doveri di amministratore, non
avendo provveduto alla tenuta delle scritture contabili e
omettendo di depositare i bilanci annuali dal 1988 al
1994. Alla data del 1 ° .3.1992 la società era priva di
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attività e si era verificata una causa di scioglimento ex
art. 2248 c.c. ma lo Scuderi non aveva provveduto ai
necessari incombenti, astenendosi, poi, di chiedere il
fallimento della società. Egli aveva occultato prima e
aggravato, poi, lo stato di dissesto.

1.1.- Contro la sentenza della Corte di appello Scuderi
Antonino ha proposto ricorso per cassazione affidato a due
motivi.
Resiste con controricorso la curatela fallimentare
intimata. Non ha svolto difese il Raiti.
2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia
violazione di norme di diritto e formula il seguente
quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis: «se sia corretto il principio di
diritto applicato dalla Corte territoriale, secondo cui
opera l’inversione dell’onere previsto dall’art. 2697, I °
comma c.c., in ordine alla prova del nesso di causalità
tra la condotta colposa posta in essere dall’organo
sociale (amministratore) della società fallita e i danni
da responsabilità a lui imputabili, ai sensi degli artt.
2392 e 2393 c.c. In particolare si chiede alla Ecc.ma
Suprema Corte di cassare la sentenza impugnata, stante che
la violazione o falsa applicazione della norma invocata
(art. 2697, I ° comma c.c.) ha determinato, in via
esclusiva, l’ingiustificato rigetto dell’appello, per la
presunta raggiunta prova dell’imputabilità del danno di
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cui si è chiesto ristoro, all’odierno ricorrente, nella
misura del c.d. deficit fallimentare, operando in danno
del deducente, una inversione dell’onere della prova».
2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 3/2003 e

degli artt. 42 e 43 1. fall.
Formula il seguente quesito: «se sia corretto il
principio di diritto applicato dalla Corte d’Appello al
caso di specie; principio secondo cui, nel vigore del
decreto legislativo n. 3 del 17/1/2003 ed ai sensi degli
articoli n. 42 e 43 del R.D. n. 267 del 1942, il curatore
continua ad essere legittimato a far valere – nel corso
del giudizio pendente alla data di entrata in vigore della
predetta modifica – la responsabilità degli amministratori
della s.r.l. fallita nei confronti dei creditori sociali o
se, di contro, la Corte territoriale debba pronunciarne
l’improcedibilità, per il venire meno della sua
legittimazione ad agire; con conseguente cassazione della
sentenza oggetto di ricorso nella parte in cui ha statuito
la condanna del ricorrente ex art. 2394 c.c.».
3.- Il ricorso è inammissibile essendo il primo motivo del
tutto aspecifico rispetto alla motivazione dell’impugnata
sentenza – innanzi sintetizzata nella parte narrativa mentre il secondo motivo (peraltro manifestamente
infondato, trattandosi di giudizio iniziato nel 1994)

5

concerne una questione di diritto non proposta in sede di
appello.
Quanto al primo motivo, invero, la Corte di merito ha
correttamente applicato il principio per il quale la
totale mancanza di contabilità sociale (o la sua tenuta in

modo sommario e non intelligibile) è, di per sé,
giustificativa della condanna dell’amministratore al
risarcimento del danno, in sede di azione di
responsabilità promossa dalla società a norma dell’art.
2392 cod. civ., vertendosi in tema di violazione da parte
dell’amministratore medesimo di specifici obblighi di
legge, idonea a tradursi in un pregiudizio per il
. patrimonio sociale; al di fuori di tale ipotesi, che
giustifica l’inversione dell’onere della prova, resta a
carico del curatore l’onere di provare il rapporto di
causalità tra la condotta illecita degli amministratori e
il pregiudizio per il patrimonio sociale (Sez. 1,
Sentenza n. 5876 del 11/03/2011).
Il ricorso, dunque, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità – nella misura
determinata in dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
.

legittimità, liquidate in euro 8.200,00 di cui euro 200,00
per esborsi oltre accessori come per legge.
6

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3

dicembre 2013

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