Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28027 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 28027 Anno 2017
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 6304-2016 proposto da:
BRACONI LOREDANA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GREGORIO VII n.108, presso lo studio dell’avvocato BRUNO
SCONOCCHIA, rappresentata e difesa dagli avvocati
PIERGIORGIO Pi-kRISELLA, MAURIZIO CINELLI;

– ricorrente contro
AZIENDA SANITARIA UNICA DELLE MARCHE
C.F.02175860424, in persona del suo legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO
BUOZZI n.87, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO COLARMI,
che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato
PATRIZIA VIOZZI;

Data pubblicazione: 24/11/2017

- controricorrente contro

TRINCIA PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
OSLAVIA n.40, presso lo studio dell’avvocato MARIA GRANILLO,

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 26/2015 della CORTE D’APPELLO di
ANCONA, depositata il 03/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 18/10/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES.

RILEVATO
che, con sentenza del 3 marzo 2015, la Corte di Appello di Ancona
confermava la decisione del Tribunale di Ascoli Piceno di rigetto della
domanda proposta da Loredana Braconi – dirigente medico impiegata
presso il Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro di
San Benedetto del Tronto – nei confronti dell’Azienda Sanitaria Unica
Regionale delle Marche ( d’ora in avanti: A.S.U.R.) e di Paolo Trincia
intesa ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito una serie di
comportamenti vessatori e persecutori asseritamente integranti
“mobbing” posti in essere dal Trincia — direttore responsabile del
servizio — con l’avallo dell’A.S.U.R dall’agosto 2003;
che, ad avviso della Corte territoriale, correttamente il Tribunale
aveva ritenuto non provata la sussistenza di un intento persecutorio
idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall’interessata e, quindi, la
ricorrenza di una condotta di ?l mobbing”, e valutato detti episodi
riconducibili, piuttosto, ad una situazione di contrasto personale della
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rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA FORTE;

Braconi con il Trincia sfociata in una condizione di tensione ed
avversione reciproca;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Braconi
affidato a due motivi cui resistono con separati controricorsi il

che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis
cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto
di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che la Braconi ed il Trincia hanno depositato memoria ex art. 380 bis
cod. proc. civ.: la prima, dichiarando di dissentire dalla proposta del
relatore ed evidenziando che, comunque, l’A.S.U.R. aveva l’obbligo di
intervenire onde por fine alla situazione di conflitto creatasi tra la
ricorrente ed il Trincia; il secondo, per aderire alla proposta insistendo
per la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;

CONSIDERATO
che con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2087 cod. civ. e 15, 18 e 19 del d.lgs. 9 aprile
2008 n. 81 nonché dell’art. 39 Cost. ( in relazione all’art. 360, primo
comma, n.3, cod. proc. civ.) evidenziandosi come non può essere
esclusa la responsabilità del datore di lavoro e del dipendente preposto
allo specifico settore aziendale per la mancata adozione di adeguate
misure a tutela della integrità psicofisica del prestatore di lavoro ed
idonee a por fine alla situazione di conflitto insorta nell’ambiente
lavorativo sia pur a seguito di una reazione del lavoratore; con il
secondo motivo viene lamentata violazione degli artt. 2087 e 2697 cod.
civ. ( in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) per
avere la Corte di Appello rigettato la domanda risarcitoria esimendo il
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Trincia e l’A.S.U.R.;

datore di lavoro dal dimostrare – a fronte della puntuale allegazioni
delle ascritte violazioni e della prova del danno e del nesso causale tra
questo ed il rapporto di lavoro fornita dalla Braconi — di aver
ottemperato all’obbligo di protezione della salute di quest’ultima;

logicamente connessi, sono inammissibili in quanto non tengono della
motivazione dell’impugnata sentenza che — in applicazione del
principio di diritto secondo cui “Nella ipotesi in cui il lavoratore chieda
il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in
conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e
dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del
merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio
idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall’interessato e quindi
della configurabilità di una condotta di “mobbing”, è tenuto a valutare
se alcuni dei comportamenti denunciati – esaminati singolarmente, ma
sempre in sequenza causale – pur non essendo accomunati dal
medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e
mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a
responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a
risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili.” ( cfr. Cass. n. 4222
del 03/03/2016 Cass. n. 18927 del 05/11/2012) – ha escluso la
sussistenza di comportamenti vessatori nei confronti della Braconi,
dopo un’accurata valutazione dei singoli episodi denunciati operata
attraverso la disamina della emergenze istruttorie;
che, peraltro, i motivi si risolvono anche – nonostante il formale
richiamo contenuto nelle intestazioni a plurime violazioni di norme di
legge – nella denuncia di una errata o omessa valutazione del materiale
probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti alfine di
ottenere una rivisitazione del merito della controversia non
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che entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto

ammissibile in questa sede (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del
21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del
07/08/2003) e ciò in quanto, nel caso in esame, i fatti controversi da
indagare sono stati presi in esame dalla Corte territoriale, sicché non

diversa da quella sostenuta dal ricorrente;
che, per tutto quanto sopra considerato, in adesione alla proposta del
relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di
stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti
iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame
(Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e
numerose successive conformi);

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle
spese del presente giudizio liquidate per ciascuno dei controricorrenti
in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali,
oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto delle
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Ric. 2016 n. 06304 sez. ML – ud. 18-10-2017
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può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 201

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