Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28026 del 16/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 28026 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 20261-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

2913

IASSOGNA CONCETTA;
– intimata –

avverso

la sentenza n.

5255/2007

della CORTE

Data pubblicazione: 16/12/2013

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/07/2007 R.G.N.
9509/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/10/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;

LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine rigetto.

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO

20261.08

Udienza 17 ottobre 2013

Pres. P. Stile
Rel. V. Di Cerbo

Sentenza
La Corte

1. La Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato
l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in data 11 novembre
1999 da Poste Italiane s.p.a. con Concetta lassogna.
2. Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; la
lavoratrice è rimasta intimata. Con nota depositata in data 3 novembre 2009 (e
quindi oltre un anno dopo la notifica del ricorso per cassazione) l’avv. Dimitri Monetti,
del Foro di Avellino ha dichiarato di costituirsi nel presente giudizio per conto della
lavoratrice. Non è stata peraltro depositata alcuna idonea procura a suo favore.
3. Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.
4. La Corte di merito, dopo aver rigettato l’eccezione di risoluzione del contratto per
mutuo consenso, ha affermato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro
in esame avendo attribuito rilievo decisivo alla considerazione che tale contratto è
stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre
1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 -, in data successiva al
30 maggio 1998.
5. Con il primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione degli artt.
1372, primo comma, 1175, 1375, 1427, 1431 e 2697 cod. civ., nonché art. 100 cod.
proc. civ.) la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto infondata
l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
6. La censura è priva di pregio; secondo il costante insegnamento di questa Suprema
Corte (cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai
fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un
termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto
per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua
delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di
eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti
medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del
significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono

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Rilevato che

vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la
mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente,
stante la sua durata, e in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a
far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo
consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle
censure mosse in ricorso.

8. Le suddette censure sono infondate e devono essere pertanto rigettate.
9. Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla
legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per
i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della
predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a
quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di
riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr.
altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n.
14011). Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti
collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati
all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma
dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n.
21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di
specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della
clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass.
14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come
questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di
assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre
1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo
attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione
giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione
degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il
30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre,
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7. Con il secondo e terzo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione e
falsa applicazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e degli artt.1362 e segg. cod.
civ. in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e di altre norme collettive,
nonché vizio di motivazione) la statuizione concernente l’illegittimità del termine.

Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008
n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

11. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia
introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il
fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto
di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547,
Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di
ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina
sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina
sua propria. Ne consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la
necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione
presuppone che vi siano motivi di ricorso che investano specificatamente le
conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che essi siano
ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il ricorso sia stato proposto
avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del
d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009 (data di entrata in vigore della
legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere altresì corredati, a pena di
inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai
sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di
assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche
dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto
pregiudiziale produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali
conseguenze.
12. Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata, con riferimento alle conseguenze
economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, ha
condannato la società Poste Italiane al risarcimento del danno determinato sulla base
delle retribuzioni maturate a decorrere dalla costituzione in mora, individuata nella
data di notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
13. Tale statuizione è stata censurata con il quarto motivo di ricorso con il quale viene
denunciata violazione degli artt. 1217 e 1233 cod. civ. Parte ricorrente lamenta, in
sostanza, la violazione dei principi in tema di mora accipiendi e di aliunde perceptum.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.:
per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato — ha
diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio,
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10. Prima di esaminare il quarto (e ultimo) motivo di ricorso, relativo alla statuizione sul
risarcimento del danno, occorre premettere che, per quanto concerne le conseguenze
economiche derivanti dalla dichiarazione di illegittimità della clausola appositiva del
termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in
vigore dal 24 novembre 2010.

14.11 suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente non pertinente
rispetto alla fattispecie, in quanto omette di enucleare esplicitamente il momento di
conflitto, rispetto alla regola ritenuta applicabile al caso di specie, del concreto
accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29
aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di
legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il principio
di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve essere
formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie
dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e non
pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di
specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
15. Il ricorso deve essere in definitiva respinto.
16. Nulla deve essere disposto in materia di spese legali concernenti il giudizio di
cassazione atteso il mancato svolgimento di attività processuale da parte della
lavoratrice, rimasta intimata. Nessuna rilevanza può avere infatti, con riferimento alla
statuizione in tema di spese processuali, la nota dell’avv. Monetti menzionata in
narrativa, atteso il mancato deposito, da parte dello stesso, di idonea procura. Deve
inoltre osservarsi che nessuno è comparso per la lavoratrice all’udienza di discussione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2013.

salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la
prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.

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