Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28025 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. I, 09/12/2020, (ud. 13/11/2020, dep. 09/12/2020), n.28025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4534/2019 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico n.

38, presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7649/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/11/2020 dal Cons. Dott. GORJAN SERGIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.D. – cittadino del (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Roma avverso la decisione della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese poichè ebbe ad aggredire un poliziotto incaricato d’eseguire lo sfratto della sua famiglia dalla loro casa d’abitazione, sicchè aveva paura d’esser arrestato in caso di rimpatrio.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso del C. rilevando come il racconto reso dal richiedente asilo non era credibile e, comunque, dal narrato non si configurava situazione propria prevista dalla normativa in tema di protezione.

Il Tribunale, inoltre, ha ritenuto non rilevante quanto desumibile dal rapporto di Amnesty circa la situazione carceraria del Gambia e non sussistenti le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria in difetto di specifica indicazione dell’esistenza di una condizione di vulnerabilità.

Avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale, il C. propose gravame avanti la Corte d’Appello di Roma che, resistendo il Ministero degli Interni, rigettò l’impugnazione condividendo la conclusione che il racconto del richiedente protezione non era affidabile e, comunque, non erano concorrenti i requisiti di legge per riconoscere lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria ovvero umanitaria.

Il C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte capitolina articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto da C.D. risulta inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17.

Con la prima ragione di doglianza il ricorrente lamenta omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di un fatto decisivo ossia la condizione di pericolosità e la situazione di violenza generalizzata esistente in Gambia.

Il ricorrente evidenzia come l’esame della situazione socio-politica del Gambia, da parte della Corte territoriale, sia stato superficiale e senza l’indicazione delle fonti da cui ha tratto le informazioni alla base della sua statuizione sul punto, posto che sia il rapporto di Amnesty del 2016 che le informazioni presenti sul sito (OMISSIS) del 2017, curato dal Ministero degli Esteri, lumeggiano una situazione connotata da forte instabilità politica e sociale.

Con il secondo mezzo d’impugnazione il C. rileva violazione della norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 ed art. 10 Cost., nonchè vizio di omesso esame delle fonti informative all’uopo rilevanti, per non aver il Collegio capitolino esaminato la sua posizione in caso di rimpatrio alla luce dei criteri direttivi posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, siccome precisati dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema.

Le due censure, in quanto attingono la medesima questione da due profili diversi, possono essere esaminate congiuntamente ed appaiono inammissibili. Anzitutto il ricorrente deduce vizio di omesso esame di fatto decisivo individuato nella situazione socio-politica del suo Paese, ma non anche precisa come e quando ebbe a sottoporre la questione al Giudice d’appello omettendo di ritrascrivere il passo dell’atto di gravame con il quale sottopose a critica la statuizione adottata al riguardo nella prima decisione ovvero ne segnalò l’omesso esame.

Quindi il motivo d’impugnazione pecca di non autosufficienza posto che le precisazioni dianzi evocate appaiono essenziali in relazione alla struttura del giudizio d’appello, in quanto la cognizione della Corte territoriale rimane perimetrata dal devolutum veicolato mediante specifici motivi di gravame.

Anche il vizio di violazione di legge denunziato si compendia nella mera proposizione della valutazione di parte della situazione socio-politica esistente attualmente in Gambia senza anche precisare – come dianzi evidenziato – se ed in qual modo la questione venne ritualmente sottoposta all’attenzione del Collegio romano mediante specifico mezzo di gravame.

Con la terza doglianza il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 6 e art. 19, poichè il Collegio romano non ha riconosciuto il suo diritto a godere della protezione umanitaria nonostante ricorressero in atti tutti gli elementi all’uopo utili, specie confrontando le possibilità di vita in Italia rispetto a quelle esistenti in Gambia.

La censura mossa appare generica eppertanto inammissibile posto che l’argomento critico svolto si limita ad astratta ricostruzione dell’istituto senza un effettivo confronto con la motivazione esposta dalla Corte capitolina per sostenere la propria statuizione sul punto.

Difatti il Collegio romano ha puntualmente precisato come la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria risultava disancorata dalla prospettazione di una condizione di vulnerabilità e come il mezzo di gravame appariva generico in relazione alla motivazione esposta sul punto dal Tribunale. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione resistente, liquidate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione degli Interni le spese di lite di questo giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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