Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28024 del 02/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 02/11/2018, (ud. 07/06/2018, dep. 02/11/2018), n.28024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9870-2014 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FUSILLO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

METRO ITALIA CASH AND CARRY S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FILIPPO CORRIDONI 23, presso lo studio degli avvocati ANDREA

CELEBRANO, GIULIO CELEBRANO, che la rappresentano e difendono

unitamente agli avvocati SALVATORE TRIFIRO’, STEFANINO BERETTA,

MARINA ESTER OLGIATI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2441/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/04/2013 R.G.N. 11704/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO FUSILLO;

udito l’Avvocato ANDREA CELEBRANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2441/2013, depositata l’8 aprile 2013, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva rigettato la domanda di M.M. volta ad ottenere, nei confronti di Metro Italia Cash and Carry S.p.A., la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto alla stessa intimato il 20/7/2003 nonchè volta all’accertamento, con le conseguenti pronunce risarcitorie, della responsabilità della datrice di lavoro per l’infortunio occorsole il (OMISSIS), allorquando, verso le ore 22.15, al termine del servizio svolto presso il reparto pescheria, era scivolata prima di accedere allo spogliatoio femminile sul pavimento bagnato, cadendo rovinosamente a terra.

2. La Corte osservava a sostegno della propria decisione come le allegazioni contenute nel ricorso introduttivo non avessero trovato conferma nell’istruttoria, nessuno dei testi avendo riferito che vi fosse acqua nel corridoio percorso dall’appellante, il quale risultava ben illuminato al momento dell’infortunio e dotato di strisce in plastica antiscivolo; nè poteva, ad avviso della Corte, aversi riguardo alla deposizione della teste M., le cui dichiarazioni fornivano una ricostruzione dei luoghi e dell’accaduto non conforme alle deduzioni del ricorso.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con unico motivo, cui ha resistito la società con controricorso, assistito da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo proposto, deducendo vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare alcuni fatti decisivi che avevano formato oggetto di contraddittorio fra le parti e, in particolare, per avere trascurato l’esame della circostanza se il corridoio, in cui avvenne il sinistro, fosse illuminato o meno; se lo stesso fosse reso scivoloso dalla presenza di acqua; se dovesse darsi maggiore credibilità alle deposizioni della teste M. che aveva assistito al sinistro, e del teste Ma., che il giorno dell’infortunio era stato nel corridoio, rispetto a quelle degli altri testimoni assunti; se la lavoratrice indossasse le scarpe antiscivolo la sera del sinistro e se fosse obbligata a farlo nel corridoio dello spogliatoio.

2. Il motivo è infondato.

3. Al riguardo si deve premettere che le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito delle modifiche introdotte nel 2012, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

4. Nel caso di specie, diversamente da quanto dedotto, la Corte territoriale risulta avere preso in considerazione tutte le circostanze indicate come omesse, rilevando, nell’ambito di una più ampia ricostruzione dell’episodio e fra altri elementi di fatto, come “nessuno” avesse “confermato che vi fosse acqua nel corridoio”; che i testi avevano “dichiarato che il corridoio era ben illuminato”; che alcuni avevano “anche riferito che l’appellante aveva l’obbligo di indossare scarpe antiscivolo fino al momento di cambiarsi nello spogliatoio” (cfr. sentenza impugnata, pp. 2-3).

5. Sotto altro profilo, la Corte ha anche diffusamente motivato in ordine all’attendibilità della teste M., osservando che la teste aveva reso dichiarazioni difformi dalla stessa ricostruzione offerta dalla ricorrente con l’atto introduttivo, così da violare il principio del contraddittorio, e comunque specificando l’incompatibilità di tali dichiarazioni con altri elementi positivamente acquisiti al giudizio.

6. Come più volte ribadito da questa Corte, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (cfr., fra le molte, Cass. n. 11511/2014).

7. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

9. La ricorrente, attesa l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio, non è tenuta, allo stato, nonostante la declaratoria di rigetto dell’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2018

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