Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28023 del 16/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 28023 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 19975-2008 proposto da:
SPARANE° ALBERTO C.F. SPRLRT41L01I438F, domiciliato
in ROMA, VIA MARAVASI DIOMEDE n. 15, presso lo studio
dell’avvocato BOCCADAMO GIORGIO, rappresentato e
difeso dall’avvocato BARBATO VINCENZO, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2013
2888

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

Data pubblicazione: 16/12/2013

in ROMA, VIA DELLA FREZZA

17,

presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
avvocati CORETTI ANTONIETTA, MARITATO LELIO, CALIULO
LUIGI, giusta delega in atti;
– controricorrente
1232/2007

della CORTE

D’APPELLO di SALERNO, depositata il 11/10/2007 R.G.N.
460/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/10/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato DE ROSE EMANUELE per delega MARITATO
LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n.

Udienza 16.10.2013, causa n. 6

19975/08

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Sparaneo Alberto, premesso di aver accettato il 10.1.1995 un verbale di conciliazione
che prevedeva l’estinzione del rapporto di lavoro con la Sirti sulla base del presupposto
del possesso dei requisiti di legge per accedere alla cosidetta “mobilità lunga” e quindi
alla pensione di anzianità come attestato dall’INPS con certificazioni poi rivelatesi
erronee, adiva il Giudice del lavoro di Nocera Inferiore per sentir dichiarare la
responsabilità dell’Istituto con condanna di questo al pagamento della somma indicata
in ricorso pari alla indennità persa per il periodo 21.1.1999 al 1.1.2001 ed al
versamento di una somma pari alla pensione di anzianità a decorrere dalla data di
perfezionamento dei 35 anni di contribuzione sino al soddisfo ed al versamento di una
somma pari all’ammontare dei contributi volontari per il periodo di lavoro autonomo
svolto dal 1.1.1969 al 31.12.1969 o, in subordine, al risarcimento del danno da
liquidarsi in via equitativa. L’INPS si costituiva contestando la fondatezza del ricorso.
Il Tribunale del lavoro di Nocera Inferiore con sentenza del 26.1.1996, in accoglimento
della domanda per quanto di ragione, condannava l’INPS al pagamento in favore del
ricorrente della somma di euro 12.387,80 e di una somma pari ai ratei della pensione di
anzianità dall’1.1.2001. Per il Tribunale la comunicazione fornita dall’Istituto , anche se
non su specifica richiesta della posizione previdenziale dello Sparaneo, aveva fatto
sorgere una responsabilità contrattuale dell’INPS che determinava l’obbligo di risarcire
il danno derivato dalle inesatte informazioni rese. La Corte di appello di Salerno con
sentenza del 11.10.2007 accoglieva, invece, l’appello dell’INPS e in riforma della
impugnata sentenza, rigettava la domanda. La Corte territoriale osservava che ai sensi
dell’art. 54 L. n. 88/89 sussisteva una responsabilità dell’INPS solo a richiesta esclusiva
degli interessati, mentre nel caso in esame vi era stata solo la trasmissione di un mero
estratto meccanografico in assenza di espressa e formale richiesta dell’interessato.
Nel’estratto inviato era poi espressamente formulato l’invito ad esaminare attentamente
i dati ed eventualmente a chiamare un numero verde per informazioni. Da ultimo, circa
i contributi che poi si erano rivelati come non effettivamente versati, l’appellato non
poteva non sapere che la titolare dell’impresa commerciale Squillante Raffaela coniuge

R.G.

Non sussisteva, quindi, alcuna responsabilità dell’Istituto; i precedenti di legittimità
menzionati dalla difesa dello Sparaneo si riferivano a casi diversi. In ordine alla allegata
non necessità di una domanda di ricongiunzione contributiva per l’accesso alla mobilità
lunga la Corte territoriale osservava che la questione non rientrava nel thema
decidendum posto che era oggetto di altro procedimento ormai definito.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso lo Sparaneo con tre motivi; resiste
l’INPS con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si allega la violazione dell’art. 54 legge n. 88/89 Ogni
documentazione dell’INPS anche alla luce dei quanto previsto dalla legge n. 88/89
certificazione ha carattere di certificazione del dato attestato il che implica la
responsabilità dell’istituto che è l’unico depositario dei dati. Sussiste una responsabilità
contrattuale dell’Istituto a fornire dati esatti.
Il motivo appare infondato. La Corte territoriale ha richiamato l’orientamento della
giurisprudenza di questa Corte secondo il quale “nell’ipotesi in cui l’INPS abbia fornito
all’assicurato una erronea indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati,
solo apparentemente sufficienti a fruire di pensione di anzianità, va esclusa la
responsabilità dell’INPS per il danno sofferto dall’interessato a causa della successiva
interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi, ove la
situazione contributiva sia stata comunicata dall’ente a prescindere da una domanda
dell’interessato, con la specificazione della provvisorietà dei dati forniti e dell’eventuale
presenza di errori, al fine di verificare, con la collaborazione dell’assicurato, la sua
posizione contributiva” ( cass. n. 7683/2010). Tuttavia anche se si dovesse seguire il
diversa orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale “nell’ipotesi in
cui un ente previdenziale, avente personalità giuridica di diritto privato, comunichi ad
un proprio assicurato un’informazione erronea in ordine all’avvenuta maturazione del
requisito contributivo occorrente per poter fruire della pensione di vecchiaia, pur non
essendo applicabile l’art. 54 della legge 9 marzo 1989, n. 88, il quale pone a carico
dell’INPS l’obbligo di comunicare agli assicurati l’entità dei contributi versati, merita
nondimeno tutela, ai sensi dell’art. 1175 cod. civ., l’affidamento dell’assicurato, essendo
altresì gli organi degli enti previdenziali privati, per l’attività di amministrazione e di
gestione svolta, in possesso di dati e di conoscenze, che comportano la titolarità di
poteri e di connessi doveri, anche di comunicazione, da esercitare con diligenza. Ne
consegue che grava sull’ente previdenziale l’obbligo di risarcire il danno derivato
dall’erronea comunicazione e dalla conseguente decisione dell’assicurato di cancellarsi
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dello stesso appellato aveva chiesto la cancellazione del marito con effetto 22.7.1968
con la conseguenza che la contribuzione 1.1.1969- 31.12.1969 come coadiutore
d’impresa non poteva essere valutata pur essendo inclusa nella certificazione ai fini
della mobilità lunga se non attraverso la ricongiunzione dei diversi periodi assicurativi
nella gestione dei lavoratori dipendenti ex L. n. 29/79. I dati comunicati erano quindi
tutti esatti, salvo una inesattezza conoscibile però da parte dell’interessato secondo
principi di comune diligenza. La stessa azienda datrice di lavoro aveva, poi, avvertito
l’appellato che non risultavano perfezionati i requisiti per la mobilità lunga.

del 2005 e Cass. n. 15231 del 2007). Resta dunque da verificare in concreto l’eventualità prospettata dall’INPS nelle sue difese e non ancora vagliata dal giudice di merito – che
l’estratto contributivo recasse espressioni tali da ingenerare nel destinatario un ragionevole
dubbio circa l’esattezza e/o la definitività dei dati esposti, si che eventuali determinazioni da
questi assunte senza adeguate cautele possa rilevare ai fini di una limitazione della
responsabilità dell’Istituto per concorso di colpa del soggetto creditore ex art. 1227, secondo
comma, cod. civ.” ( cass. n. 21454/2013 ). Ora a ben guardare la motivazione della sentenza è
incentrata su due rationes decidendi diverse; da un lato si è richiamata il primo orientamento
della giurisprudenza di legittimità prima ricordata e quindi la non responsabilità dell’INPS in
relazione a richieste non formalmente proposte dall’interessato e dall’altra si sono evidenziati
elementi che avrebbero dovuto condurre l’assicurato ad approfondire i dati attestati nel
documenti, se avesse esercitato l’ordinaria diligenza. La Corte territoriale ha infatti osservato
che nell’estratto inviato era poi espressamente formulato l’invito ad esaminare attentamente i
dati ed eventualmente a chiamare un numero verde per informazioni. Da ultimo, circa i
contributi che poi si erano rivelati come non effettivamente versati, l’appellato non poteva non
sapere che la titolare dell’impresa commerciale Squillante Raffaela coniuge dello stesso
appellato aveva chiesto la cancellazione del marito con effetto 22.7.1968 con la conseguenza
che la contribuzione 1.1.1969- 31.12.1969 come coadiutore d’impresa non poteva essere
valutata pur essendo inclusa nella certificazione ai fini della mobilità lunga se non attraverso la
ricongiunzione dei diversi periodi assicurativi nella gestione dei lavoratori dipendenti ex L. n.
29/79. I dati comunicati erano quindi, ha rimarcato la Corte di appello, tutti esatti, salvo una
inesattezza conoscibile però da parte dell’interessato secondo principi di comune diligenza. La
stessa azienda datrice di lavoro aveva, poi, awertito l’appellato che non risultavano
perfezionati i requisiti per la mobilità lunga. Pertanto l’assicurato era nelle condizioni, usando
dell’ordinaria diligenza, di rendersi conto che non rientrava nelle condizioni previste per poter
usufruire prima della “mobilità lunga” e quindi della pensione richiesta. Pertanto anche alla
luce della giurisprudenza di legittimità da ultimo richiamata e precisata nell’ultimo arresto del
2013 non sussistono in concreto le condizioni di responsabilità dell’INPS. Si tratta, peraltro, di
un accertamento di merito sulla base di solidi argomenti fattuali evidenziati nella sentenza
impugnata come tali non censurabili in questa sede.

il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e
1176 c.c.; carenza di motivazione C’era stata una certificazione errata; il ricorrente non
poteva ricordarsi di una pratica amministrativa di oltre 30 anni precedente della moglie.
Con

Il motivo appare inammissibile in quanto solleva questioni tipicamente concernenti il
merito inammissibili come tali in questa sede. La Corte territoriale ha riportato
anticamente plurimi elementi in base ai quali il ricorrente era in condizioni, usando
3

dall’albo professionale” ( cass. n. 3195/2012; cfr. anche cass. 8118/2008) in ogni caso
la domanda risarcitoria apparirebbe infondata. Questa Corte con una più recente
pronuncia ha chiarito quest’ultimo indirizzo precisando che “in tema di risarcimento
del danno da inadempimento, l’art.1227, comma secondo cod. civ., nel porre la
condizione della “inevitabilità”, ex latere creditoris, con l’uso dell’ordinaria diligenza,
non si limita a richiedere al creditore stesso un mero comportamento inerte ed omissivo
di fronte all’altrui comportamento dannoso, ovvero il semplice astenersi dall’aggravare,
con il fatto proprio, il pregiudizio già verificatosi, ma, secondo i principi generali di
correttezza e buona fede di cui all’art.1175 cod. civ., gli impone altresì una condotta
attiva o positiva funzionale a limitare le conseguenze dannose del detto comportamento,
dovendosi peraltro intendere ricomprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza, all’uopo
richiesta, soltanto quelle attività non gravose, non eccezionali, non comportanti rischi
notevoli e/o rilevanti sacrifici (ex plurimis, tra le più recenti, Cass. n. 20684 del 2009, n. 6735

dell’ordinaria diligenza, di dubitare in ordine al suo diritto di accedere alla cosidetta ”
mobilità lunga” e quindi di poter accedere al trattamento pensionistico richiesto. Lo
steso datore di lavoro lo aveva peraltro avvertito. La motivazione appare congrua e
logicamente coerente, mentre le cesure- come detto- sono di merito e quindi
inammissibili.

Il motivo va dichiarato inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del
ricorso in cassazione: si invoca una diversa interpretazione di una sentenza ma la stessa
non è stata prodotta, né riprodotta; non si indica neppure l’incarto processuale sia
eventualmente reperibile. Non è dato neppure sapere se lo stato processuale relativo a
tale controversia.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Stante i contrasti nella giurisprudenza anche
di legittimità e l’esito alterno delle fasi di merito sussistono giusti motivi per
compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:
rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16.10.2013

Con il terzo motivo si allega la violazione dell’art. 209 c.c. ; nonché la violazione
della legge n. 29/79. Il precedente del Tribunale di Nocera inferiore stabiliva la sola
inammissibilità del ricorso; quindi non c’era nessun giudicato.

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