Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28017 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 31/10/2019), n.28017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3569/2018 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE

10, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE BOCCONGELLI,

rappresentata e difesa dagli avvocati ALBERTO DI CAGNO, MARIA

CICIRELLI;

– ricorrente –

contro

L.S., BR.CA., B.G.,

B.I., B.R., P.F.I.;

– intimati –

Nonchè da:

B.I., BR.CA., L.S.,

B.R., P.F.I., B.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 150, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO ARMANDOLA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

contro

B.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1870/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 20/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 10 motivo

del ricorso; assorbito il 2 motivo del ricorso incidentale, quindi

rigetto incidentale;

uditi gli Avvocati MARIA CIRIRELLI e ALBERTO DI CAGNO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 30/10/2002 i coniugi B.R. e L.S. convennero in giudizio la loro figlia B.C., per sentir dichiarare l’intervenuta risoluzione del contratto di vitalizio per inadempimento della convenuta, e la condanna della medesima al risarcimento del danno. Esposero di aver stipulato con atto pubblico del 26/5/1997 un contratto con il quale avevano ceduto alla propria figlia la nuda proprietà di alcuni immobili a fronte di un corrispettivo costituito dall’obbligo di accudimento e di assistenza morale e materiale per tutta la durata della loro vita; non avendo la figlia ottemperato alla propria obbligazione, gli stipulanti avevano esercitato la clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di vitalizio, comunicando la risoluzione di diritto del contratto; la convenuta aveva continuato ad occupare gli immobili in questione, nonostante le reiterate richieste di restituzione effettuate dai genitori, sì da indurre i medesimi ad agire in giudizio. La convenuta si costituì eccependo di aver sempre adempiuto l’obbligazione a proprio carico, fatta eccezione per i casi in cui gli stessi genitori avevano rifiutato la prestazione. Nelle more del giudizio i coniugi B.- L., con un secondo atto di citazione del 20/5/2009, proposero, nei confronti della figlia Cesaria, una nuova domanda di risoluzione, sul presupposto del protratto inadempimento, successivo alla notifica del primo atto di citazione del 30/10/2002.

Disposta la riunione dei due giudizi il Tribunale dichiarò la risoluzione del contratto in forza della clausola risolutiva espressa contenuta nella scrittura del 26/5/1997, accogliendo la domanda introdotta con il primo atto di citazione, mentre dichiarò assorbita la domanda introdotta con il secondo atto.

La Corte d’Appello di Bari, adita dalla soccombente, con sentenza n. 1870 del 2017, ha accolto il primo motivo di appello con il quale si faceva valere l’esistenza di una scrittura privata di transazione del 4/9/2001 (per definire il contenzioso relativo al primo periodo e prevenire ulteriori inadempimenti) scrittura già prodotta nel giudizio di primo grado ed illustrata dalla tempestiva eccezione di transazione, contenuta nella comparsa di costituzione e risposta.

Conseguentemente ha ritenuto che la dichiarata risoluzione di diritto pronunciata in ordine alla prima domanda giudiziale fosse inammissibile, in considerazione dell’effetto preclusivo derivante dall’accordo transattivo.

Quanto alla eccepita inammissibilità della seconda domanda, introdotta con la seconda citazione, in ragione dell’avvenuta cristallizzazione del rapporto alla data di proposizione delle domande giudiziali di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c., comma 3, il Giudice, richiesto di riformare la pronuncia di primo grado che ne aveva dichiarato l’assorbimento, ha ritenuto inapplicabile la preclusione dell’art. 1453 c.c., comma 3, al contratto di vitalizio atipico in quanto contratto di durata. Infine, rigettando il terzo motivo di appello, ha ritenuto che B.C. non avesse dato prova, nè in ragione del principio di non contestazione nè in ragione delle prove testimoniali raccolte, di aver continuato ad adempiere ai propri obblighi contrattuali nè di aver trovato ostacolo all’adempimento nel rifiuto dei genitori a ricevere la prestazione. Conclusivamente il giudice d’Appello ha dichiarato inammissibile la domanda di risoluzione del contratto, introdotta con l’atto di citazione del 30/10/2002; ha accolto la domanda proposta con l’atto di citazione del 20/5/2009 ed ha dichiarato la risoluzione del contratto, relativa al secondo periodo, non coperto dalla transazione; ha compensato per 1/3 e posto a carico dell’appellante i 2/3 delle spese del doppio grado.

Avverso la sentenza B.C. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Resistono L.S., Br.Ca., B.G., B.I., P. Filomena B., B.R. con controricorso e ricorso incidentale condizionato. B.C. resiste al ricorso incidentale con autonomo controricorso e deposita memoria ex art. 378 c.p.c.. La causa, fissata per la trattazione nella Camera di Consiglio di questa Terza Sezione del 13 dicembre 2018, è stata, con ordinanza interlocutoria del 9 gennaio 2019, in ragione della particolare rilevanza delle questioni di diritto sollevate dalle parti ai sensi dell’art. 375 c.p.c., anche con riferimento ai profili nomofilattici prospettabili con riguardo alla relativa decisione, rinviata a nuovo ruolo per la discussione in pubblica udienza dinanzi alla sezione semplice di questa Terza Sezione Civile. E’ stata trattata alla Pubblica udienza del 12 luglio 2019, in vista della quale la ricorrente ha depositato ulteriore memoria e, all’esito della medesima, trattenuta in decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 113, 166,167,346,347 359; ultrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la ricorrente principale censura la sentenza per aver accolto la seconda domanda di risoluzione contrattuale che era stata dichiarata assorbita dal giudice di primo grado e non riproposta specificamente in appello, di guisa da doversi intendere rinunciata ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. Il Giudice avrebbe dovuto rilevare che l’appellante si era limitato, a fronte dell’assorbimento della domanda relativa al secondo periodo disposta dal giudice di primo grado, a chiedere la conferma integrale della sentenza del Tribunale n. 1130 del 2013. In ogni caso, ad avviso della ricorrente, la tardiva costituzione degli appellati avvenuta oltre il termine di decadenza di venti giorni prima dell’udienza indicata dall’appellante, in spregio al sistema di preclusioni dettato dagli artt. 166,167 e 359 c.p.c., avrebbe comportato la decadenza dal potere di riproporre le domande ed eccezioni non accolte.

1.1. Il motivo non è fondato. E’ destituita di ogni fondamento la tesi che l’appellante non abbia inteso riproporre gravame sulla questione relativa alla seconda domanda di risoluzione in quanto, in base all’effetto devolutivo, tutte le domande proposte in primo grado sono state riproposte in grado di appello, come si evidenzia nelle conclusioni del primo atto di costituzione nel giudizio di appello, poi riproposte negli atti successivi: “Voglia il giudice, in accoglimento del presente gravame e in totale riforma della sentenza impugnata, rigettare tutte le domande proposte dai signori B.R. e L.S. con atto di citazione del 30/2/2002 e con atto di citazione del 20/5/2009 perchè inammissibili e infondate”.

In mancanza di soccombenza sulla seconda domanda, dichiarata assorbita dal primo giudice, non occorreva riproporre la stessa domanda con appello incidentale, ma era sufficiente, come ottemperato dall’appellante, riproporla ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

La sentenza, nell’escludere dunque l’inammissibilità della seconda domanda di risoluzione, ha inteso dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte, che va pertanto confermata, secondo la quale l’appellante che impugni la sentenza con la quale il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato su una domanda, avendola ritenuta assorbita da un’altra decisione di carattere logicamente preliminare, non ha l’onere di formulare uno specifico motivo di gravame sulla questione assorbita ma soltanto di riproporre la relativa domanda nel rispetto dell’art. 346 c.p.c. (Cass., 2, n. 17749 del 19/7/2017; Cass. 3, n. 13768 del 31/5/2018; Cass., 2 n. 974 del 19/1/2006).

Nè alcuna tardiva costituzione può ravvisarsi avuto conto che la riproposizione dalla parte vittoriosa di domanda non esaminata in primo grado, perchè assorbita, poteva essere operata contestualmente al deposito della comparsa di costituzione e risposta o comunque non oltre la prima udienza di trattazione collegiale, non dovendo essere formulata con appello incidentale.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., artt. 1453 e 1455 c.c., omessa ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – la ricorrente principale solleva vizi motivazionali e di violazione di legge. In sostanza si duole che il giudice di merito abbia ritenuto provato il proprio inadempimento ed abbia ritenuto non applicabile, al caso in esame, l’art. 1453 c.c., comma 3, che preclude l’adempimento a seguito dell’accoglimento della domanda di risoluzione, in ragione della natura di durata del contratto incorso tra le parti.

2.1 Il motivo è, in parte inammissibile, in parte infondato. Inammissibile nella parte in cui solleva un vizio motivazionale in modo non conforme all’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte d’Appello esaminato fatti e prove con una motivazione adeguata e certamente conforme al minimo costituzionale richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte. E’ invece infondato quanto alla pretesa violazione dell’art. 1453 c.c., comma 3, in quanto i contratti “atipici” vitalizi rientrano nei contratti di durata, richiedendo una esecuzione continuata nel tempo. In base alla giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende dare continuità, l’accordo mediante il quale le parti stabiliscono la cessione di quote di piena o nuda proprietà di un bene immobile verso un corrispettivo, in parte rappresentato dalla prestazione mensile di una somma di danaro, ed in parte dalla prestazione di “assistenza morale” per la durata della vita del beneficiario, ha natura di contratto atipico, che si differenzia dalla rendita vitalizia in relazione agli autonomi obblighi di assistenza che lo connotano – in parte non fungibili e basati sulrintuitus personae” rispetto all’inadempimento dei quali, anche limitatamente ad un breve periodo, non è applicabile l’art. 1878 c.c., che esclude la risoluzione del contratto in ipotesi di mancato pagamento di rate di rendita scadute, ma la disciplina generale della risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 c.c. (Cass., 6-2n. 13232 del 25/5/2017). Essendo il vitalizio atipico un contratto il cui sinallagma va commisurato in relazione ad ogni erogazione della prestazione pattuita, il Giudice ha escluso l’applicazione dell’art. 1453 c.c., comma 3, ritenendo che al contratto di vitalizio atipico si applichi la disciplina dettata per i contratti di durata. Questa pronuncia va confermata da questa Corte la quale, facendo uso del proprio potere nomofilattico, ritiene che debba escludersi, anche per il contratto di vitalizio atipico, in quanto contratto di durata, l’applicazione dell’art. 1453 c.p.c., comma 3, non potendosi cristallizzare il sinallagma alla pronuncia di risoluzione per inadempimento di una delle singole prestazioni e ben potendosi dunque valutare adempimento ed inadempimento del vitalizio atipico in ordine alle successive prestazioni, in conformità a quanto in più occasioni affermato da questa Corte con riguardo ad altri contratti di durata (Cass., 3, n. 8076 del 4/6/2002; Cass., 3, n. 5902 del 17/3/2006; Cass., 3 n. 24207 del 14/11/2006; Cass., 3, n. 20551 del 30/9/2014). 3. Il ricorso principale deve, pertanto, essere rigettato. Ne consegue la declaratoria di assorbimento dei due motivi del ricorso incidentale condizionato proposti dai resistenti e la condanna della ricorrente principale alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, del cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito l’incidentale condizionato e condanna la ricorrente principale alle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 7.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15h. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, a seguito di discussione in Pubblica Udienza nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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