Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28016 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 31/10/2019), n.28016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2038/2018 proposto da:

N.G., M.P., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DELLA BALDUINA 120/5, presso lo studio dell’avvocato

FERRUCCIO AULETTA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA;

– intimata –

Nonchè da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del Dott.

A.E., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II

326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RENATO SCOGNAMIGLIO;

– ricorrente incidentale –

contro

N.G., M.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4027/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 1, e 4

motivo del ricorso principale, assorbito il 3, rigetto del ricorso

incidentale;

udito l’Avvocato AULETTA FERRUCCIO;

udito l’Avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.P. e N.G. convennero in giudizio la Banca 121 s.p.a. (già Banca del Salento) e la Banca Monte dei Paschi di Siena per sentir dichiarare la risoluzione, per inadempimento delle convenute, del contratto di franchising che gli attori avevano concluso in data 5.5.2000 con l’allora Banca del Salento, in forza del quale, a fronte dell’affidamento di una concessione per la commercializzazione di prodotti e servizi della Banca, avevano assunto in sublocazione un “negozio finanziario” sito in Napoli, sostenendo tutte le spese di ingresso e di gestione; lamentarono che, a seguito dell’ingresso della Banca 121 nel gruppo M.P.S., si era verificato un mutamento “regressivo” delle politiche commerciali che aveva provocato gravi danni agli attori, i quali erano stati costretti a recedere dal contratto di promozione finanziaria e da quello – collegato – di franchising; dedussero, in particolare, che le convenute avevano posto in essere attività contrarie ai principi di lealtà e correttezza commerciale che avevano provocato pregiudizi all’impresa e all’immagine del M.; chiesero pertanto che fosse dichiarata la risoluzione del contratto di franchising per inadempimento delle convenute, con condanna delle medesime alla restituzione di importi riscossi e al risarcimento dei danni.

Si costituì in giudizio la MPS Banca Personale s.p.a. eccependo l’incompetenza del Tribunale adito, contestando il merito delle pretese avversarie e chiedendo, in via riconvenzionale, che venisse dichiarata l’illegittimità del recesso in tronco esercitato dagli attori, con condanna del M. e del N. al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, al versamento di canoni insoluti e alla restituzione di somme anticipate.

Il Tribunale, rigettata l’eccezione di incompetenza, ritenne che la domanda di risoluzione per inadempimento non potesse essere accolta per difetto di interesse, a fronte del già avvenuto scioglimento del contratto conseguente all’esercizio del recesso; affermò, inoltre, la sussistenza di condotte integranti concorrenza sleale incidenti sull’attività degli attori, respingendo tuttavia la domanda risarcitoria della parte attrice; rigettò, infine, le domande riconvenzionali della Banca M.P.S..

Provvedendo sull’appello principale del M. e del N. e su quello incidentale della Banca, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, compensando integralmente le spese di lite.

Hanno proposto ricorso per cassazione il M. e il N., affidandosi a quattro motivi; ha resistito la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., con controricorso contenente ricorso incidentale basato su due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

IL RICORSO PRINCIPALE:

1. Il primo motivo denuncia la “nullità della sentenza, in relazione agli artt. 100 e 112 c.p.c., a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4)”: i ricorrenti censurano l’affermazione del secondo giudice circa il difetto di interesse alla proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento una volta che l’esercizio del recesso aveva determinato lo scioglimento del vincolo contrattuale; premesso che “l’interesse ad agire deve apprezzarsi con riferimento all’esigenza di provocare l’intervento degli organi giurisdizionali per conseguire un risultato utile giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice”, rilevano che la circostanza che il rapporto si fosse sciolto (con effetto ex nunc) in conseguenza dell’esercizio del recesso “non impediva in alcun modo di ritenere sussistente l’interesse ad agire con riferimento ad un’azione costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento verificatosi in data antecedente alla manifestazione della volontà di recedere”, sussistendo diversità di conseguenze giuridiche giacchè la risoluzione, a differenza del recesso, produce effetti ex tunc e comporta il diritto al risarcimento dei danni, consentendo pertanto di conseguire “utilità superiori a quelle che derivano dallo scioglimento del contratto per effetto del recesso”; tanto più che lo scioglimento del contratto di franchising era “ancora sub iudice” (a differenza di quello di promozione finanziaria per cui era stato esercitato il recesso).

2. Il secondo motivo (“violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372,1373 e 1453 c.c.”), dedotto per l’ipotesi che la Corte di Appello non si sia limitata a escludere l’interesse alla proposizione della domanda di risoluzione, ma l’abbia rigettata nel merito “per carenza dell’oggetto”, ribadisce la proponibilità della domanda di risoluzione con richiamo ad arresti di legittimità che hanno evidenziato come la risoluzione per grave inadempimento, avendo efficacia retroattiva, prevalga rispetto alle altre cause di scioglimento del contratto.

3. I due motivi – da esaminare congiuntamente – sono fondati alla luce del principio consolidato secondo cui la risoluzione di un contratto ad esecuzione continuata per recesso unilaterale di una parte “non preclude la pronuncia, in un successivo e distinto giudizio, della sentenza di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento anteriormente verificatosi, la cui domanda ha contenuto e presupposti diversi; tale ultima pronuncia, sebbene di carattere costitutivo, avendo efficacia retroattiva al momento dell’inadempimento (art. 1458 c.c.), prevale infatti rispetto alle altre cause di risoluzione del medesimo rapporto contrattuale, per la priorità nel tempo dell’operatività dei suoi effetti” (Cass. n. 16110/2009; conformi Cass. 2070/1993 e Cass. n. 14623/2018; cfr. anche Cass. n. 13079/2004 e Cass. n. 7878/2011); deve pertanto ritenersi che i due istituti del recesso e della risoluzione per inadempimento non siano incompatibili e che, mentre la domanda di recesso può essere valutata soltanto una volta che sia stata esclusa la risoluzione, non vale il contrario, dal momento che, producendo effetti ex tunc, la risoluzione comporta una priorità nel tempo dell’operatività dei suoi effetti; non derivando dunque dall’avvenuto esercizio del recesso un vincolo preclusivo all’esame della domanda di risoluzione, deve ritenersi sussistente l’interesse della parte che abbia esercitato il recesso a sentir pronunciare la risoluzione per inadempimento, che può comportare un risultato più favorevole, sotto il profilo della decorrenza degli effetti e della possibilità di conseguire il risarcimento del danno.

La sentenza va dunque cassata in relazione agli anzidetti due motivi, con rinvio alla Corte territoriale.

4. Il terzo motivo (“violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1223,1372,1373 e 1453 c.c.”), che è dedotto per l’ipotesi di mancato accoglimento dei primi due e lamenta l’automatismo con cui la Corte di merito ha fatto conseguire il rigetto della domanda di risarcimento dei danni dalla ritenuta non esaminabilità di quella di risoluzione, resta assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi.

5. Il quarto motivo denuncia la “nullità della sentenza, in relazione agli artt. 112 e 342 c.p.c., a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4)”: premesso di avere proposto appello avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui, pur accertando l’esistenza di specifici inadempimenti della Banca e di danni ad essi eziologicamente ricollegabili, aveva ritenuto di non poter procedere alla liquidazione in via equitativa per difetto di tempestiva domanda, i ricorrenti lamentano che la Corte di Appello ha “conclusivamente omesso di pronunciarsi su di esso, con ciò incorrendo nella denunziata violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c.”.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto i ricorrenti non trascrivono il motivo di appello onde consentire a questa Corte di rilevare, già sulla base della lettura del ricorso, il denunciato vizio in procedendo (cfr. Cass. n. 17049/2015), alla luce del principio consolidato secondo cui la facoltà di accesso agli atti consentita dalla deduzione di un error in procedendo non esime il ricorrente dall’onere di circostanziarlo in modo adeguato (Cass. n. 22880/2017).

IL RICORSO INCIDENTALE:

6. Il primo motivo del ricorso incidentale della Banca denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., “sotto il profilo dell’assunzione di un concetto erroneo del rapporto di concorrenzialità”, non ravvisabile “in un contesto che era (…) caratterizzato pacificamente da un rapporto contrattuale di collaborazione tra le parti”.

Il motivo è inammissibile in quanto volto a superare un apprezzamento di merito che ha individuato -in concreto- una situazione di concorrenza sleale pur a fronte di un rapporto che era sorto in termini di collaborazione, ma che si era successivamente evoluto in modo tale da determinare un pregiudizio (in termini di sottrazione di clientela e di possibilità operative) per una delle parti.

7. Il secondo motivo denuncia la “nullità della sentenza per omessa pronuncia su una questione dedotta come motivo di appello incidentale”: la ricorrente deduce di avere censurato, tra l’altro, l’accertamento contenuto nella sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza di una giusta causa alla base del recesso del M. dal contratto di agenzia-promozione finanziaria e dal contratto di franchising a questo collegato e lamenta che la Corte territoriale abbia completamente omesso di prendere in esame questo motivo di appello incidentale.

Il motivo è inammissibile – per difetto di autosufficienza – per le stesse ragioni evidenziate in relazione al quarto motivo del ricorso principale.

8. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.

9. Sussistono, in relazione al ricorso incidentale, le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbito il terzo e inammissibile il quarto, e dichiara l’inammissibilità del ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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