Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28016 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. I, 09/12/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 09/12/2020), n.28016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15299/2019 proposto da:

K.B., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Elena Tordela, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso decreto del Tribunale di Napoli, depositato il 19 aprile

2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Napoli del 19 aprile 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che a K.B., nato in (OMISSIS), potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria; il giudice del merito ha invece accertato il diritto del richiedente al permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi sono rubricati come segue.

1.1. – Primo motivo: “In via preliminare: richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, così come convertito nella L.n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione dello stesso decreto legge, per quanto concerne il differimento dell’efficacia temporale e, quindi, dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale”.

1.2. – Secondo motivo: “Sempre in via preliminare: richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta a decorrere dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado”.

1.3. – Terzo motivo: “Sempre, e da ultimo, in via preliminare: richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato”.

1.4. – Quarto motivo: “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 8; violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7; violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2; violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14; violazione dell’art. 10 Cost.; violazione della direttiva n. 2004/83; violazione dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE; violazione dell’art. 8 della direttiva 2001/95/UE; violazione dell’art. 3 CEDU”.

2. – Il ricorso è infondato.

2.1 – Con riferimento alla prima questione di costituzionalità il ricorrente non fornisce precise indicazioni quanto alla rilevanza di essa: in particolare, non lega la medesima al tema della applicazione, alla vicenda processuale, di una delle norme introdotte col D.L. n. 13 del 2017.

In ogni caso, la questione è manifestamente infondata.

La straordinaria necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel D.L., ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito (Corte Cost., sentenza n. 5 del 2018; Corte Cost., sentenza n. 16 del 2017). Questa stessa Corte ha poi specificamente evidenziato, con riguardo al decreto legge sospettato di incostituzionalità, che il difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza non può prospettarsi nemmeno ove si abbia riguardo alla disposizione transitoria che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito: previsione, questa, che è da ritenere connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717).

2.2. – La questione di costituzionalità basata sul restringimento del termine previsto per il ricorso per cassazione è palesemente irrilevante.

Come è dedotto in ricorso, l’istante ha impugnato tempestivamente il decreto del Tribunale, onde un’ipotetica pronuncia di incostituzionalità non potrebbe avere alcuna ricaduta nel presente giudizio.

2.3. – Parimenti irrilevante è la questione attinente al rilascio della procura, che deve essere successiva alla comunicazione del decreto impugnato, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13.

Infatti – e ciò è evidenziato dallo stesso istante – la procura relativa al giudizio di cassazione risulta conferita dal ricorrente in un momento successivo alla nominata comunicazione.

2.4. – La censura formulata nel motivo rubricato come quarto è infondata.

Il Tribunale ha escluso di poter ritenere provata, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le dichiarazioni rese dal richiedente avanti alla Commissione territoriale, giudicando le stesse generiche, contraddittorie e non plausibili. Ha inoltre escluso, sulla base di fonti informative citate nel corpo del provvedimento, che la regione del Mali da cui proviene l’istante sia interessata a una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato ex art. 14, lett. c).

Ora, per un verso la doglianza di cui al quarto motivo risulta formulata in modo non circostanziato, senza precisare a quale delle diverse forme di protezione internazionale previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, il ricorrente faccia riferimento quando si duole della mancata spendita, da parte del Tribunale, dei poteri istruttori ufficiosi.

Per altro verso, e comunque, la censura non coglie nel segno.

Ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275), non vi è ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione. In tal senso, va qui ribadito che “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria dell’art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione).

La proposizione inversa vale, invece, nella fattispecie di cui dell’art. 14, lett. c). Come ha avuto modo di precisare la Corte di giustizia, nell’interpretare l’art. 15, lett. c), della direttiva del Consiglio n. 2004/83/CE (di cui la richiamata norma nazionale costituisce recepimento), l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. Ciò implica che la protezione sussidiaria, nel caso in esame, vada accordata per il sol fatto che il richiedente provenga da territorio interessato dalla menzionata situazione di violenza indiscriminata: situazione in cui il livello del conflitto armato in corso è tale che l’interessato, rientrando in quel paese o in quella regione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, CI11285/12, Diakitè; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130). Nell’ipotesi di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), dunque, il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice trova sicuro fondamento applicativo, sempre che – beninteso – il giudizio di non credibilità del richiedente non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda la richiamata forma di protezione (Cass. 24 maggio 2019, n. 14283; in senso sostanzialmente conforme: Cass. 29 maggio 2020, n. 10286).

Del tutto correttamente il Tribunale ha allora reputato dirimente la non credibilità delle dichiarazioni del richiedente ai fini dello scrutinio delle domande dirette al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); e con altrettanta esattezza il giudice del merito, nell’esaminare la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 14 cit., lett. c), ha basato il proprio giudizio su informazioni relative al paese di origine, come prescrivono il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis.

Nè le censure di violazioni di legge fatte valere dal ricorrente col quarto motivo potrebbero giustificare una rivisitazione del giudizio espresso, al riguardo, dal giudice del merito. Infatti, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui all’art. 14, lett. c), che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054).

3. – Stante la mancata resistenza del Ministero non vi sono spese di giudizio su cui provvedere.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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