Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28015 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 05/07/2019, dep. 31/10/2019), n.28015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16396-2018 proposto da:

B.L., VIVIMEDIA SRL in persona del legale rappresentante

P.V., L.M.L., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA ADRIANA N 11, presso lo studio dell’avvocato UGO

GIURATO, rappresentati e difesi dall’avvocato PATRIZIA BUGNANO;

– ricorrenti –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANASTASIO

II 416, presso lo studio dell’avvocato STEFANO RADICIONI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO BERTOLA;

– controricorrente –

e contro

LE.GA.AU.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2520/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 2520/2017 respingendo l’impugnazione proposta da B.L., L.M.L. e dalla società Vivimedia srl nei confronti di C.M. e di Le.Ga.Au. – ha confermato la sentenza n. 439/2016 del Tribunale di Ivrea con la quale era stata accolta la domanda risarcitoria proposta dal C. nei confronti degli appellanti e della Le. in relazione alla pubblicazione in data (OMISSIS) sul settimanale “(OMISSIS)” di un articolo intitolato “(OMISSIS)” dal contenuto diffamante. In detto articolo, il giornalista B. aveva riferito dell’azione politica svolta dal gruppo “(OMISSIS)”, che era guidato dalla Dott.ssa Le.Ga., Candidato Sindaco della formazione politica all’opposizione nel Consiglio Comunale di Leinì (e in particolare della polemica insorta su di una convenzione stipulata tra l’amministrazione comunale allora in carica e l’associazione “(OMISSIS)”, presieduta dal C., associazione che gestiva il (OMISSIS)).

2.Era accaduto che nel marzo 2013 il C. aveva convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Ivrea il giornalista B., il direttore responsabile della testata giornalistica L.M., la casa editrice Vivimedia S.r.l. e Le.Ga. (soggetto intervistato in rappresentanza del gruppo politico “(OMISSIS)”), chiedendo di condannare i convenuti in solido al ristoro dei danni non patrimoniali da lui patiti a seguito della pubblicazione in data (OMISSIS) sul settimanale “(OMISSIS)” del sopra menzionato articolo.

In sostanza, a sostegno delle proprie conclusioni, il C. aveva dedotto che il menzionato articolo conteneva delle affermazioni non veritiere ed offensive che lo riguardavano: in particolare che egli aveva ceduto una pregiata collezione di strumenti musicali al museo “(OMISSIS)”, di cui era direttore, non già per atto di liberalità, bensì in adempimento di un onere contenuto nel testamento redatto dal signor V.G., con ciò finendo per essere ritratto come un millantatore.

I convenuti B., L.M. e la società Vivimedia srl avevano contestato la prospettazione attorea e, in particolare, avevano rilevato l’assenza in capo al giornalista del dovere di verificare la verità storica della notizia e la continenza formale delle dichiarazioni nel caso di intervista rilasciata da personaggio di rilievo pubblico, quale era per l’appunto la Le., evidenziando la verità quantomeno putativa della notizia dell’esistenza del testamento di V.G.. E, in ogni caso, avevano contestato la determinazione del danno per come quantificata dal C..

La Le. aveva sostenuto di non aver mai reso, nel corso dell’intervista telefonica riportata nell’articolo, le dichiarazioni censurate dal C. relative al testamento del V..

Il Tribunale di Ivrea con sentenza n. 439/16 aveva accolto la domanda del C., limitatamente a B.L., L.M.L. e la società Vivimedia, condannando tutti i predetti al risarcimento del danno quantificato nella somma di Euro 5.000.00, nonchè condannando il solo giornalista alla sanzione prevista dalla L. n. 47 del 1948, art. 14; mentre aveva respinto la domanda proposta nei confronti della Le.. In sintesi, secondo quanto ritenuto dal giudice di primo grado: a) non risultava provato che il giornalista avesse verificato la verità storica del fatto pubblicato; b) non era stato rispettato il limite della continenza in quanto le espressioni utilizzate “finiscono per tradursi in un “attacco” alla sfera personale e morale dell’attore, di cui viene immotivatamente messa in discussione l’onestà e compromessa la reputazione”; c) non risultava provato che le dichiarazioni riportate nell’articolo provenissero dalla Le..

Avverso la sentenza di primo grado era stato proposto appello dalla società Vivimedia, nonchè dal B. e dal L.M., che avevano articolato 5 motivi di impugnazione. Con il primo motivo si erano lamentati che, secondo il Tribunale, era onere del giornalista verificare la verità del fatto, mentre, nel caso di intervista, al fine dell’operatività della scriminante, sarebbe stato necessario verificare soltanto la corrispondenza tra quanto dichiarato dall’intervistata e quanto riportato dal giornalista. Con il secondo motivo avevano sostenuto che la valutazione del requisito della continenza effettuata dal primo Giudice era errata, in quanto non era stato considerato che le espressioni erano riconducibili alla Le. (che non aveva smentito il contenuto nell’immediatezza, nè aveva contestato la non corrispondenza tra quanto riportato nell’articolo e quanto affermato); che i testi avevano confermato di aver parlato dell’articolo con la Le. (e ciò era avvenuto giocoforza dopo la pubblicazione dell’articolo) e che incombeva alla Le. provare che le dichiarazioni erano di contenuto diverso. Con il terzo motivo avevano censurato la sentenza in punto quantum, affermando che la parte non aveva provato di aver subito un danno non patrimoniale e che non poteva essere riconosciuto il risarcimento in assenza di prova di un pregiudizio. Con il quarto motivo avevano censurato la sentenza sotto il profilo della liquidazione della somma a titolo di sanzione pecuniaria prevista dalla L. n. 47 del 1948, art. 12 assumendo che mancavano i presupposti richiesti per l’applicazione della stessa, in particolare la gravità dell’offesa e la diffusione ampia dello stampato. Con il quinto ed ultimo motivo avevano censurato la sentenza in punto spese assumendo che il C. aveva chiesto il ristoro del danno, sia patrimoniale che non, per un ammontare complessivo di dieci volte superiore a quanto riconosciuto, per cui avrebbe dovuto essere ravvisata una soccombenza reciproca.

Si era costituito il C. che aveva chiesto respingersi l’appello principale ed aveva proposto appello incidentale subordinato, volto ad ottenere la condanna della Le. in caso di accoglimento dell’appello principale.

Si era costituita anche la Le. che a sua volta aveva chiesto il rigetto dell’appello.

Era stato disposto tentativo di conciliazione, ma detto tentativo non aveva sortito esito positivo.

E la Corte territoriale con la impugnata sentenza, come sopra rilevato, ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso il B., L.M., nonchè la società Vivimedia srl, in persona del l.r.p.t.

Hanno resistito con controricorso: sia il C. (che, in caso di accoglimento del ricorso, ha richiamato l’appello incidentale condizionato che aveva proposto davanti alla Corte territoriale, ma che questa non aveva esaminato a seguito dell’integrale rigetto dell’appello principale); che la Le..

In vista dell’odierna adunanza, i ricorrenti hanno depositato memoria in replica al solo contenuto del controricorso della resistente Le., facendo presente di essere stati assolti all’udienza del 18/2/2019 dal Tribunale penale di Biella con la formula perchè il fatto non costituisce reato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, articolato in quattro censure.

1.1. Con la prima censura (pp. 6-7), articolata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, i ricorrenti denunciano la violazione delle norme e dei principi in materia di diffamazione a mezzo stampa (e in particolare dell’art. 51 c.p., come interpretato nella giurisprudenza di legittimità) nella parte in cui la Corte territoriale dopo aver correttamente statuito che, nel caso dell’intervista, per l’applicabilità dell’esimente del diritto di cronaca e del diritto di critica politica, il requisito della verità e della continenza va apprezzato in termini di corrispondenza fra le dichiarazioni dell’intervistato e quanto riportato dal giornalista – “si è posta alla ricerca del rispetto del limite della verità come se l’intervista non esistesse”.

1.2. Con la seconda censura (pp. 8-9), articolata in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 2697 c.c. nonchè l’omesso esame, in presenza di contrasto irriducibile fra dichiarazioni inconciliabili e in presenza di una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, di un fatto decisivo e controverso.

Sotto il primo profilo sostengono che era onere del C. provare il fatto costitutivo del diritto azionato in giudizio ed era onere della Dott.ssa Le. provare di aver rilasciato una intervista dal contenuto soltanto parzialmente corrispondente a quanto pubblicato dal giornalista ed in particolare di non aver detto le frasi ritenute offensive dal C..

Quanto al secondo profilo, si dolgono che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare: sia il fatto che le dichiarazioni incriminate erano state attribuite impersonalmente al gruppo politico “(OMISSIS)”; sia il fatto che la mancata richiesta di rettifica da parte della Le. era giustificata dal fatto che le espressioni, riconducibili alla stessa e riportate nel virgolettato, non avevano portata diffamatoria; sia il fatto che non era stato provato che la Dott.ssa Le. si fosse lamentata del contenuto dell’articolo e del fatto che le erano state attribuite dichiarazioni non rilasciate; sia il fatto che la Dott.ssa Le., in altra intervista pubblicata il 9 settembre 2010 sul settimanale (OMISSIS), aveva sostenuto che era sua intenzione verificare nel dettaglio che la costituzione del museo fosse una condizione testamentaria dei fondatori della ditta V.; sia il fatto che nessuno dei testi escussi ( Be., La. e T.) aveva dichiarato che nel corso dell’intervista si era parlato del testamento.

1.3. Con la terza censura (pp. 13-14), articolata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, censurano la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte, liquidando il danno, dopo aver ripreso le argomentazioni del giudice di primo grado (in punto di notorietà del C., di risonanza dell’articolo e di portata divulgativa dello stesso) avrebbe erroneamente affermato che quanto riferito dai testimoni ( A., G. e S.) avrebbe certificato un discreto impatto dell’articolo sull’opinione pubblica, come pure avrebbe effettuato delle erronee valutazioni in merito alla diffusione dell’articolo.

1.4. Con la quarta ed ultime censura (pp. 14-15), articolata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denunciano violazione dell’art. 92 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale non ha considerato che il Tribunale aveva liquidato la somma di appena 5 mila Euro (cioè una somma non soltanto ben lontana dalla somma di Euro 50 mila azionata dall’attore, ma addirittura inferiore a quella, compresa tra le 8 e le 12 mila Euro, che aveva formato oggetto della proposta transattiva, formulata dal giudice in corso di causa), circostanza questa che avrebbe dovuto indurre il giudice di merito ad operare la compensazione delle spese processuali.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Inammissibili sono le prime due censure, concernenti l’an debeatur.

La Corte territoriale nella impugnata sentenza – dopo aver ripercorso (pp. 6-9) alcuni principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, civile e penale, in punto di sussistenza della scriminante del diritto di cronaca e del diritto di critica nel caso in cui il giornalista riporti nel proprio articolo un’intervista fatta ad un soggetto terzo, avente ad oggetto una persona che rivesta una carica pubblica o comunque una certa notorietà in un certo ambito sociale per il ruolo da lui rivestito – ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi laddove, nell’esercizio del sindacato di merito ad essa demandato, ha ritenuto che nel caso di specie (pp. 9-11):

a) era indubbio che in ambito locale sussistesse un interesse alla divulgazione della notizia, essendo il C., in quanto presidente dell’associazione G&G V., personaggio pubblico;

b) non era stato provato che quanto riportato nell’articolo corrispondeva a quanto effettivamente affermato dalla Le. nel corso della intervista telefonica;

c) il periodo finale dell’articolo (“Non ci piace molto l’atteggiamento di Verginella tenuto dal C. – commentano da (OMISSIS) – La donazione degli strumenti è un bel gesto, ma la filantropia non va confusa con gli obblighi testamentari) aveva una indubbia valenza diffamatoria, in quanto era diretto non era semplicemente diretta a criticare l’attività del C., quale presidente dell’associazione che gestiva il museo G&G V. ed i suoi rapporti preferenziali con l’amministrazione comunale, ma era diretto a portare discredito al soggetto. In particolare, la Corte ha ritenuto che: l’espressione “non faccia la verginella”, la dichiarazione che il C. sarebbe stato tenuto per obblighi testamentari a donare gli strumenti ed il titolo “Il testamento inchioda C.”, frutto di una autonoma scelta del giornalista, evocavano l’opinione che il C. fosse “un millantatore ed un disonesto, gettando discredito sulla persona, senza essere funzionali alla vicenda narrata”.

Ribadito che non è risultato provato che le espressioni diffamatorie riportate nell’articolo fossero state pronunciate dalla Le., la Corte territoriale ha altresì rilevato, richiamando correttamente quanto statuito dalle Sezioni Unite Penali di questa Corte con sentenza n. 37140/2001, che il giornalista, a fronte di una notizia (esistenza di un testamento) che avrebbe potuto facilmente controllare, non può invocare la verità putativa, in quanto sarebbe stato per lui agevole, anzichè limitarsi alle “voci di paese”, accertare l’esistenza del testamento del V. (accertamento che per espressa ammissione degli interessanti non fu fatto), prevedendo l’art. 622 c.c. la pubblicità dei testamenti.

Al riguardo, si rileva che, ai sensi di detto articolo, il notaio ha l’obbligo di inviare alla Cancelleria (prima della Pretura e poi del Tribunale) le copie dei testamenti pubblicati, che vengono raccolte a cura del cancelliere in appositi volumi e annotati in rubrica alfabetica generale ai sensi dell’art. 55 disp. att. c.c.

In definitiva, le censure in esame sono inammissibili in quanto la decisione della Corte territoriale è conforme a giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità.

2.2. Inammissibile è la terza censura, concernente il quantum debeatur.

La Corte territoriale – dopo aver premesso, richiamando puntualmente giurisprudenza di questa Corte, che, in tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa, la prova del danno non patrimoniale non è in re ipsa, ma può essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo, come idonei parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale – con apprezzamento in fatto, insindacabile in questa sede di legittimità ha ritenuto congruo l’importo liquidato rispetto all’offensività della condotta diffamatoria, in quanto:

a) il C. era una persona nota a livello sociale a motivo della sua attività e del ruolo rivestito all’interno dell’Associazione V.;

b) l’articolo aveva avuto un discreto impatto sull’opinione pubblica;

c) il settimanale, sul quale era stato pubblicato l’articolo, era venduto in più Comuni con un bacino di oltre 170 mila potenziali lettori; l’articolo (che si trovava nella terza pagina dedicata a Leinì, era scritto su quattro colonne con il titolo ed era corredato da fotografie) aveva quindi avuto una diffusione ben superiore alle copie vendute nel Comune di Leinì (al quale si riferiva la vicenda narrata).

In definitiva, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, la censura in esame non propone alcuna questione di diritto, ma è diretta a sollecitare un diverso apprezzamento di merito, precluso in questa sede.

2.3. Inammissibile è infine la quarta censura, concernente le spese processuali.

E’ jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui, in tema di spese processuali, la decisione del giudice di merito è censurabile sotto il profilo della violazione di legge solo nel caso in cui le spese siano poste, in tutto o in parte, a carico della parte totalmente vittoriosa, ed allorquando sia stato violato il principio dell’inderogabilità della tariffa professionale o vi sia stato il mancato riconoscimento di spese asseritamente documentate (Cass. 21-1-05, n. 1313; Cass. 23-8-03, n. 12413).

Tali ipotesi non ricorrono nel caso di specie nel quale la Corte territoriale – nel confermare integralmente la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda risarcitoria – ha condannato le parti appellanti, risultate pienamente soccombenti in punto di quantum debeatur, alla rifusione delle spese processuali nei confronti di entrambi gli appellati.

3. In definitiva, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile e parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese processuali in favore di entrambe le controparti, nonchè dichiarata tenuta al pagamento dell’ulteriore importo dovuto per legge e indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore delle parti resistenti delle spese del presente giudizio, che, per ciascuna parte, liquida in Euro 1.300, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA