Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28015 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. I, 09/12/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 09/12/2020), n.28015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14048/2019 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’avvocato Vincenzina Salvatore, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso decreto del Tribunale di Napoli, depositato il 3 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Napoli del 3 aprile 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che a O.S., proveniente dalla (OMISSIS), potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che la stessa istante potesse essere ammessa alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso si riassumono nei termini che seguono.

Primo motivo: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e conseguente violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e lett. d), oltre che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Viene lamentato, in sintesi, che il Tribunale si sia limitato a recepire pedissequamente il giudizio della Commissione territoriale “laddove avrebbe dovuto e potuto approfondire la posizione della ricorrente, anche mediante l’utilizzo di mezzi istruttori ufficiosi che risultano pure rafforzati in considerazione della particolarità della procedura”.

Secondo motivo: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14. Assume la ricorrente di aver diritto alla protezione sussidiaria in ragione dell’attuale situazione di instabilità socio-politica dello Stato di provenienza, essendo innegabile che, ad oggi, la Nigeria non è un paese sicuro: e ciò avendo specifico riguardo alla regione di provenienza di essa istante, e cioè all’Edo State. Rileva, inoltre, che il giudice di prima istanza aveva citato fonti prive del requisito dell’attualità, la più recente delle quali risaliva al giugno 2017.

Terzo motivo: violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; omessa motivazione, nullità in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4. Secondo la ricorrente, il giudice del merito non aveva distinto tra le diverse ipotesi di protezione, accomunando, nell’argomentazione di rigetto, le forme di protezione maggiori e quella umanitaria, omettendo, però, alcuna motivazione, con riferimento alla decisione assunta nei confronti di quest’ultima. Rileva di aver fornito un resoconto preciso, puntuale ed articolato della propria vicenda personale e di aver dimostrato la propria volontà di inserirsi nella nostra società, documentando i progressi nell’apprendimento della nostra lingua in seguito alla frequentazione di appositi corsi.

2. – Il ricorso è infondato.

Il Tribunale ha ritenuto la narrazione del richiedente nel complesso non credibile. La ricorrente ha censurato tale accertamento col terzo motivo: tuttavia, le deduzioni svolte in proposito finiscono per contrapporre al giudizio del Tribunale l’opinione dell’istante circa la puntualità e congruità del proprio racconto e per sollecitare un accertamento che esula dal sindacato di legittimità. Va rammentato, in proposito, che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340).

Ciò detto, la doglianza sulla mancata spendita dei poteri istruttori ufficiosi non risulta essere pertinente. Infatti, “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria dell’art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione). In altri termini, ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936), non vi è ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa finalizzati alla verifica di fatti, situazioni, o condizioni giuridiche che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, devono reputarsi estranei alla vicenda personale di questo.

Un accertamento istruttorio officioso, per contro, vi è stato – e doveva esservi – per verificare se la regione di provenienza della ricorrente fosse interessata alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il Tribunale ha sul punto rilevato che il conflitto tra le forze governative e il gruppo terroristico (OMISSIS) non ha raggiunto ad interessare l’Edo State, da cui proviene l’odierna istante.

Col secondo motivo, come si è visto, la ricorrente pone un problema di aggiornamento delle fonti consultate dal giudice del merito.

Ebbene, è senz’altro vero che nei giudizi di protezione internazionale la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone che sono pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (per tutte: Cass. 22 maggio 2019, n. 13897). E’ da credere, tuttavia, che ove il richiedente intenda dedurre, in sede di legittimità, la consultazione, da parte del giudice del merito, di informazioni non aggiornate, invocando, sul punto, la violazione di legge, debba egli non solo indicare quali diverse e più recenti notizie avrebbero dovuto essere prese in considerazione, facendo menzione delle relative fonti, ma precisare, con la specificità richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 4, gli elementi di fatto che attribuiscano decisività al vizio lamentato; non appare in proposito privo di rilievo che, se pure con riferimento ad altro genere di controversia, questa Corte abbia sottolineato che la censura circa il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito implica la necessità di indicare, nel ricorso per cassazione, l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito (cfr., con riferimento ai giudizi in materia di lavoro, Cass. 10 settembre 2019, n. 22628). In senso analogo la stessa Corte risulta essersi del resto pronunciata proprio nella materia che qui interessa, rilevando che, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26728).

Nel caso in esame, la ricorrente si è limitata a richiamare un report del Ministero degli esteri del 2018, oltre che alcune pronunce di merito, senza nulla argomentare, in modo puntuale e circostanziato, in merito alla decisività della fonte citata (quanto al fatto, cioè, che il nominato report documenterebbe l’insorgenza di una vera e propria situazione di violenza indiscriminata nella regione dell’Edo State).

Per quel che concerne, da ultimo, la protezione umanitaria, va anzitutto sconfessata l’affermazione della ricorrente per cui il Tribunale avrebbe mancato di motivare su di essa. Dal decreto impugnato emerge, invece, che il giudice del merito ha respinto la domanda relativa alla detta forma di protezione osservando che la ricorrente non rientrava in alcune delle categorie di soggetti vulnerabili, non aveva allegato nulla di specifico al riguardo e non si era nemmeno integrata nel nostro paese, dove non aveva un lavoro, nè legami stabili.

Quanto al resto, occorre notare che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, che consentono di ritenere veritieri gli elementi o gli aspetti delle dichiarazioni del richiedente sprovvisti di prova trovano applicazione anche in tema di protezione umanitaria (Cass. 24 settembre 2012, n. 16221), con la precisazione che la scarsa credibilità della narrazione in relazione alla specifica situazione prospettata ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria non ha efficacia preclusiva sulla valutazione delle diverse circostanze che denotano una situazione di “vulnerabilità” quale presupposto della protezione umanitaria (Cass. 21 aprile 2020, n. 8020; Cass. 18 aprile 2019, n. 10922).

Ora, si è appena detto che il Tribunale ha escluso che l’istante avesse formulato specifiche allegazioni per supportare la domanda di protezione umanitaria; inoltre, quanto dedotto con riguardo alle forme di protezione “maggiori” è stato insindacabilmente reputato non attendibile: sicchè la vulnerabilità del richiedente non avrebbe potuto giammai desumersi dalla vicenda narrata dalla stessa istante. E’ conseguentemente escluso che il giudice del merito potesse diversamente orientare il proprio giudizio: tanto più che la condizione di integrazione dello straniero in Italia – che il decreto ha comunque negato essere esistente – non può di per sè giustificare il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso per motivi umanitari (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459; Cass. 28 giugno 2018, n. 17072).

3. – Nulla deve disporsi in punto di spese.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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