Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28013 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 05/07/2019, dep. 31/10/2019), n.28013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1113/2018 proposto da:

L.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EDGARDO NEGRI,

67, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTA RUBBI, rappresentata e

difesa dagli avvocati MASSIMILIANO CESARE FORNARI, TIZIANO OTTAVI;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE SOCIETA’ COOPERATIVA ARL, in

persona del procuratore speciale Dott. B.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo

studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

P.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3204/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/07/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 3204/2017 respingendo l’impugnazione proposta da L.I. nei confronti della Società Cattolica di Assicurazioni coop. a r.l. e nei confronti di P.F. – ha integralmente confermato la sentenza n. 1984/2015 del Tribunale di Latina, che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla L. in relazione ai danni subiti, quale terza trasportata a bordo del veicolo condotto dal marito P., in occasione del sinistro occorso in data (OMISSIS), intorno alle ore 20.45, in (OMISSIS), direzione (OMISSIS).

2. Era accaduto che la L. nel 2010 aveva convocato in giudizio davanti al Tribunale di Latina il proprio marito, nonchè la compagnia assicuratrice, deducendo che: suo marito P., a causa dell’improvviso attraversamento di un cane randagio, aveva perso il controllo dell’autoveicolo; lei era rovinata fuori strada, impattando avverso un ponticello di cemento posto a margine della carreggiata, subendo lesioni per le quali era stata dapprima trasportata in ambulanza presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale civile di (OMISSIS) e quindi ricoverata presso il reparto di ortopedia con la diagnosi di lussazione bilaterale delle anche e frattura scomposta dell’acetabolo sinistro ed infine sottoposta ad intervento chirurgico di riduzione delle lussazioni e di applicazioni di trazioni transcheletriche degli arti inferiori.

Il P. non si era costituito mentre la Cattolica, costituendosi, aveva sostenuto l’esclusiva responsabilità della L. nella determinazione del sinistro, in quanto dalle informative rese al personale di c.c. intervenuto nell’immediatezza era risultato che l’autovettura era condotta dalla L. (e non dal marito P.).

In pendenza del giudizio di primo grado, a seguito di denuncia querela della compagnia assicuratrice, la L. ed il di lei marito P. erano strati tratti a giudizio davanti al Tribunale penale di Latina, che, con sentenza n. 403/2015, aveva assolti entrambi ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, dall’imputazione dei reati ex artt. 110 e 642 c.p., ad essi ascritta.

Il giudice di primo grado, istruita la causa e in particolare espletata c.t.u. medico legale, aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla L..

Avverso detta sentenza aveva proposto appello la L., dolendosi del fatto che il giudice di primo grado: a) aveva erroneamente valutato le risultanze testimoniali emerse all’esito dell’espletata istruttoria, ritenendo inattendibile la sua ricostruzione dei fatti (secondo la quale, si ribadisce, lei occupava il lato passeggero); b) non aveva considerato l’efficacia del giudicato penale sostanziale ex artt. 652 e 654 c.p.p., costituito dalla sentenza n. 403/2015 del Tribunale penale di Latina, che aveva assolto lei e il marito dall’imputazione del reato di cui all’art. 110 c.p. e art. 642 c.p.; c) non aveva considerato il nesso eziologico tra le lesioni patite e l’eventus damni dedotto in giudizio, accertato dal c.t.u. Dott. A.M.. La L. aveva quindi concluso chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, la condanna in solido della compagnia assicuratrice e del P., al risarcimento del danno, che quantificava in Euro 228.055,36.

Nel giudizio di appello si era costituito il P. che aveva confermato la dinamica del sinistro descritta dalla moglie.

E si era costituita la Cattolica Assicurazioni s.p.a., che: in via preliminare, aveva sollevato eccezione di inammissibilità della domanda per inosservanza del disposto di cui all’art. 342 c.p.c.; e, nel merito, aveva chiesto il rigetto dell’appello proposto per difetto di prova della domanda, per irrilevanza del giudicato penale di cui alla sentenza n. 403/2015 resa dal Tribunale penale di Latina, nonchè per irrilevanza del nesso eziologico tra le lesioni e la posizione di terza trasportata.

E la Corte di appello con la impugnata sentenza, come sopra rilevato, ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso la L..

Ha resistito con controricorso la Cattolica Di Assicurazioni in vista dell’odierna adunanza la ricorrente L. ha depositato memoria a sostegno del ricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

1. Il ricorso è affidato a 2 motivi.

1.1. Con il primo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente L. denuncia, da un lato, violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,195 c.p.c. e degli artt. 2043, 2054, 2059 e 2697 c.c. e, dall’altro, omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi e comunque insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione nella parte in cui la Corte territoriale: ha erroneamente valutato le prove testimoniali e documentali ed ha erroneamente omesso di valutare le risultanze dell’espletata ctu (che aveva accertato un danno non patrimoniale nella misura del 25%).

Si duole che entrambi i giudici di merito, pur avendo riconosciuto il nesso di causa tra l’evento ed il pregiudizio non patrimoniale subito, hanno escluso che le viaggiasse quale trasportata sull’autovettura condotta dal marito, e, operando una

erronea e contraddittoria interpretazione delle dichiarazioni rese dai testi Ba. e Ar., hanno ritenuto inattendibile la dinamica dell’incidente da essa riferita. Ribadisce che: era il marito alla guida dell’autovetture; questi, dopo il sinistro, non essendo riuscito a tirarla fuori dell’autovettura, si era allontanato per cercare aiuto nelle vicinanze, per poi fare ritorno sul posto; la perdita di controllo dell’autovettura era stata determinata dall’improvviso attraversamento di un cane randagio; la posizione da lei assunta a seguito del sinistro (distesa verso il lato guidatore con le gambe immobilizzate sul lato passeggero) era stata causata dai danni riportati dalla carrozzeria dell’autoveicolo. Richiama il comportamento processuale del P., che, contumace in primo grado, non era comparso a rendere l’interrogatorio deferitogli mentre in secondo grado si era costituito confermando la dinamica da lei indicata, e si duole dell’erronea applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 232 c.p.c.. Sottolinea che dalla dichiarazione dei testi era emerso che, a seguito del sinistro, era apribile soltanto lo sportello del lato guida dell’autovettura, mentre dalla espletata ctu era emersa la compatibilità tra le lesioni, da lei subite a causa dell’incidente, ed il sinistro.

1.2. Con il secondo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia, da un lato, violazione degli artt. 652 e 654, nonchè art. 530 c.p.p., nella parte in cui la Corte territoriale ha omesso di valutare l’efficacia della sentenza n. 403/2015 del Tribunale di Latina; e, dall’altro, tanto ha fatto, incorrendo nel vizio di motivazione insufficiente, illogica e/o contraddittoria. Sostiene che la corretta interpretazione delle norme denunciate impone di ritenere che l’assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., a prescindere che sia pronunciata ai sensi del primo ovvero del comma 2, elide comunque il fatto storico contestato in imputazione ogniqualvolta sia pronunciata con la formula “perchè il fatto non sussiste” ovvero con la formula “per non aver commesso il fatto”, con la conseguenza che nel caso di specie doveva ritenersi “eliso” il fatto storico che l’auto fosse condotta (non dal P., ma) da lei.

2. Il ricorso va rigettato.

2.1. Il primo motivo è inammissibile.

A) La Corte di appello – dopo aver fatto integrale richiamo alla ricostruzione fattuale operata dal giudice di primo grado, definendola “congrua e coerente alle risultanze istruttorie, tra le quali in particolare le dichiarazioni testimoniali” – ha ritenuto che la L. non aveva provato che, al momento del sinistro, alla guida dell’autovettura, vi fosse il di lei coniuge P.F., argomentando sul contenuto della deposizione resa dai testi Ba.Er. e Ar.Ro. (i quali, intervenuti sul posto immediatamente dopo il fatto, avevano dichiarato: di aver rinvenuto all’interno della vettura, oltre alla bambina, soltanto la L., che era sdraiata sul sedile anteriore lato guida ed aveva le gambe incastrate verso il centro dell’automobile, con lo sportello del lato passeggero impraticabile e con lo sportello lato guida aperto; nonchè di non aver visto subito nelle vicinanze dell’auto il coniuge della L., sopraggiunto in loco in un secondo momento unitamente al padre, dopo che la L. e la bambina erano state estratte dall’autovettura; che il P. sembrava essere rimasto del tutto illeso a seguito dell’incidente, mentre, secondo il teste Ba., i due sedili anteriori erano molto danneggiati).

Secondo la Corte territoriale: a) nel suddetto descritto contesto, non era verosimile che P., anche a fronte di un principio di incendio della vettura in cui giacevano la moglie e la bambina, si era allontanato per cercare aiuto, piuttosto che adoperarsi per soccorrere i propri congiunti e aiutarli ad uscire dalla macchina; b) nessun elemento di giudizio poteva trarsi poi dalla mancata risposta all’interpello formale del P., in quanto la mancata risposta all’interrogatorio formale costituisce un comportamento processuale qualificato che, nel quadro degli altri elementi di giudizio acquisiti, può fornire elementi idonei ad integrare il convincimento del giudice sulle circostanze articolate nei capitoli, mentre nel caso di specie i fatti dedotti non erano suffragati da alcun elemento di riscontro; c) non aveva efficacia nel giudizio civile la sentenza penale di assoluzione del P. e della L. dall’imputazione penale (di aver falsamente indicato nella denuncia di sinistro, che, in concorso tra loro ed al fine di conseguire l’indennizzo assicurativo, alla guida dell’autovettura vi fosse il P. mentre in realtà vi era la L.), non avendo il Giudice penale accertato che il P. fosse alla guida del veicolo, ma avendo lo stesso soltanto statuito che non vi erano elementi sufficienti di prova al fine della condanna penale degli imputati, che erano stati così assolti ex art. 530 c.p.p., comma 2.

B) Come sopra rilevato, a fronte del suddetto articolato percorso motivazionale, parte ricorrente si duole che la Corte territoriale ha erroneamente valutato le prove testimoniali e documentali ed ha erroneamente omesso di valutare le risultanze dell’espletata ctu.

Senonchè parte ricorrente, attraverso le censure critiche articolate con il motivo in esame, si è inammissibilmente spinta a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione. Invero, al di là del formale richiamo, contenuto nell’esposizione del motivo, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, le censure sollevate in ricorso sono tutte dirette a denunciare la congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti. Ne è indice il fatto che il motivo in esame costituisce riproposizione della doglianza fatta valere con il primo e terzo motivo di appello (cfr. sentenza impugnata, p. 2).

Deve qui ribadirsi che, da un lato, il giudice di merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata; e, dall’altro, non rientra nel sindacato di questo giudice di legittimità la facoltà di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo stato demandato dal legislatore a questa Corte il controllo della sentenza impugnata sotto l’esclusivo profilo logico-formale della correttezza giuridica.

2.3. Il secondo motivo è poi infondato.

A) In punto di efficacia del giudicato penale nel processo civile di danno, può essere utile rammentare quanto segue.

Il vigente codice di procedura penale, in linea di massima, privilegia la tendenza a separare il giudizio civile da quello penale e ad attuare quella “massima semplificazione nello svolgimento del processo”, assunta come paradigma essenziale fin dalla legge delega n. 81/1997 (direttiva n. 1): sia perchè un modello tendenzialmente accusatorio, quale quello disegnato dal nuovo codice di rito, mal sopporta il cumulo nello stesso processo di troppa “materia” da giudicare (tanto più se si tratta di materia eterogenea a quella penale); sia perchè occorre evitare che le persone danneggiate dal reato siano costrette a subire le cadenze del processo penale anche quando esse stesse avrebbero preferito esercitare l’azione risarcitoria in sede civile.

Ecco dunque che, a seguito dell’entrata in vigore del c.p.p. 1988, è stata mantenuta inalterata la distinzione – già prevista dagli artt. 27 e 28 c.p.p. del 1930 – tra i giudizi civili di danno e quelli in cui siano state azionate pretese di natura non risarcitoria; ma, all’interno delle due categorie, sono stati ridisegnati i profili di efficacia soggettiva ed oggettiva dei possibili esiti giudiziali.

Rispetto al processo civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno, il codice di rito distingue la sentenza di condanna – la cui efficacia vincolante incontra i limiti soggettivi e contenutistici di cui agli artt. 651 e 651 bis – dalla sentenza di assoluzione. Quest’ultima esplica efficacia:

a) sotto il profilo soggettivo, nei confronti del solo danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, a meno che abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’art. 75, comma 2 (art. 652 c.p.p., comma 1) (in nessun caso, invece, viene lambita la posizione del responsabile civile);

b) sotto il profilo contenutistico, in ordine all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima.

In ogni caso, l’ampiezza della regola di giudizio prevista dall’art. 530 c.p.p. (che impone l’assoluzione anche in presenza di una prova insufficiente o contraddittoria) obbliga il giudice civile a fare riferimento, oltre che al dispositivo, anche alla motivazione della sentenza assolutoria: diversamente, infatti, non potrebbe essere compiutamente verificata l’eventuale estensione dell’efficacia vincolante dell’exceptio iudicati. Tale affermazione viene corroborata dal rilievo che l’imputato è legittimato a proporre appello o ricorso per cassazione avverso la sentenza che lo assolve, in primo o in secondo grado, a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2. Ciò proprio perchè l’efficacia vincolante della sentenza penale irrevocabile si determina sulla base non soltanto del dispositivo, ma anche della motivazione: rispetto a questa, infatti, l’imputato potrebbe subire un pregiudizio proprio sul piano della previsione normativa di cui all’art. 652 c.p.p..

B) Orbene, tanto premesso in via generale, nella specie l’infondatezza del motivo consegue al fatto che il Tribunale penale di Latina, espletata l’istruzione dibattimentale, non ha affatto ritenuto accertato che il P. fosse alla guida del veicolo, ma, con sentenza n. 335/2012 (non impugnata e quindi passata in giudicato) ha soltanto affermato che non poteva ritenersi provato con certezza che, al momento del sinistro, alla guida dell’autovettura vi fosse la L.. Conseguentemente ha ritenuto non provata la falsità della denuncia di sinistro presentata alla società Cattolica di Assicurazione ed ha assolto entrambi gli imputati, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, dal reato loro ascritto perchè il fatto non sussiste.

Detta sentenza, pur pronunciata sui medesimi fatti oggetto del giudizio civile successivamente instaurato davanti al Tribunale di Latina, non ha efficacia di giudicato in quest’ultimo, esulando dalle ipotesi previste negli artt. 651 e 652 c.p.p. (le quali, avendo contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile, non sono suscettibili di applicazione analogica: Sez. 6-2, Ordinanza n. 17316 del 03/07/2018, Rv. 649457-01).

Ne consegue che il Tribunale civile di Latina, ha correttamente interamente ed autonomamente rivalutato il materiale probatorio a sua disposizione, escludendo ogni efficacia della sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p., comma 2, proprio perchè il giudice penale non aveva affatto accertato che il P. fosse alla guida del veicolo.

La sentenza impugnata, pertanto, supera positivamente il controllo di legittimità demandato a questa Corte.

3. Si ravvisano giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese relative al presente giudizio di legittimità: ma parte ricorrente è tenuta alla rifusione al versamento dell’ulteriore importo previsto per legge ed indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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