Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28012 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 31/10/2019), n.28012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14671/2018 proposto da:

EDILROSA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE B. BUOZZI 51, presso lo

studio dell’avvocato MARCELLO VERNOLA, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIO SPINELLI;

– ricorrente –

contro

D.V.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

MONTE FIORE 22, presso lo studio dell’avvocato CATERINA GIGANTE,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARMEN LUISI;

– controricorrente –

e contro

N.O.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1974/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In riforma della decisione di prime cure, la Corte d’appello di Bari, con sentenza 28.11.2017 n. 1974, ha accolto l’appello proposto da D.V.M. e rigettato la domanda di condanna, proposta da EDILROSA s.r.l., relativa al risarcimento dei danni causati dalla protratta inutilizzabilità edificatoria di un immobile, dalla stessa acquistato, in quanto gravato da trascrizione pregiudizievole di domanda di riscatto, formulata dal D., successivamente ritenuta infondata a seguito di giudizio.

La Corte distrettuale rilevava: che la domanda di riscatto era stata trascritta nei registri immobiliari in data 28.2.1992, e la società – risultata vittoriosa in giudizio – aveva ottenuto la cancellazione della trascrizione, soltanto in data 29.11.2000; che il progetto edificatorio, per il quale nel 1992 era stata richiesta la concessione edilizia, non era risultato tuttavia realizzabile, interessando anche un terreno adiacente, oggetto di sequestro giudiziario richiesto da N.O. – nominato custode – ed emesso in data anteriore alla introduzione del giudizio, promosso dal D. con la domanda di riscatto, con la conseguente sospensione, disposta dal Comune di Santeramo nell’anno 1993, dell’esame della domanda di concessione edilizia, in attesa della definizione del distinto giudizio proposto dal N.; che la causa introdotta dal D. veniva definita in primo grado, nel 1995, con sentenza di rigetto della domanda di riscatto fondata su patto di prelazione inopponibile alla società acquirente, in base al criterio della priorità delle trascrizioni, decisione confermata dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 679/1999, mentre la causa pendente tra EDILROSA s.r.l. ed N.O. veniva definita a favore della società soltanto nell’anno 2015, e solo allora il Comune provvedeva al rilascio della concessione edilizia interessante il progetto unificato originario. Alla stregua di tali premesse in fatto, il Giudice di appello ha accertato la irrilevanza, nella serie causale della produzione del danno patrimoniale allegato dalla società per la indisponibilità edificatoria degli immobili, della trascrizione pregiudizievole della domanda di riscatto, ritenendo che l’efficienza eziologica del danno dovesse ritenersi interamente assorbita dall’impedimento determinato dall’altro giudizio introdotto dal N. e seguito al provvedimento di sequestro giudiziario dell’immobile adiacente. La Corte d’appello, rilevato che la società non aveva fornito alcuna prova di una utilizzazione edificatoria separata dei due terreni, rigettava -pertanto – la domanda di risarcimento danni proposta dalla società nei confronti del D., dichiarando assorbita la domanda di manleva da quest’ultimo proposta nei confronti del N..

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata da EDILROSA s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Resiste con controricorso D.V.M., depositando anche memoria illustrativa.

Non ha svolto difese N.O., cui il ricorso è stato notificato all’indirizzo PEC del difensore domiciliatario in data 15.5.2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La società ricorrente censura la sentenza impugnata in quanto avrebbe escluso il danno emergente – che la società aveva dedotto con riferimento all’esborso delle rate di ammortamento del mutuo bancario contratto per l’acquisto del terreno – con una motivazione erroneamente incentrata sul danno da lucro cessante – individuato nel definitivo impedimento alla realizzazione dell’originario progetto edificatorio, essendo intervenuta nelle more delle vicende giudiziaria la modifica del PRG, e dunque la motivazione della sentenza dovrebbe ritenersi, secondo la ricorrente, soltanto apparente.

Il motivo è infondato.

Indipendentemente dall’incomprensibile sovrapposizione operata dalla ricorrente dell’importo del prezzo di compravendita (corrispondente alla somma capitale mutuata), che costituisce il corrispettivo del trasferimento del diritto di proprietà, al danno-conseguenza di natura patrimoniale, derivato, invece, dalla protratta inutilizzabilità edificatoria del bene immobile, ogni questione concernente la eventuale rilevanza eziologica da attribuire alle scelte discrezionali adottate dalla società, in ordine alla opportunità di attendere l’esito della lite e di non assumere rischi connessi all’espletamento di attività edificatorie in pendenza del giudizio di riscatto, è rimasta superata dalla dirimente “ratio decidendi” posta a fondamento della decisione impugnata, secondo cui: a) la trascrizione della domanda di riscatto – risultata infondata -integrava una condotta eziologicamente inefficiente, in quanto sopravvenuta rispetto alla serie causale innescata dal provvedimento di sequestro giudiziario, interessante il fondo adiacente, emesso dal Giudice anteriormente alla trascrizione della domanda di riscatto, dovendo attribuirsi in via esclusiva a quest’ultima vicenda giudiziaria la impossibilità dell’attuazione del progetto edificatorio che interessava, inscindibilmente, entrambi i fondi; b) la trascrizione della domanda di riscatto formulata dal D., peraltro, rimaneva comunque deprivata di qualsiasi efficienza causale – non soltanto esclusiva ma finanche solo concorrente – nella produzione del danno da indisponibilità edificatoria del bene, in quanto l’esame della istanza di concessione edilizia, richiesta dalla società, era stato sospeso dal Comune di Santeramo in attesa della definizione dell’altra causa civile tra la società stessa ed il N., la cui durata si era protratta ben oltre la conclusione della controversia giudiziale con il D., definita dalla Corte d’appello di Bari con sentenza n. 679/1999 di rigetto della domanda di riscatto.

Orbene, esclusa – dalla Corte territoriale – qualsiasi incidenza causale della condotta del D. nella produzione dell’evento lesivo dannoso, in quanto da ricondursi esclusivamente alla condotta imputata al N., risulta del tutto irrilevante la censura -formulata con il motivo in esame – mossa alla sentenza impugnata per non aver considerato che era stato allegato oltre al danno da lucro cessante anche il danno emergente, venendo travolta la critica inerente il danno-conseguenza dall’accertamento della inesistenza del fattore causale: deve, pertanto, ritenersi del tutto destituita di fondamento la censura per vizio di “apparente” motivazione, che si verifica soltanto nel caso in cui la motivazione della sentenza, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017).

La Corte distrettuale ha, peraltro, precisato come alcun elemento di prova fosse stato fornito dalla società in ordine ad un diverso utilizzo edificatorio separato dei due fondi, non avendo neppure allegato di aver previsto la realizzazione o richiesto la redazione di un progetto ridotto “per un intervento edilizio sul solo fondo oggetto della presente controversia”, tenuto conto, altresì, che la esistenza della trascrizione pregiudizievole non avrebbe impedito alla società di esercitare tali poteri di disposizione e di godimento del bene, riservati al proprietario (sentenza appello, in motiv. pag. 3 e 5): tali statuizioni, che ritengono insussistente la prova di un danno-conseguenza eziologicamente riferibile alla trascrizione della domanda del D., non vengono in alcun modo scalfite dal motivo di ricorso in esame con il quale la società si limita a sostenere che il Giudice di prime cure aveva, invece, riconosciuto (anche) tale voce (emergente) di danno oltre al mancato realizzo del piano edificatorio.

La censura, rivolta soltanto alla individuazione del tipo di danno patrimoniale è dunque inconferente – incorrendo nella sanzione della inammissibilità – in quanto non coglie la “ratio decidendi” concernente, invece, l’assenza del nesso eziologico. Qualora, peraltro, la censura dovesse intendersi estesa anche alla contestazione dell’accertamento della inesistenza del nesso eziologico, dovrebbe ritenersi egualmente inammissibile, venendo a risolversi nella mera prospettazione di una diversa soluzione del merito della controversia, che esula dal sindacato di legittimità.

La deduzione poi, nel motivo di ricorso, delle differenti conclusioni raggiunte dall’ausiliario nella c.t.u., in ordine all’uso differenziato dei due fondi, esula all’evidenza dal vizio di legittimità censurato, trasmodando nell’inammissibile tentativo di introdurre tramite i vizi per “error juris” anche vizi di “errore di fatto” che avrebbero, allora, dovuto essere censurati nei soli limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come riformato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012) e previo assolvimento degli oneri prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla specifica indicazione del fatto e dunque mediante la chiara individuazione della attività svolte dal CTU e dei fatti “decisivi” da quello eventualmente percepiti – mediante le indagini tecniche – e non considerati dalla Corte d’appello nella ricostruzione della fattispecie concreta, essendo appena il caso di aggiungere che il Giudice di merito non ha ritenuto in astratto impossibile l’utilizzo edificatorio separato dei due fondi, ma ha invece rilevato come, in base alle risultanze istruttorie, non era stata fornita alcuna prova che la società avesse, in concreto, inteso rinunciare all’originario progetto edilizio, per destinare ciascuno dei terreni procedere ad un diverso sfruttamento.

Secondo motivo: violazione degli artt. 2652,2653 e 2668 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente impugna la statuizione della sentenza di appello secondo cui la trascrizione pregiudizievole della domanda di riscatto non avrebbe determinato compromissione del potere di godimento dell’immobile, quando – invece – nella domanda introduttiva la società aveva lamentato il pregiudizio del diritto di disposizione del bene, essendo stata costretta a soprassedere al proprio programma edilizio.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la “ratio decidendi” indicata nell’esame del primo motivo, secondo cui alcun danno poteva essere imputato alla trascrizione della domanda proposta dal D., risultando assorbito ogni impedimento all’utilizzo del bene – e dunque anche allo sviluppo edificatorio dell’immobile, individuato dalla società come “potere di disposizione” del bene – alla distinta vicenda giudiziaria tra la stessa società ed il N., in quanto l’efficienza causale del danno era in concreto attribuibile in via esclusiva al provvedimento di sequestro giudiziario che rendeva materialmente indisponibile il fondo confinante – indispensabile alla realizzazione dell’unico ed indivisibile progetto edificatorio, indisponibilità protrattasi ininterrottamente fino all’anno 2015.

La ricorrente richiama i precedenti di questa Corte secondo cui la illegittima trascrizione della domanda giudiziale determina uno stato di incertezza del bene limitandone la commerciabilità. Tale osservazione è del tutto priva di pertinenza rispetto alla “ratio decidendi” avendo la Corte territoriale escluso la esistenza di qualsiasi danno riferibile alla trascrizione, non avendo fornito la società alcuna prova – neppure sul piano della mera previsione progettuale o di altra iniziativa propedeutica volta a presumere un diverso sfruttamento commerciale – di un utilizzo “separato” del bene in questione.

Terzo motivo: nullità della sentenza per motivazione perplessa ed incomprensibile in violazione dell’art. 132 c.pc.., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il motivo è inammissibile, in quanto la censura si risolve nella mera ed anapodittica affermazione secondo cui la motivazione della sentenza di appello non fornirebbe alcuna giustificazione in ordine al danno-conseguenza derivante dall’effetto pubblicitario della trascrizione nonchè dalla possibile riforma della sentenza di prime cure che aveva rigettato la domanda di riscatto, essendo sufficiente richiamare le considerazioni svolte nell’esame dei precedenti motivi di ricorso, in ordine alla individuazione della dirimente “ratio decidendi” della sentenza impugnata.

Quarto motivo: vizio di omesso esame del fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della realizzabilità del progetto edilizio sul solo cespite in contesa con il D..

Sostiene la ricorrente che sul terreno, oggetto della lite con il D., sarebbe stato possibile eseguire un autonomo progetto edificatorio e che la variazione, intervenuta nel periodo tra il 1992 ed il 1999, dei limiti di edificabilità previsti dal PRG evidenziava, come indicato dalle risultanze delle indagini tecniche svolte dal CTU, una riduzione delle superfici edificabili con conseguente danno per la società.

Il motivo è inammissibile in quanto non investe la “ratio decidendi”.

La ricorrente allega che le risultanze peritali avevano considerato il terreno in questione come bene suscettibile di edificazione in base ad un autonomo progetto rispetto a quello unitario avente ad oggetto entrambi i fondi, evidenziando – quindi – l’effetto prodotto dai limiti di edificabilità determinati dalla variazione delle prescrizioni urbanistiche, se il terreno fosse stato effettivamente interessato da un distinto progetto edilizio.

Osserva il Collegio che altro è la constatazione della astratta possibilità edificatoria del bene secondo gli strumenti urbanistici vigenti al tempo, altro è invece il fatto “in concreto” accertato dalla Corte d’appello che ha ricostruito la fattispecie in relazione agli elementi istruttori ritenuti idonei a dimostrare quale fosse l’effettivo utilizzo edificatorio che la società aveva inteso realizzare, utilizzo individuato nell’unico progetto edilizio previsto dalla società avente ad oggetto entrambi i fondi adiacenti, considerati indivisibilmente (“dalla c.t.u…..si evince che il progetto edificatorio della società fu sempre unico, e cioè presuppose la disponibilità di tutti i fondi acquistati…..nè mai è stato prospettato dalla società un diverso e più ridotto progetto relativo al solo fondo rivendicato dal D…. “), tant’è che, definiti tutti i giudizi nel 2015, il Comune di Santeramo rilasciò il permesso di costruire secondo l’originario progetto unitario della società (cfr. sentenza appello, in motiv. pag. 6).

Ne segue che, indimostrata la intenzione della società di utilizzare separatamente le potenzialità edificatorie di ciascun immobile, va esente da censura la statuizione della Corte d’appello secondo cui alcun danno aveva subito la società che aveva infine ottenuto il titolo edilizio necessario alla realizzazione dell’unitario progetto costruttivo su entrambi i terreni, non impedito nè pregiudicato dalle intervenute variazioni urbanistiche concernenti la riduzione dei limiti di edificabilità.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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