Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28010 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 31/10/2019), n.28010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6919-2018 proposto da:

Q.G., Q.E. (padre della vittima principale),

D.S.R. (madre della vittima principale), B.M. (moglie

della vittima principale), Q.L. (fratello della vittima

principale), Q.N. (figlio della vittima principale),

Q.A. in persona della madre, legale rappresentante,

B.M. (figlio minore della vittima), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO DE

ARCANGELIS, rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO GRACIS;

– ricorrenti –

contro

G.M., G.B., domiciliati ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato EZIO GEREMIA TRABUCCHI;

– controricorrente –

e contro

G.M., ALLIANZ SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3594/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 2.8.2017 n. 3594, ha rigettato l’appello proposto dagli eredi di Q.F. – B.M. (coniuge), N. ed Q.A. (figli), Q.E. (padre), D.S.R. (madre), L. e Q.G. (fratelli) – e confermato integralmente la sentenza del Tribunale di Sondrio n. 310/2014 che aveva ritenuto infondata la domanda di condanna al risarcimento dei danni, derivati dallo scontro tra veicoli a motore nel quale aveva perso la vita un loro congiunto, proposta nei confronti di B. e G.M., rispettivamente proprietario e conducente, nonchè dell’assicuratore della responsabilità civile automobilistica ALLIANZ s. p.a..

La Corte territoriale, dopo aver rilevato che era stato possibile ricostruire la dinamica del sinistro in base ai rilievi e dati forniti dal rapporto di PG, in data 19.9.2004, dei Carabinieri di Tirano ed alle risultanze delle indagini tecniche svolte dal perito incaricato dal PM, nel procedimento penale instaurato contro G.M. e definito con decreto archiviazione, ha condiviso le valutazioni del Tribunale in ordine alla esclusione di ogni rilevanza causale, nella determinazione dello scontro, da riconoscere: sia al modesto superamento del limite di velocità di 30 Km/h “per lavori in corso” da parte del G., essendo interamente assorbita la efficienza causale dello scontro dalla condotta di guida imprudente del Q. (velocità non inferiore a 75 Km/h, di molto superiore al limite prescritto dal segnale stradale, in centro abitato, in orario notturno, in presenza di strettoia e con visuale occultata da dosso), il quale viaggiava spostato sul centro della carreggiata, invadendo parzialmente la corsia opposta; sia alle condizioni psicofisiche del G. che – pur risultato positivo, in modo modesto, al test alcoolemico – aveva prontamente reagito eseguendo una manovra di emergenza, tentando di spostarsi sulla destra ed azionando il sistema frenante. L’accertamento in concreto delle rispettive condotte dei conducenti e la raggiunta prova che il G. avesse fatto tutto il possibile per evitare lo scontro, verificatosi in quanto l’auto del Q. viaggiava a velocità inadeguata e spostata al centro della strada in una strettoia che consentiva appena il passaggio affiancato di due veicoli, consentiva di escludere una concorrente responsabilità del G., non venendo quindi in applicazione la presunzione legale “juris tantum” di cui all’art. 2054 c.c., comma 2.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata dagli eredi di Q.F. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrato da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Resistono con distinti controricorsi B. e G.M. ed ALLIANZ s.p.a., quest’ultima ha anche depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Questioni pregiudiziali.

1. I ricorrenti, in allegato alla memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c., hanno comunicato un nuovo documento costituito dalla sentenza in data 27.3.2019 della Corte d’appello di Milano, resa su impugnazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), che ha rigettato la domanda di revocazione proposta dagli eredi di Q.F., ritenendo:

1) non decisivo e non avente ad oggetto un “fatto”, l’errore di individuazione della disposizione della norma sanzionatoria della guida in stato di ebbrezza, applicabile alla fattispecie, indicata nella sentenza revocanda nell’art. 186 C.d.S., lett. a), anzichè nell’art. 186, lett. b), atteso che il Giudice di merito aveva, comunque, correttamente valutato tale elemento probatorio in relazione alla esatta misura del tasso alcoolemico rilevato dagli operatori (0,86 gli, rispetto al limite di 0,50 g/l), ritenendo che lo stesso non aveva comunque impedito al G. di reagire prontamente tentando di sterzare verso la propria destra per impedire l’impatto con il veicolo condotto dal Q. che sopraggiungeva in senso contrario;

2) non decisivo l’errore in cui il Giudice di merito era effettivamente incorso, nel supporre la esistenza di tracce di frenata del veicolo del G. – non rilevate dai verbalizzanti, nè indicate dall’ausiliario nella perizia di ufficio -, in quanto l’assenza delle stesse non inficiava comunque il giudizio sulla responsabilità esclusiva del Q., avuto riguardo sia alla modesta velocità alla quale procedeva l’auto del G., sia allo stato dei luoghi che non consentiva di apprezzare tempestivamente la posizione assunta sulla carreggiata dal veicolo condotto dal Q. a causa della presenza di un dosso, rendendo quindi impossibile alcuna efficace manovra di emergenza di fronte alla vettura apparsa improvvisamente al centro della strada;

3) insussistente l’errore allegato in ordine alla larghezza della carreggiata, in quanto esattamente rilevato in mt. 4,65 con riferimento allo spazio della carreggiata destinato al transito dei veicoli; non decisivo – in ogni caso -, stante la inevitabilità dell’ostacolo improvvisamente apparso, era da ritenersi l’eventuale errore circa il mancato apprezzamento dell’ulteriore spazio costituto dalla banchina;

4) non integranti errori di percezione di un fatto, ma eventualmente omessa od inesatta valutazione di risultanze probatorie, la disamina degli schemi grafici allegati alla perizia cinematica, e delle fotografie allegate al rapporto di PG.

1.1 La sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione non immuta l’oggetto del giudizio di legittimità, nè impone una relazione di pregiudizialità necessaria tra le due cause, pure in pendenza del termine di impugnazione per cassazione della sentenza di appello che ha rigettato la domanda di revocazione, essendo regolati i rapporti tra il giudizio di revocazione ed il giudizio di legittimità dalla specifica disciplina della sospensione -la cui valutazione è rimessa al Giudice di appello – ex art. 398 c.p.c., comma 4, e, nella specie, risulta per affermazione degli stessi ricorrenti che la istanza di sospensione è stata rigettata dalla Corte d’appello, di tal chè non vi è ragione alcuna che impedisca di procedere all’esame dei motivi di ricorso per cassazione, dovendo ribadirsi il principio di diritto secondo cui la sospensione del procedimento di legittimità, in pendenza del giudizio di revocazione, non può essere disposta ai sensi dell’art. 295 c.p.c. non ricorrendone i presupposti, dato che la sospensione “necessaria” del processo, quando non sia imposta da una specifica disposizione di legge, presuppone l’esistenza di una relazione sia di pregiudizialità logica (nel senso che la definizione di una controversia rappresenti un momento ineliminabile del processo logico relativo alla decisione della causa dipendente) sia di pregiudizialità giuridica (nel senso che la controversia pregiudiziale sia diretta alla formazione di un giudicato che, in difetto di coordinamento tra i due procedimenti, possa porsi in conflitto con la decisione adottata nell’altro giudizio), e dato altresì che, nel giudizio di revocazione, la fase rescindente ha per oggetto l’accertamento del denunciato vizio della sentenza impugnata e non l’esistenza o il contenuto del rapporto giuridico in ordine al quale la sentenza stessa abbia giudicato, mentre solo l’eventuale fase rescissoria viene a rinnovare il giudizio su tali punti, non essendo inoltre tale sistema delineato dal codice di procedura civile irrispettoso delle esigenze di tutela dei diritti di cui all’art. 24 Cost. e art. 6 CEDU, posto che l’art. 398 c.p.c., comma 4, collega la facoltà di sospensione del giudizio di cassazione e del relativo termine per impugnare al mero requisito della “non manifesta infondatezza” della revocazione proposta (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 4329 del 16/05/1997; id. Sez. 2, Sentenza n. 14370 del 21/12/1999; id. Sez. 1, Sentenza n. 4702 del 03/03/2006; id. Sez. L -, Sentenza n. 20469 del 02/08/2018).

La autonomia dei predetti giudizi si protrae anche nel caso in cui venga impugnata per cassazione la sentenza di appello che abbia rigettato o dichiarato inammissibile la domanda di revocazione ex art. 395 c.p.c.; in tal caso il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che rigetta la domanda di revocazione per errore di fatto è ammissibile, pur dopo il passaggio in giudicato della pronunzia del giudice di legittimità sul merito, stante la completa autonomia dei due giudizi, sempre che la questione non sia già stata esaminata e decisa, ancorchè sotto il diverso angolo prospettico dell’errore di diritto, risolvendosi altrimenti in un’inammissibile duplicazione di giudizi in violazione del principio del “ne bis in idem” e dell’intangibilità del giudicato (cfr. Corte cass. Sez. L -, Sentenza n. 6266 del 04/03/2019), mentre nell’ipotesi in cui una sentenza della corte d’appello venga impugnata sia per revocazione sia per cassazione e la corte d’appello abbia dichiarato inammissibile l’istanza di revocazione, mentre la Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso, abbia cassato con rinvio la pronuncia gravata, l’una e l’altra decisione devono ritenersi del tutto autonome, con la conseguenza che la sentenza della S.C. non esplica alcuna efficacia immediata nel giudizio di impugnazione per cassazione di quella della corte d’appello dichiarativa dell’inammissibilità della revocazione, salvo che non sia venuto meno l’interesse a coltivare il ricorso (cfr. Corte cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 8689 del 28/03/2019. Vedi Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 1520 del 27/01/2016).

2. I controricorrenti G. hanno eccepito la inammissibilità del ricorso, per omessa formulazione del “quesito di diritto” previsto dall’art. 366 bis c.p.c., senza avvedersi che tale norma inserita dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 è stata abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), anteriormente addirittura alla stessa introduzione della lite in primo grado, con atto di citazione notificato in data 12.3.2012.

Esame dei motivi di ricorso.

Primo motivo: violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

I ricorrenti si dolgono che la Corte territoriale, sebbene con i motivi di gravame fosse stata illustrata ampiamente e con dovizia di allegazioni in fatto la concorrente responsabilità del G., avrebbe inopinatamente trascurato le risultanze probatorie pervenendo ad in giudizio di esclusiva efficienza causale della condotta del Q. nella produzione del sinistro, in tal modo fornendo una risposta meramente apparente ai motivi di appello.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che non può darsi sovrapposizione del vizio di “omessa pronuncia” ovvero di “violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato”, che presuppone la esistenza di tutti i requisiti strutturali di validità del provvedimento giurisdizionale emesso all’esito del processo, con il vizio di carenza assoluta di motivazione che, invece, si traduce proprio nella incompletezza di quegli elementi strutturali, prescritti a pena di validità, idonei a consentire di riconoscere nel provvedimento giurisdizionale i caratteri propri della sentenza, osserva il Collegio che:

a) quanto al vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., il motivo di ricorso per cassazione, in tanto supera il vaglio di ammissibilità, in quanto la parte fornisca la specifica indicazione dei motivi sottoposti al Giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso indispensabile la conoscenza puntuale dei motivi di appello (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 317 del 11/01/2002; id. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 14561 del 17/08/2012; id. Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015). Nella specie la Corte d’appello ha riferito, nella premessa in fatto della motivazione della sentenza, che gli eredi di Q.F. avevano dedotto due motivi di gravame, e quindi ha esaminato partitamente ciascuno dei predetti motivi ritenendoli infondati. Risulta, dunque, evidente che il vizio di legittimità potrà eventualmente concernere la correttezza o meno della “risposta” fornita dalla Corte territoriale alle doglianze proposte con l’atto di appello, ma non potrà certo essere dedotta in relazione alla “omissione di pronuncia” denunciata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr. Corte cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 329 del 12/01/2016). E’ appena il caso poi di rilevare come il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell’art. 112 c.p.c., può dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per “error in procedendo”, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne segue che l’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 6858 del 07/04/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 7268 del 11/05/2012). I ricorrenti non lamentano che sia stato pretermesso l’esame di uno specifico motivo di gravame dedotto con l’atto di impugnazione, quanto piuttosto che la Corte distrettuale avrebbe male esaminato – pervenendo a conclusioni non condivisibili – le risultanze probatorie: ipotesi quindi del tutto avulsa dalla denunziata violazione della corrispondenza tra i motivi di gravame e la risposta fornita agli stessi dalla sentenza di appello;

b) quanto alla censura relativa alla violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), la stessa è destituita “ictu oculi” di fondamento, atteso che costituisce affermazione pacifica che la motivazione è solo “apparente”, ovvero “perplessa” o “incomprensibile”, e la sentenza è quindi nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture: “in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. sez. un. 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009)…” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017). Orbene la sentenza impugnata non difetta dell’apparato motivazionale, nè in relazione al suo aspetto materiale, nè in relazione all’impianto logico il cui sviluppo è del tutto coerente con le premesse e fornisce in modo chiaro la rappresentazione delle ragioni in fatto e diritto che hanno condotto la Corte distrettuale a raggiungere la conclusione del rigetto dell’appello;

c) non è idoneo a ricondurre sui corretti binari del sindacato di legittimità, l’ulteriore argomento, speso dalle ricorrenti, secondo cui la Corte distrettuale avrebbe violato gli artt. 141 e 143 C.d.S. che impongono al conducente di adeguare la velocità del veicolo alle condizioni del traffico e dei luoghi e di mantenere rigorosamente il veicolo sul margine destro della corsia di marcia. Indipendentemente dal fatto che nessuna di tali infrazioni venne contestata al G. dai verbalizzanti sopraggiunti nel luogo del sinistro, vale appena osservare come – on evidente inversione logica – i ricorrenti imputino al Giudice di appello di non aver correttamente applicato quelle norme di diritto “perchè” la ricostruzione dei fatti doveva essere condotta in modo differente da quella effettuata dal Giudice di merito e posta a fondamento della decisione impugnata: il che è a dire che la violazione di norma di diritto è un mero “posterius” rispetto al previo accertamento del fatto, e dunque è l’errore che – asseritamente – cade su quest’ultimo che solo di riflesso determina la scorretta applicazione della norma del Codice della strada. Vertendosi quindi in tema di “errore di fatto” la denuncia per cassazione dello stesso rimane preclusa dalla insindacabilità in sede di legittimità di tale vizio, stante il limite previsto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 4 e 5, che incontra tale censura.

Secondo motivo: falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1 e 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I ricorrenti si dolgono della mancata applicazione del principio di diritto per il quale è data la presunzione di corresponsabilità di cui all’art. 2054 c.c. in caso di scontro tra veicoli qualora il conducente non provi, attraverso l’accertamento concreto della dinamica del sinistro, di essersi uniformato alle regole del Codice della strada mediante una condotta di guida da valutare in relazione alle circostanze di tempo e di luogo.

Il motivo è inammissibile.

Attraverso la deduzione della censura per mancata applicazione della presunzione legale i ricorrenti vengono ad investire la sentenza di appello di una critica interamente incentrata sulla errata valutazione del materiale probatorio, e dunque vengono surrettiziamente a dedurre errori nella ricostruzione della fattispecie concreta, non deducibili nella sede di legittimità, se non nei ristretti limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – come riformato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con modificazioni nella L. n. 134 del 2012, vizio di motivazione, peraltro, che non può essere fatto valere nel presente giudizio, stante la soccombenza della parte – in entrambi i gradi dei giudizi di merito – sulla medesima valutazione probatoria dei fatti, giusta le disposizioni dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, (applicabili al presente giudizio, essendo stato proposto l’appello in data successiva all’11.9.2012: cfr. D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012), non avendo dimostrato i ricorrenti che le ragioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, erano tra loro diverse (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 19001 del 27/09/2016).

E’ appena il caso di osservare la assoluta irrilevanza delle citazioni giurisprudenziali richiamate dai ricorrenti (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1663 del 21/02/1994; Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 25620 del 14/11/2013; Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3543 del 13/02/2013), non essendo pertinente al caso di specie la invocazione del principio di diritto secondo cui non è sufficiente accertare che uno dei conducenti non viaggiava all’interno della propria corsia, o comunque mantenendo il margine destro della sua corsia di marcia, per addebitare a quello interamente la responsabilità dello scontro, occorrendo a tal fine accertare anche che l’altro conducente abbia tenuto un comportamento conforme alle prescrizioni del Codice della strada nonchè a quelle di normale prudenza, avuto riguardo alle concrete circostanze di fatto; diversamente la prova della colpa del primo conducente non libera quest’ultimo dalla presunzione di colpa concorrente di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, tanto più nella ipotesi in cui non sia possibile accertare l’incidenza causale concreta delle rispettive condotte colpose nella determinazione dell’incidente, per essere rimasto ignoto il punto di scontro tra i veicoli.

La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto raggiunta sia la prova della violazione delle norme del Codice della strada e delle norme di comune prudenza da parte del conducente rimasto vittima nello scontro, sia la prova della assenza di condotte da parte dell’altro conducente rivestenti autonoma efficienza causale nella determinazione dello scontro, in base ad un accertamento dei fatti così come in concreto si erano svolti e risultavano dimostrati alla stregua dei rilievi fotoplanimetrici eseguiti dagli Ufficiali ed agenti di PG giunti in loco, e delle indagini tecniche ricostruttive della cinematica del sinistro esperite dal perito nominato nel procedimento penale.

Sulla base, pertanto, dell’accertamento in concreto delle condotte, rispettivamente ascrivibili a ciascuno dei conducenti, la Corte territoriale ha effettuato la valutazione di conformità o difformità delle stesse, in relazione ai parametri normativi di imputazione della responsabilità, non essendo dovuta ricorrere, in conseguenza, alla applicazione della regola sussidiaria di giudizio che prevede la presunzione legale “juris tantum” di pari responsabilità della causazione del sinistro, e che interviene a fornire la “regula juris” di definizione della controversia soltanto nel caso in cui le risultanze istruttorie non consentano di pervenire ad un appagante ricostruzione della fattispecie concreta.

Orbene la censura, che viene formulata avverso la statuizione impugnata, volta a dedurre vizi attinenti allo sviluppo dell’argomentazione logica della motivazione della sentenza, ed in quanto intesa a far valere la diversa prevalenza da accordare ad una soluzione della controversia piuttosto che ad un’altra, od ancora in quanto diretta a contestare la correttezza della scelta tra diverse opzioni – pur tutte possibili – compiuta dal Giudicante; ovvero ancora diretta a contestare l’errore in cui sarebbe caduto il Giudice di merito nella ricostruzione della fattispecie concreta, effettuata attraverso la verifica delle risultanze istruttorie e l’applicazione del procedimento presuntivo, potendo invece prospettarsi una diversa e più appagante ricostruzione dei fatti, mediante un procedimento logico inferenziale alternativo degli elementi secondari considerati dal Giudice di merito, va incontro alla declaratoria di inammissibilità.

Tale censura si allinea, invero, al paradigma normativo del precedente vizio di legittimità per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, non più riproponibile avanti la Corte di legittimità, avendo il Legislatore inteso, al contrario, intervenire sulla abnorme estensione assunta nel giudizio “chiuso” di legittimità dall'”errore di fatto”, in quanto attraverso la critica volta a contestare la correttezza dell'”iter logico” seguito dal Giudice di merito, si veniva di fatto a richiedere a questa Corte di riprodurre l’intero complessivo percorso motivazionale posto a supporto della decisione, trasformando così il controllo di legittimità in una sorta di “terzo grado di giudizio”, e travalicando però, in tal modo, i limiti propri del sindacato di legittimità, con conseguente dispersione – nella prevalenza così accordata alla peculiarità del “jus litigatoris” – del compito nomofilattico che la legge istituzionalmente assegna alla Corte di cassazione, quale elemento tipizzante del giudizio di verifica di corrispondenza dell’attività di giudizio alla norma di diritto (“jus costitutionis”), nella interpretazione che, della stessa, viene fornita dalla Corte in funzione della uniformità tendenziale del diritto, con evidente positiva ricaduta sulla prevedibilità delle decisioni future e l’eguale trattamento riservato agli individui avanti la Legge.

Ammettere l’ingresso alla verifica di legittimità di questa Corte della critica rivolta alla sentenza di merito- che denuncia la “insufficienza logica” della selezione delle prove ritenute decisive dal Giudice di merito, verrebbe infatti a risolversi in un ulteriore giudizio di merito avanti questa Corte, non rispondente al carattere vincolato della censura di legittimità che trova collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non le consente di procedere ad un “novum judicium” riesaminando e valutando autonomamente il merito della causa, non atteggiandosi il giudizio di legittimità come un terzo grado di giudizio (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1317 del 26/01/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014).

Terzo motivo: falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura non appare perspicua, in quanto parrebbe attribuire alla Corte d’appello errori determinati dalla lacunosa indagine in fatto, tra l’altro anche in relazione ad alcune circostanze che non risultano avere costituito oggetto di specifico motivo di gravame e che non possono pertanto essere dedotte per la prima volta nel presente giudizio di legittimità.

Il motivo va dichiarato inammissibile in quanto dedotta la violazione dell’art. 2054 c.c., comma 1 (che ricollega la prova liberatoria alla dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno) non è sufficiente a ricondurre alla verifica di legittimità la censura che, formalmente riferita al vizio di “error in judicando”, si traduce, invece, in una contestazione della valutazione probatoria compiuta dal Giudice di merito, venendo a chiedere una rivalutazione dei fatti inammissibile in sede di legittimità.

La tesi difensiva secondo cui, poi, la prova liberatoria potrebbe ritenersi raggiunta esclusivamente in assenza di infrazioni alle norme del Codice della strada, è infondata in diritto, atteso che la violazione di prescrizioni di divieto o di condotta non è ex se dimostrativa dell’apporto causale alla produzione dello scontro, dovendo accertarsi, invece, se la condotta difforme rispetto alla prescrizione del Codice della strada abbia in concreto fornito un contributo di efficienza causale – concorrente od esclusiva – nella determinazione del sinistro, avuto riguardo alle concrete circostanze di tempo e di luogo ed in base alla ricostruzione della dinamica del sinistro.

Tale compito è stato assolto dalla Corte distrettuale che ha incentrato l’argomento fondamentale giustificativo della decisione sulla localizzazione dei danni riportati dai veicoli (parte anteriore sinistra centrale il veicolo del Q.; parte sinistra spigolo anteriore del veicolo del G.), elemento di valutazione che consentiva di affermare che la vettura condotta dal Q. viaggiasse spostata al centro della carreggiata (circostanza non contestata neppure dai ricorrenti), e che, unitamente alla peculiare situazione dei luoghi (carreggiata stradale ridotta per una strettoia; orario notturno; presenza di dosso con visibilità occultata), destituiva di ogni efficienza causale, sia la velocità di circa 35/40 Km/h attribuita al veicolo del G., superiore al limite di Km/h 30 “per lavori in corso” presente nella segnaletica, sia il grado dello stato alcoolemico che non aveva, tuttavia, impedito al G. di reagire nel tentativo di evitare l’impatto, sterzando verso destra.

Appare opportuno, in ogni caso, precisare che il principio di diritto – enunciato nel precedente di questa Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011 – richiamato dalla controricorrente ALLIANZ s,p.a., secondo cui “in tema di scontro tra veicoli e di applicazione dell’art. 2054 c.c., l’accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non comporta di per sè il superamento della presunzione di colpa concorrente dell’altro (all’uopo occorrendo che quest’ultimo fornisca la prova liberatoria, ovvero la dimostrazione di essersi uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle della comune prudenza, e di essere stato messo in condizioni di non potere fare alcunchè per evitare il sinistro) non può essere inteso nel senso che, anche quando questa prova non sia in concreto possibile e sia positivamente accertata la responsabilità di uno dei conducenti per avere tenuto una condotta in sè del tutto idonea a cagionare l’evento, l’apporto causale colposo dell’altro conducente debba essere, comunque, in qualche misura riconosciuto”, deve essere correttamente inteso, non nel senso che sia sufficiente dimostrare la prova della responsabilità di un conducente per esonerare l’altro, ma nel senso che, qualora sia possibile individuare nella condotta colposa di uno dei conducenti il “fattore causale esclusivo” dello scontro tra i veicoli, la condotta dell’altro conducente – anche se in ipotesi violativi di norme del Codice della strada – deve ritenersi priva di alcuna rilevanza nell’evento lesivo, ipotesi che può verificarsi laddove la improvvisa repentinità dell’ostacolo, e dunque la impossibilità di avvertire tempestivamente il pericolo, tenuto conto delle condizioni di tempo e di luogo, non avrebbe “comunque” potuto impedire lo scontro, anche a fronte di una condotta di guida assolutamente regolare ed esente da colpa generica e specifica in quanto conforme alle norme del Codice della strada.

Tale è stato l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte distrettuale che, tenuto conto del restringimento della strada, della modesta velocità del veicolo del G., e della improvvisa apparizione del veicolo del Q., in quanto occultato dal dosso, spostato sul centro della carreggiata, ha ritenuto impossibile l’azionamento di qualsiasi manovra di emergenza atta ad evitare lo scontro, anche se il G. avesse viaggiato ad una velocità di 30 Km/h e nei limiti di legge consentiti per l’assunzione di sostanze alcooliche.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in relazione a tutti e tre i motivi dedotti, ed i ricorrenti vanno condannati alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di B. e G.M. in Euro 3.000,00 per compensi, ed in favore di ALLIANZ s.p.a. in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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