Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28010 del 16/12/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 28010 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 1888-2007 proposto da:
LIPPOLIS CESARE (C.F. LPPCSR302C514Z), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10,
presso l’avvocato PIVANTI ANDREA, che lo rappresenta

Data pubblicazione: 16/12/2013

e difende unitamente all’avvocato DEIDDA MARIA,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2013

contro

1760

BANCA

POPOLARE

DI

MILANO

S.C.AR.L.

(C.F.

00715120150), in persona del legale rappresentante

1

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAllA DELLA MARINA 1, presso l’avvocato LONGO LUCIO
• FILIPPO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato LORIA FABIO, giusta procura a margine
del controricorso;

avverso la sentenza n.

controricorrente

1993/2006 della CORTE

D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/07/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/11/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato A. PIVANTI che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato L.F.
LONGO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

Ritenuto in fatto e in diritto
1.- Con atto di citazione del 7.8.2002 Lippolis Cesare,
espose di essere titolare presso la Banca Popolare di
Milano, agenzia di Segrate, di un rapporto di conto
corrente identificato con il n. 900, cui era correlato un

deposito titoli n. 235579 e un deposito secondario
identificato con il n. 235579/1 intestato alla propria
moglie Lislie Ronca Erbisti. Successivamente alla
separazione coniugale, l’esponente aveva appreso che
quest’ultima, fra l’agosto e l’ottobre 2001, aveva
impartito alla Banca l’ordine di vendita di alcuni titoli
azionari che, pur a lei formalmente intestati, erano stati
acquistati con fondi provenienti dal proprio conto
corrente, provvedendo quindi a farsene accreditare il
ricavato sul conto corrente n. 899 di cui la stessa era
titolare. Tanto premesso e deducendo la violazione da parte
dell’istituto di credito degli obblighi contrattuali
inerenti al rapporto di conto corrente, convenne in
giudizio innanzi al Tribunale di Milano la Banca Popolare
di Milano chiedendone la condanna al pagamento in proprio
favore della somma di euro 8.000,00 a titolo di
risarcimento del danno subito in conseguenza della vendita
non autorizzata dei suddetti titoli e dell’accredito del
relativo ricavato su conto diverso da quello di
riferimento.
3

Con sentenza del 27.5.2003 il tribunale accolse la domanda
e, pronunciando sull’appello proposto dalla banca, la Corte
di appello di Milano, con la sentenza impugnata (depositata
il 6 novembre 2006), in riforma della decisione di primo
grado, rigettò la domanda stessa, ritenendo che la banca

avesse correttamente adempiuto ai propri obblighi
attenendosi alla titolarità formale dei conti, in difetto
di prova del rapporto fiduciario dedotto dall’attore.
2.- Contro la sentenza di appello il Lippolis ha proposto
ricorso per cassazione formulando due motivi articolati in
più censure.
Resiste con controricorso la banca intimata, la quale ha
eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione

dell’art. 366 bis c.p.c.
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. le parti hanno
depositato memorie.
3.- Con i motivi di ricorso il Lippolis denuncia: l) vizi
inerenti

l’omessa,

insufficiente

e

contraddittoria

motivazione circa un punto decisivo della controversia; 2)
violazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione alla mancata
dichiarazione di nullità o inammissibilità dell’appello e
contraddittoria motivazione; violazione dell’art. 1375 c.c.
in relazione al mancato rispetto del principio di buona
fede nell’esecuzione del contratto di conto corrente;
violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione al fatto che

la corte d’appello ha indicato, tra gli elementi sui quali
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ha basato la propria decisione, un’eccezione mai formulata
dalla banca e non rilevabile d’ufficio; violazione degli
artt. 1321 e 1322 c.c. in merito alla falsa applicazione
delle norme in materia di collegamento negoziale;
violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione alla

falsa applicazione dei criteri relativi all’uso delle
presunzioni semplici; violazione degli artt. 1852 e 1856
c.c. in relazione all’esecuzione del contratto di conto
corrente da parte della banca; violazione dell’art. 355
c.p.c., in relazione al mancato esame della querela di
falso; violazione dell’art. 2043 cod. civ. in relazione
agli effetti della stipulazione del contratti di phone
banking.
4.- L’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata
dalla resistente è fondata.
Invero, il ricorso è inammissibile per violazione dell’art.
366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, essendo stata
impugnata una sentenza pronunciata dopo il 2.3.2006 e prima
del 4.7.2009.
Il primo motivo, infatti, si articola in dieci diversi vizi
di motivazione privi di sintesi finale e il secondo motivo
si articola in otto diversi vizi di violazione di legge
privi di quesito.
Va ricordato, in proposito, che, quanto alla formulazione
dei motivi nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ., la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato che
5

la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione deve contenere un momento di sintesi (che
svolge l’omologa funzione del quesito di diritto per i
motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360 cod. proc.
civ.) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera
da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del

.

ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (v. S.U.
sent. n. 20603/2007 e, successivamente, le ordinanze della
sez. 3 n. 4646/2008 e n. 16558/2008, nonché le sentenze
delle S.U. nn. 25117/2008 e n. 26014/2008): per questo il
relativo requisito deve sostanziarsi in una parte del
motivo che si presenti a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile
ritenerlo rispettato quando solo la completa lettura della
complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di
un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di
una indicazione da parte del ricorrente, deputata
all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che
il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso,
riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od
insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le
ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea
sorreggere la decisione (ord., sez. 3, n. 16002/2007; ord.,
sez. 3, nn. 4309/2008, 4311/2008 e 8897/2008 nonché sent.
S.U. n. 11652/2008). In altri termini, si richiede che
l’illustrazione del motivo venga corredata da un momento di
6

sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la
fondatezza della censura (v. sentenza, S.U., n.
16528/2008).
Requisito che, nella concreta fattispecie, manca del tutto

motivazione del provvedimento impugnato così come quelle
che denunciano violazioni di legge senza formulazione del
quesito di diritto.
Le spese del giudizio di legittimità – nella misura
liquidata in dispositivo vanno poste a carico del
ricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in euro 2.700,00 di cui euro 200,00
per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19
novembre 2013

e ciò rende inammissibili le censure concernenti la

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