Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28008 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. I, 09/12/2020, (ud. 09/10/2020, dep. 09/12/2020), n.28008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8233/2019 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Principe Eugenio,

15, presso lo studio dell’avvocato Troiano Vito, che lo rappresenta

e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 28/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Roma del 28 dicembre 2018. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che a B.M. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo sono lamentate la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, art. 1 della Convenzione di Ginevra, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7,14 e 17; è altresì dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta l’istante che il Tribunale non abbia tenuto conto che il Bangladesh è “un paese in cui vige ancora una cultura tribale settaria, soprattutto in alcune zone, tra cui quella da cui proviene ricorrente”; viene altresì dedotto che la narrazione del ricorrente conterrebbe elementi che la farebbero ritenere veritiera.

Il motivo è nel complesso infondato.

Ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, la situazione socio-politica o normativa del paese di provenienza è rilevante solo se correlata alla specifica posizione del richiedente, e più specificamente al suo fondato timore di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita, e quindi alla sua personale esposizione al rischio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105). Quanto alla protezione sussidiaria, nelle forme di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 19 giugno 2020, n. 11936 rileva che, con riguardo a tali ipotesi, i rischi ai quali sarebbe esposto il richiedente in caso di rientro in patria non devono essere configurabili in via meramente ipotetica o di supposizione). L’istante non può quindi pretendere l’accesso alle indicate forme di protezione sulla base della semplice affermazione della propria provenienza dal Bangladesh.

Vero è che il Tribunale ha respinto la domanda, con riguardo al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b), anche sulla base della ritenuta inattendibilità della narrazione del richiedente, escludendo, per tale via, che le situazioni di rischio paventate dall’istante fossero in qualche modo individualizzate, secondo quanto sopra chiarito: ma è vero, al contempo, che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340). Il ricorrente ha bensì formulato una generica doglianza di omesso esame di fatto decisivo, ma essa non è minimamente circostanziata, rilevandosi, perciò, inammissibile.

2. – Il secondo mezzo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. E’ affermato che la protezione umanitaria debba essere concessa “per la particolare situazione in cui versa il paese di origine dello straniero”, il quale, nella fattispecie, “risultava essere assolutamente destabilizzato e percorso da violenze continue”.

Il motivo va disatteso.

La situazione di vulnerabilità deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione). L’odierno istante, d’altra parte, non assume di aver dedotto, nel corso del giudizio di merito, di versare in una particolare condizione di vulnerabilità: e va ricordato, in tema, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016).

3. – Il ricorso è respinto.

4. – Nulla per le spese.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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