Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28007 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. III, 14/10/2021, (ud. 12/04/2021, dep. 14/10/2021), n.28007

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19514-2019 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE TIZIANO 3,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DORIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato SERGIO BRUNO;

– ricorrente –

contro

PRELIOS CREDIT SERVICING SPA, in qualità di cessionaria della UBI

BANCA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BRUNO BUOZZI 53,

presso lo studio dell’avvocato GIAN LUIGI LOY, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

contro

SIENA NPL 2018 SRL, rappresentata da JULIET SPA ed rappresentata e

difesa dall’avv.to Flavio Godino

(flaviogodino.avvlamezia.legalmail.it) ed elettivamente domiciliata

in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di

Cassazione;

– controricorrente –

– BANCO NAPOLI SPA,

– R.A., M.C., M.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 688/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 02/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. M.G. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva confermato la pronuncia del Tribunale con la quale era stata accolta la domanda revocatoria proposta dalla Ubi Banca Spa (da qui UBI) con l’intervento della MPS Capital Service Banca per le Imprese (da qui MPS) e del Banco di Napoli Spa, con dichiarazione di inefficacia dell’atto di cessione dell’immobile di sua proprietà alla moglie separata R.A. ed alle figlie minori, alle quali, in virtù del coevo accordo di separazione consensuale, aveva rispettivamente donato l’usufrutto e la nuda proprietà del bene.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, l’U.B.I. aveva agito in giudizio per la dichiarazione di inefficacia dell’atto di cessione deducendo che il M. era fideiussore per un ingentissimo importo in favore della società Magit Industrie srl, portato da un provvedimento monitorio; gli altri due istituti di credito erano intervenuti in ragione di analogo titolo, in quanto il M., anche presso di loro, si era costituito fideiussore anche in relazione a due contratti di mutuo stipulati dalla società.

2. Le parti intimate Prelios Credit Servicing srl (cessionaria della UBI) e Siena NPL 2018 srl si sono difese con controricorso e, la Prelios, anche con memoria.

La Siena NPL 2018 non ha sollevato alcuna contestazione sulla sua legittimazione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per motivazione solo apparente, e nullità della sentenza.

1.1. Lamenta che “la struttura motivazionale della decisione” con la quale era stato rigettato l’appello proposto era articolata “per relationem” e si era limitata a condividere la tesi del primo giudice, qualificando la cessione dell’immobile come atto di liberalità ma omettendo di indicare le specifiche ragioni di rigetto delle censure avanzate.

1.2. In particolare, si duole del fatto che, al fine di una corretta qualificazione dell’atto dispositivo, non si poteva prescindere da, una valutazione globale dell’assetto patrimoniale fissato nell’accordo di separazione nel quale risultava che il contributo per il mantenimento fissato in Euro 700,00 “e non in misura maggiore” era compensato proprio dal successivo trasferimento immobiliare che, dunque, non poteva essere qualificato come atto a titolo gratuito emergendone, con tutta evidenza, l’onerosità.

1.3. La motivazione sul punto, pertanto, doveva ritenersi meramente apparente ed, in quanto tale, radicalmente nulla.

2. Con il secondo motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e dell’art. 2901 c.c.; nonché, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti.

2.1. Assume che la Corte aveva qualificato l’atto dispositivo come negozio a titolo gratuito valorizzando erroneamente l’utilizzo del verbo donare e l’assenza di pattuizione di qualsiasi controprestazione in favore del disponente, violando; con ciò l’art. 1362 c.c. che pone come primo e principale criterio di interpretazione del contratto l’indagine sulla comune intenzione delle parti che non si limiti al senso letterale delle parole.

2.2. Deduce inoltre che l’atto dispositivo e l’accordo di separazione consensuale erano legati da un nesso di funzionalità che non era stato affatto esaminato.

3. Con il terzo motivo, deduce, inoltre, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366,1369 c.c. e dell’art. 2901 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonché la violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3.1. Lamenta che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che fosse sufficiente per l’accoglimento della domanda che soltanto il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio arrecato, laddove l’accordo di separazione, ove valutato nel suo complesso, avrebbe certamente indotto a ritenere l’onerosità della cessione del bene e, conseguentemente, la necessaria prova del consilium fraudis, in mancanza del quale, la domanda era stata erroneamente accolta.

4. I motivi sono inammissibili.

4.1. Le tre censure – sia pure ricondotte a vizi differenti – sono tutte riferite sotto il doppio profilo, interpretativo e valutativo, all’accordo di separazione consensuale fra i coniugi ed all’atto di cessione del bene immobile stipulato in data immediatamente successiva: la tesi del ricorrente è fondata sulla critica al percorso argomentativo della Corte che avrebbe omesso di valutarli congiuntamente e che, in tal modo, non avrebbe qualificato correttamente il titolo della cessione come gratuito e non oneroso, così come preteso in ragione dell’asserito valore compensativo di esso rispetto all’importo fissato come contributo per il mantenimento delle figlie minori.

4.1.1. In particolare, con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, contestando che la motivazione era stata resa per relationem rispetto a quella di primo grado: si osserva, tuttavia, che il rilievo:

a. non è pertinente, visto che la motivazione per relationem è ritenuta illegittima dalla giurisprudenza di questa Corte solo in assenza di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame (cfr. ex multis Cass. 2397/2021), situazione del tutto estranea al caso di specie;

b. non si confronta correttamente con il percorso argomentativo sviluppato che, lungi dal richiamare acriticamente la pronuncia di primo grado, ha esaminato tutte le censure proposte rendendo una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale.

4.1.2. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione delle norme sui criteri ermeneutici ma la critica non è svolta attraverso una adeguata precisazione di “come” dette norme sarebbero state violate.

4.1.3. Il terzo motivo, è del tutto privo di una specifica indicazione degli errori di diritto che la Corte avrebbe commesso ed, in particolare, non è attinente al principio affermato da questa Corte in relazione all’applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., secondo il quale “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – da rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (cfr. Cass. 11892/2016; Cass. 23153/2018; Cass.9356/2017; Cass. 19293/2018; Cass. 3867/2O19; Cass. Sez. Un. n. 20867/2020).

4.2. il Collegio osserva che, in relazione alla complessiva ed articolata critica, le tre censure sono, preliminarmente, prive di autosufficienza, in quanto non riportano affatto nel ricorso il contenuto dell’accordo consensuale dal quale, in thesi, la Corte territoriale avrebbe dovuto desumere che la donazione oggetto dell’atto dispositivo era, in realtà, a titolo oneroso e non gratuito; né indicano la sede processuale ove tale atto possa essere rinvenuto, con violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

4.3. Inoltre, tutti i motivi prospettano una critica alle valutazioni di merito della Corte territoriale che risultano, invece, incensurabili in quanto si fondano su un percorso argomentativo congruo, logico ed al di sopra della sufficienza costituzionale, qualificando attraverso un ragionamento rigoroso, la natura dell’atto dispositivo anche in relazione alla formulazione, riportata in sentenza, dell’accordo di separazione: da entrambi gli atti i giudici d’appello, hanno desunto la natura gratuita del trasferimento del bene, proprio tenendo conto della comune intenzione delle parti.

4.4. Trattasi di valutazione di merito, incensurabile in questa sede in quanto “in tema di sindacato sull’interpretazione dei contratti, la parte che ha proposto una delle opzioni ermeneutiche possibili di una clausola contrattuale, non può contestare in sede di giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice del merito” (cfr. Cass. 27136/2017; Cass. 873/2019 ed in termini Cass. 995/2021).

5. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi in favore di ciascun controricorrente, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Terza civile, il 12 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

 

 

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