Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28005 del 16/12/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 28005 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8348 del Ruolo Generale degli
affari civili dell’anno 2010, proposto:
DA
VACCARO ANTONIO e VACCARO ALESSANDRO,

quali figli ed eredi

di Vaccaro Angelo Vito, elettivamente domiciliati in Roma,
nello studio Titomanlio alla Via Terenzio n. 7, con gli
avv.ti Raffaele De Bonis Cristalli e Orazio Abbamonte, che
li rappresentano e difendono anche disgiuntamente per
procura a margine del ricorso notificato il 23 dicembre

if6à9-to(3

Data pubblicazione: 16/12/2013

2009.
RICORRENTI PRINCIPALI
CONTRO
in persona del

sindaco p.t.,

rappresentato e difeso dagli avv.ti Concetta Matera e
Brigida Pignatari dell’Ufficio Legale dell’ente, presso il
quale elettivamente domiciliano in Potenza, alla Contrada S.
Antonio La Macchia, come da procura a margine del
controricorso con ricorso incidentale notificato a mezzo
posta il 24 aprile 2010.
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE
avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza n.
44/09, del 10 – 24 febbraio 2009, non notificata.
Udita, all’udienza del 5 novembre 2013, la relazione del
Cons. dr. Fabrizio Forte e sentiti l’avv. Orazio Abbamonte
per i ricorrenti e il P.M., in persona del sostituto
procuratore generale dr. Immacolata Zeno, che conclude per
l’inammissibilità del primo motivo del ricorso principale e
l’accoglimento del secondo motivo di esso, con assorbimento
degli altri motivi di detto ricorso e con rigetto del primo
motivo di quello incidentale che comporta assorbimento degli
altri motivi.
Svolgimento del processo
2

COMUNE DI POTENZA,

Con citazione notificata 1’11 febbraio 1987, Angelo Vito
Vaccaro, premesso di avere ceduto a titolo gratuito al
Comune di Potenza con atto del 31 luglio 1982, un suolo

707, 708, 601, 166, 618 e che tale contratto era nullo,
perché privo dei requisiti di legge, conveniva in giudizio
l’ente locale dinanzi al Tribunale della stessa città
perché, dichiarata la nullità che precede, condannasse il
comune convenuto a risarcire gli attori del danno subito per
tale condotta.
Il risarcimento chiesto ammontava al valore venale dell’area
occupata senza titolo dall’ente locale e alla perdita di
valore del reliquato, avendo il Comune di Potenza utilizzato
e trasformato solo in parte detto suolo con alloggi per i
terremotati del sisma del 1980 in Basilicata.
Il Comune di Potenza si costituiva, deducendo di avere
corrisposto agli attori, per la cessione del suolo, la
facoltà di edificare sul residuo suolo e il locale
Tribunale, con sentenza non definitiva del 30 novembre 1991,
dichiarava nulla la cessione di cui alla citazione, perché
priva di causa, affermando che il comune doveva restituire
agli attori le aree di cui sopra ovvero pagare il valore
dell’area occupata, liquidato in £ 146.000.000 (mq. 3.650 X

3

edificabile in Potenza di mq. 3.650, in Catasto a F. 29 P.le

E 40.000 a mq.), pari all’arricchimento di cui si era
giovato l’ente locale, cioè all’indennità di espropriazione
che esso avrebbe dovuto pagare.

tribunale stabiliva che la somma da pagare doveva liquidarsi
nell’arricchimento fruito dal comune e per la natura di tale
credito ritenuto di valore, fissava la somma rivalutata alla
data della decisione (1997) con coefficiente 2,44, in base a
un prezzo determinato in rapporto alla natura edificatoria
dell’area occupata alla data della sentenza, da
corrispondere agli attori, con gli interessi di legge dalla
domanda al saldo.
Gli attori proponevano appello contro la sentenza di cui
sopra, deducendo che il prezzo fissato in primo grado era
ragguagliato ad un indice di edificabilità inferiore a
quello effettivo e che il terreno aveva valore maggiore di
quello deciso dal tribunale, mentre l’ente locale era tenuto
a pagare anche il suolo non occupato con la costruzione
degli alloggi di cui sopra, pari a mq. 1050.
Anche il Comune di Potenza impugnava la sentenza del
Tribunale e, chiesta la riunione dei due giudizi, eccepiva
l’inammissibilità per tardività dell’avverso gravame
principale, ai sensi degli artt. 325 e 326 c.p.c. e,
4

Con pronuncia definitiva del 31 dicembre 1997, lo stesso

contestata l’esistenza di un indebito oggettivo a base della
domanda delle controparti che avrebbero dovuto chiedere solo
il risarcimento del danno per occupazione illecita del loro

proposto dal c.t.u., essendo errate le conclusioni di questo
sul valore venale delle aree occupate e non dovendosi agli
appellanti gli interessi riconosciuti in primo grado, per lo
stato di dissesto del comune nelle more da questo dichiarato
ai sensi di legge.
La Corte d’appello di Potenza, con sentenza n. 44 del 10 24 febbraio 2009 non notificata, accoglieva parzialmente gli
appelli riuniti delle parti e condannava il Comune di
Potenza a pagare alla controparte E 62.015,32, con
rivalutazione monetaria dal 30 giugno 1984 al saldo e gli
interessi legali sulle somme via via rivalutate e su E
46.828,16 dal 17 maggio 1982 al 30 giugno 1984 al tasso di
legge vigente, dovuti per la maggiore superficie occupata
per i lavori, compensando in parte le spese di causa tra le
parti, e ponendole nel resto a carico del Comune di Potenza.
Nulla era riconosciuto a favore degli appellanti, per l’area
rimasta in loro proprietà e non utilizzata dall’ente locale,
e la sentenza, rilevato che il Comune aveva precisato che la
sua domanda di rimborso delle somme versate in eccesso alle
5

terreno, affermava che ai Vaccaro spettava meno di quanto

controparti per l’occupazione, era divenuta, con l’appello
del danneggiato, richiesta

del risarcimento del

danno per l’occupazione illecita del suo terreno, per essere

di durata del procedimento e dei lavori (art. 13 della L. n.
2359 del 1865), affermava che l’azione aveva la sua causa
petendi in una occupazione illecita, usurpativa o senza
titolo.
Affermato che in tal modo si era avuta un ammissibile
mutamento della domanda originale di risarcimento del danno
da occupazione appropriativa o per pubblica utilità in
quella da occupazione usurpativa, la Corte di merito
riconosceva il danno da risarcire nel valore venale delle
aree occupate senza titolo, che in primo grado si erano
ritenute edificabili erroneamente, mentre tali non erano, in
quanto solo per il vincolo preordinato all’esproprio, esse
erano state destinate alla realizzazione di alloggi per i
terremotati del 1980, ai sensi della legge n. 219 del 1981.
Tale vincolo, anche se conformativo e idoneo a dar luogo ad
una destinazione edificabile dei terreni, non poteva
assumere rilievo nel caso, per qualificare edificabili i
suoli occupati e per determinare il risarcimento dovuto,
rilevando solo a tal fine la loro destinazione urbanistica
6

illegittimo il procedimento ablatorio in assenza dei termini

anteriore all’occupazione e all’intervento ablatorio.
Il danno è stato quindi liquidato nel valore delle aree come
non edificabili, entro i limiti e modi già indicati*

4.—2r

la

figli ed eredi di Angelo Vito Vaccaro deceduto in corso di
causa propongono ricorso in via principale di quattro motivi
notificato il 25 marzo 2010, cui replica, con controricorso
e ricorso incidentale notificato a mezzo posta il 24 aprile
2010 e illustrato da memoria, il Comune di Potenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ai sensi dell’art. 335 c.p.c., devono in via preliminare
riunirsi i due ricorsi proposti contro la stessa sentenza.
1.

Sul

piano

logico

è preliminare

l’eccezione di

inammissibilità dell’appello degli attuali ricorrenti, già
proposta dal Comune di Potenza in secondo grado in via
incidentale nei confronti del loro dante causa e ripetuta
dall’ente locale con il primo motivo del suo ricorso per
cassazione.
Su tale eccezione nulla ha deciso la Cort d’appello per
4

cui la stessa può ritenersi [taci amente] rigettata, con
statuizione che il Comune considera errata e da riformare.
L’eccezione denuncia una pretesa violazione del termine
breve di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. dal Comune di
7

cassazione di tale sentenza, Antonio e Alessandro Vaccaro,

Potenza, per avere l’ente locale proposto il suo appello con
atto notificato il 12 febbraio 1999, oltre i trenta giorni
dalla notificazione in forma esecutiva della sentenza al

maggio 1998.
La sentenza era stata notificata personalmente al sindaco,
quale organo del Comune, e non al difensore dell’ente locale
ai sensi dell’art. 170 c.p.c. e, ad avviso del Comune di
Potenza, la predetta notificazione non poteva che aver dato
luogo alla decorrenza del termine breve di trenta giorni per
impugnare, violato dalle controparti, che non avevano
proposto gravame entro tale termine.
Come deduce lo stesso comune ricorrente incidentale, la
giurisprudenza è stata sempre costante nell’affermare che la
notificazione del provvedimento da impugnare alla parte
personalmente, invece che al difensore, è inidonea a far
decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. per
l’impugnazione; si chiede quindi di modificare detto
indirizzo ermeneutico e di qualificare la notifica della
sentenza alla parte personalmente idonea a dar luogo alla
decadenza dal gravame, per violazione del termine breve.
Aderendo all’indirizzo interpretativo costante di questa
Corte (cfr. di recente in tal senso S.U. 13 giugno 2011 n.
8

sindaco della città in persona propria, avvenuta il 29

12898 e Cass. 11 febbraio 2013 n. 4384)

logico in rag ne

della esigenza che la opportunità dell’impugnazione sia
valutata dal difensore tecnico, non può che confermarsi che

parte, può far decorrere il termine breve per impugnare di
cui all’art. 325 c.p.c., rendendo conoscibile la decisione
al solo soggetto tecnicamente abilitato a rilevare la
opportunità di proporre l’impugnazione.
Pertanto l’appello era nella fattispecie ammissibile, non
rilevando la notifica della sentenza personalmente alla
parte ai fini della decorrenza del termine per appellare, e
l’eccezione di tardività del detto gravame è da ritenere
implicitamente rigettata con statuizione corretta, che
comporta il rigetto del primo motivo di ricorso incidentale,
perché infondato, consentendo di valutare nel merito gli
altri motivi di esso e il ricorso principale.
2.1. Il primo motivo del ricorso principale dei Vaccaro
denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. dalla Corte
potentina, per avere il dante causa dei ricorrenti chiesto
alla stessa di liquidare “i danni subiti dall’appellato
entro i limiti di giustizia, con applicazione dei criteri di
cui all’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996 n.
662” e solo successivamente domandato il risarcimento del
9

solo la notificazione della sentenza all’avvocato della

danno da occupazione illecita del suolo dall’ente locale.
La Corte di merito, d’ufficio, ha affermato che l’originaria
domanda, fondata su una occupazione per causa di pubblica

occupazione usurpativa, e così ha rilevato la modifica del
titolo a base delle richieste delle parti private, senza
dichiarare preclusa la domanda nuova di queste per la
mutatio libelli da loro operata.
Il quesito conclusivo chiede di dichiarare illegittima la
decisione di merito che, di ufficio, ha trasformato la
domanda

originaria

di

risarcimento

da

occupazione

appropriativa in quella, diversa, da occupazione usurpativa,
non rilevando la inammissibilità della nuova richiesta.
1.2. Il secondo motivo del ricorso principale dei Vaccaro
censura la sentenza di merito, per violazione dell’art. 2909
c.c., per avere deciso in contrasto con il giudicato della
pronuncia non definitiva del Tribunale di Potenza del 1991,
che aveva riconosciuto la natura edificabile dell’area
occupata, violando in tal modo anche l’art. 112 c.p.c.
Il tribunale aveva qualificato il suolo con “potenzialità
edificatorie”, affermando che l’indennità di espropriazione
doveva liquidarsi ai sensi dell’art. 39 della legge n. 2359
del 1865 nel valore venale dell’area; tale statuizione non
10

utilità o appropriativa, era divenuta azione risarcitoria da

era stata impugnata dal Comune di Potenza e quindi la
pronuncia di appello che ha qualificato, di ufficio,
“agricola” o inedificabile la medesima superficie e

ha violato il giudicato su tale punto decisivo ed è andata
oltre l’appello, in contrasto con l’art. 112 c.p.c.
1.3. Si lamenta dai ricorrenti principali, in terzo luogo,
la violazione degli artt. 360 n. 5 e 112 c.p.c., oltre che
dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971, perché la Corte
d’appello non ha riconosciuto il danno prodotto al reliquato
con la occupazione parziale delle aree dei ricorrenti, in
rapporto alla natura edificabile dell’intera superficie e
alla riduzione di cubatura realizzabile sull’area rimasta ai
danneggiati, da considerare anche essa occupata, sul
presupposto che, anche a considerare acquisito lo stesso
reliquato al comune, di esso mai era stata chiesta dai
proprietari la restituzione.
In tal modo la decisione impugnata non ha motivato nel
merito sulla domanda dei ricorrenti di risarcimento del
danno da occupazione illecita, liquidabile ai sensi
dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971 e dell’art. 2043
c.c., in 1/12 del valore dell’area, per ogni anno in cui la
stessa era stata illecitamente detenuta dal comune, oltre
11

liquidato il risarcimento del danno in base a tale natura,

accessori.
1.4. Si deduce poi, con il quarto motivo di ricorso
principale, la omessa pronuncia sulla domanda d’interessi

il gravame alla Corte d’appello, che doveva riconoscere tali
accessori almeno dalla data di notifica dell’appello dei
danneggiati.
2.1. Il controricorso del Comune di Potenza replica ai
motivi del ricorso principale e, in via incidentale, dopo
avere ripetuto l’eccezione di inammissibilità dell’appello
già ritenuta infondata al n. l della presente sentenza,
denuncia omessa motivazione o mancata pronuncia sulla
domanda di restituzione di quanto pagato in eccesso,
dall’ente locale con la somma complessiva di E 203.150,850,
versata con la rivalutazione per l’illecito in esecuzione
della pronuncia di primo grado e in base a una qualifica
data dal Tribunale delle aree come “edificabili”, corretta
in secondo grado con il riconoscere la loro destinazione
agricola, pur non essendovi censura sul punto della
decisione del primo giudice.
Valutare i terreni occupati per costruire alloggi da
destinare ai terremotati della Basilicata del 1980, in
relazione alla edificabilità loro attribuita con il vincolo
12

anatocistici proposta dai ricorrenti principali, anche con

per l’esproprio è stato errato, ad avviso del ricorrente
incidentale.
L’ente locale chiede se vi sia stata omessa pronuncia sulla

rispetto a quanto riconosciuto dovuto in appello, ovvero se
basti il riconoscimento in motivazione della “possibilità”
per l’ente locale di ripetere dette somme da esso versate ai
Vaccaro in più del dovuto, per ritenere riconosciuto il
diritto del Comune al rimborso di quanto pagato in eccesso
alle controparti rispetto al valore delle aree stesse.
2.2. Si lamenta ancora, dal comune ricorrente incidentale,
violazione degli artt. 194, coma 1, c.p.c. e 90, comma l,
disp. att. c.p.c., oltre che degli artt. 90 e 91 c.p.c., per
l’errore della Corte di merito di avere rigettato
l’eccezione di nullità delle operazioni del c.t.u., che non
aveva dato avviso al consulenti di parte e ai difensori
dell’ente locale, delle operazioni da esso iniziate, per
consentire la partecipazione alle stesse di detti difensori
tecnici del Comune di Potenza.
La Corte di appello ha ritenuto tardiva la deduzione delle
indicate nullità, da prospettarsi al più tardi nella prima
udienza successiva alla mancata convocazione dei difensori o
al massimo nella prima difesa dopo il deposito della
13

domanda di restituzione delle somme versate in eccesso

relazione dell’ausiliare, seguita alla irregolarità che si
denuncia a carico del c.t.u., mentre nel caso il difensore
aveva chiesto, subito dopo le pretese irregolarità della

della relazione dall’ausiliare, senza denunciare tali
illegittime condotte del consulente e domandando solo se era
illegittima la condanna delle parti alle spese di
consulenza, da ritenere nulla, per la quale quindi alcunché
doveva ritenersi dovuto all’ausiliare.
3.1. Il primo motivo del ricorso principale dei Vaccaro è
inammissibile, come già rilevato dalla sentenza di questa
Corte 21 dicembre 2012 n. 3424, che s’è pronunciata sulla
stessa impugnazione in altra causa su ricorso di altro
privato danneggiato da occupazione di un’area vicina a
quella di cui al presente giudizio dello stesso Comune di
Potenza, nel medesimo procedimento espropriativo del postterremoto del 1980 in Basilicata.
Detto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di
interesse dei ricorrenti a denunciare il mutamento della
propria domanda originale, in quanto dalla nuova causa
petendi dell’occupazione usurpativa accertata dalla Corte di
appello in luogo di quella originaria, nessun danno è
derivato ai Vaccaro, avendo determinato in concreto tale
14

consulenza, il rinvio di una udienza in attesa del deposito

nuova qualificazione dell’azione effetti sostanzialmente
identici a quelli della domanda risarcitoria da occupazione
appropriativa (così Cass. 16 luglio 2010 n. 16750).

denuncia una condotta contra legem degli stessi ricorrenti,
la recente giurisprudenza di questa Corte è ormai orientata
nel senso che non comporti preclusione da domanda nuova il
mutamento della

causa petendi dell’azione di risarcimento

del danno da occupazione per pubblica utilità, in quella di
risarcimento da occupazione usurpativa, ai sensi dell’art.
2043 c.c. (così, cfr. Cass. 5 dicembre 2011 n. 25959 e la
citata n. 16750 del 2010).
Il primo motivo di ricorso principale è quindi, prima che
infondato e da rigettare, precluso, perché nel merito vi è
stata la sostanziale accettazione del contraddittorio sulla
nuova domanda dei ricorrenti da parte del comune.
3.2. Il secondo motivo del ricorso principale è stato
ritenuto fondato dalla sentenza citata del 2012, che
richiama espressamente analoga soluzione adottata in altri
casi, relativi a sentenze che avevano pronunciato su
antecedenti logici della decisione con efficacia di
giudicato, come accaduto nella fattispecie in ordine alla
rilevata natura edificabile delle aree occupate in primo
15

Anche a non rilevare l’inammissibilità del ricorso che

grado, non impugnata dalle parti (con Cass. 17 febbraio 2011
n. 3909, ricordata nella sentenza n. 3424 del 2012, cfr.
pure Cass. 16 marzo 2012 n. 4821).

indebito contestata dai ricorrenti in questa sede, la
domanda con il gravame degli attuali ricorrenti principali
era stata trasformata da costoro in azione risarcitoria e in
primo grado la liquidazione della somma da restituire
all’ente locale sarebbe stata diversa, in caso di decisione
difforme sul punto pregiudiziale della natura, edificabile o
agricola, delle aree occupate.
Pertanto il secondo motivo di ricorso deve essere accolto,
dovendosi negare che la Corte d’appello potesse discostarsi
dalla qualificazione urbanistica agricola o inedificabile
dell’area occupata, già riconosciuta in via definitiva, dato
che la pronuncia sul punto del tribunale, non era stata
impugnata da alcuna delle parti.
Deve ritenersi precluso il terzo motivo di ricorso,
potendosi presumere che la liquidazione del risarcimento nel
merito abbia compreso tutti i danni subiti per l’occupazione
e quindi anche la eventuale perdita di valore del reliquato
se sussistente, nulla altrimenti spettando per tale titolo
al danneggiato.
16

Anche se il tribunale s’è pronunciato su una ripetizione di

L’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale
comporta la cassazione della sentenza in relazione al motivo
accolto, con necessità di riliquidare il danno, per cui

accessori della liquidazione, da rimettere al giudizio in
sede di rinvio.
3.4. Il primo motivo del ricorso incidentale s’è già
respinto perché infondato, mentre resta assorbito il secondo
motivo di tale ricorso, attinente alla liquidazione del
risarcimento, che dovrà avvenire, come già detto, in sede di
rinvio, nel corso del quale non potrà non tenersi conto di
quanto versato dal Comune di Potenza in corrispettivo delle
aree in favore di controparte, somme che la sentenza
impugnata ritiene di misura maggiore di quanto spettante ai
danneggiati, con implicito riconoscimento del diritto del
comune a ripetere quanto pagato in eccedenza ai privati
danneggiati.
Deve poi dichiararsi assorbito dall’accoglimento del secondo
motivo del ricorso principale, anche l’ultimo motivo di
ricorso incidentale relativo alla pretesa nullità delle
operazioni del c.t.u. rilevanti ai fini della
quantificazione del dovuto che dovrà operarsi, come già
detto, in sede di rinvio.
17

assorbe il quarto motivo del medesimo ricorso, relativo agli

4. In conclusione, riuniti i ricorsi, va accolto il secondo
motivo del ricorso principale, dovendo dichiararsi
inammissibili il primo e il terzo motivo di tale

incidentale, con assorbimento degli altri motivi di entrambi
i ricorsi.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in
relazione al motivo accolto, con rimessione della causa alla
Corte d’appello di Potenza in diversa composizione, perché
si pronunci sulla domanda, applicando i principi enunciati
in questa sede e decidendo anche sulle spese del presente
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il secondo motivo di
quello principale e dichiara inammissibile il primo e terzo
motivo di questo, rigetta il primo motivo dell’incidentale,
con assorbimento dei residui motivi dei due ricorsi; cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rimette la causa alla Corte d’appello di Potenza in diversa
composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio della 1^ sezione
civile della Corte suprema di Cassazione il SítioletoPrej013.

impugnazione, mentre va rigettato il primo motivo di ricorso

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