Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28004 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 31/10/2019), n.28004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24999/2017 proposto da:

COMUNE BORGO A MOZZANO, in persona del Sindaco pro tempore,

domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANIA

BERNARDINI;

– ricorrente –

contro

V.E., V.P., V.G., V.C.;

– intimati –

nonchè da:

V.E., V.P., V.C., V.G.,

domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato DANIELE GRECO;

– ricorrenti incidentali –

contro

COMUNE BORGO A MOZZANO, in persona del Sindaco pro tempore,

domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANIA

BERNARDINI;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1747/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

il Comune di Borgo a Mozzano convenne in giudizio V.E., P., G. e C. per sentirli condannare al rimborso della somma di 8.482,67, pari all’esborso sostenuto dal Comune per il pagamento della quota assistenziale della retta spettante all’istituto per anziani “(OMISSIS)” per il ricovero – relativo agli anni 2000, 2001 e 2002 – di Va.Gi., sorella dei convenuti;

il Tribunale di Lucca rigettò la domanda ritenendo insussistenti i presupposti per l’esercizio della rivalsa nei confronti dei congiunti dell’assistita;

provvedendo sul gravame del Comune, la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado, osservando che:

la rivalsa ex L. n. 1580 del 1931, è doverosa, in primo luogo, nei confronti del ricoverato e, in caso di suo decesso, degli eredi legittimi o testamentari (art. 1, comma 1), e solo eventualmente -“ove occorra” verso i congiunti ex art. 433 c.c., nonchè verso le persone civilmente responsabili (art. 1, comma 3);

“entrambe le azioni di rivalsa pubblica di cui alla L. n. 1580 del 1931 (sono) espressione dell’azione generale di indebito arricchimento” e dunque “l’azione di rivalsa non può prescindere dall’accertamento delle condizioni di povertà del ricoverato, posto che solo la presenza di condizioni economicamente sostenibili, oltre la soglia di povertà, costitui(sce) il presupposto dell’azione di indebito arricchimento”;

ne consegue che l’azione “ha il suo presupposto principale nella assenza delle condizioni di povertà del soggetto, nella considerazione che, in difetto, costui ben avrebbe potuto affrontare le spese di degenza”;

“appare così corretta l’interpretazione del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto che la sig.ra Va. fosse effettivamente in condizioni di povertà (…) e nella parte in cui, di conseguenza, ha ritenuto non sussistente il requisito dell’azione di rivalsa sia nei confronti della ricoverata che, per essa, nei confronti dei diretti obbligati indicati dall’art. 433 c.c.”;

ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Borgo a Mozzano, affidandosi ad un unico motivo; ad esso hanno resistito V.E., P., G. e C., con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato basato su quattro motivi; entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

l’unico motivo del ricorso principale denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 1580 del 1931, art. 1, comma 3: il ricorrente rileva che la Corte di merito ha errato nel ritenere “strettamente connesse e fondate sugli stessi presupposti di fatto le disposizioni del primo e della L. n. 1580 del 1931, art. 1, comma 3, individuando nel requisito della “non povertà” dell’assistito il presupposto fattuale necessario per poter agire in rivalsa sia nel caso previsto dal comma 1 che in quello previsto al terzo della norma”; aggiunge che è “palese la diversità delle due ipotesi”, giacchè “per il comma 1 le spese di ricovero devono essere richieste a chi ha ricevuto la prestazione (o agli eredi) se costui aveva risorse economiche sufficienti per pagare la retta di degenza”, mentre con il comma 3 “si prevede proprio l’ipotesi in cui il soggetto fruitore della prestazione non abbia la disponibilità economica per provvedere al pagamento (…) e allora, e solo allora, si prevede la possibilità di esercitare l’azione di rivalsa verso i congiunti tenuti agli alimenti, individuando i soggetti obbligati in base alle regole dettate dal codice civile”;

il motivo è fondato, in quanto:

la sentenza impugnata ha effettuato una lettura erronea del rapporto della L. n. 1580 del 1931, art. 1, fra comma 1 e 3, affermando un’identità del presupposto della condizione di non povertà del ricoverato che non trova riscontro nel dato letterale e nel rapporto logico esistente fra le due disposizioni;

al riguardo debbono richiamarsi integralmente le condivisibili considerazioni svolte da Cass. n. 4621/1999, laddove ha affermato che “L. n. 1580 del 1931, art. 1, configura due tipi di azioni di rivalsa: 1) la prima è quella di cui al comma 1 da farsi valere contro i ricoverati che non si trovino in condizioni di povertà (e, in caso di loro morte, contro i loro eredi legittimi e testamentari); 2) la seconda è quella descritta dal comma 3, la quale può essere esercitata verso i congiunti per legge tenuti agli alimenti durante il periodo di ricovero che si trovino in condizioni di sostenere, in tutto o in parte, l’onere delle degenze (…).

E’ evidente la diversità delle due azioni, che possono dar luogo a due domande diverse e addirittura incompatibili: vi è diversità di persone (il ricoverato ed i suoi eredi nel primo caso; i congiunti del ricoverato, nel secondo caso) e di condizioni della proponibilità delle stesse (il non essere in condizioni di povertà del ricoverato, nel primo caso; ovvero l’esserlo, nel secondo, perchè i congiunti sono tenuti agli alimenti solo verso chi è in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento).

Non si può, infatti, sostenere che, nel secondo caso, si debba prescindere dall’effettivo obbligo di prestare gli alimenti, in quanto la norma si limiterebbe a designare i soggetti che sono tenuti in astratto a tale obbligo; infatti, se non ci fosse necessità di accertare il dovere di prestare gli alimenti in concreto, la norma sarebbe irrazionale e parzialmente superflua. A parte la non perfetta coincidenza tra gli “eredi” di cui al comma 1 e i “congiunti” del comma 2, tuttavia l’ente pubblico avrebbe a disposizione l’azione di cui al comma 1, di cui la seconda sarebbe duplicazione (per quanto attiene al quantum), per il caso di incapienza del patrimonio dei soggetti indicati nel comma 1. Ma tale condizione non è però espressa dal comma 3 e non risulta implicita nell’inciso “ove occorra”, che ben può riferirsi – invece – all’esistenza di quella condizione di povertà del ricoverato che, al contempo, rende improponibile l’azione contro il medesimo ed i suoi eredi e proponibile l’azione contro i congiunti tenuti agli alimenti”;

in continuità con tali considerazioni, deve dunque ritenersi che l’azione L. n. 1580 del 1931, ex art. 1, comma 3, presupponga l’impossibilità di effettuare la rivalsa ai sensi del comma 1 e, quindi, una condizione di povertà della persona ricoverata che avrebbe determinato un obbligo alimentare a carico dei soggetti individuati dall’art. 433 c.c. e che – in difetto di adempimento diretto – giustifica la rivalsa nei loro confronti da parte del Comune che abbia provveduto al pagamento della quota assistenziale delle rette di ricovero (cfr. anche Cass. n. 481/1999).

Considerato che la fondatezza del ricorso principale comporta la necessità di esaminare il ricorso incidentale condizionato, rispetto al quale si osserva che:

il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. e censura la sentenza “per aver erroneamente non dichiarato l’inammissibilità dell’appello avversario per mancata impugnazione del (e conseguente acquiescenza ex art. 329 c.p.c., comma 1, al) capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda attorea – tra l’altro – per nullità ex art. 164 c.p.c., comma 4 e art. 163 c.p.c., n. 4, dell’atto di citazione in primo grado del Comune di Borgo a Mozzano per omessa indicazione della norma giuridica da cui sarebbe scaturito l’obbligo degli allora convenuti (…) V., con conseguente passaggio in giudicato di detto capo della sentenza di primo grado e rigetto irrevocabile della domanda attorea per detto motivo”;

il motivo è inammissibile in quanto i ricorrenti deducono l’avvenuta acquiescenza ad un capo della sentenza di primo grado limitandosi a sostenere che l’appellante “non (aveva) impugnato l’intero capo della sentenza di primo grado”, senza tuttavia trascrivere in alcuna misura l’atto di appello onde consentire a questa Corte di apprezzare, sulla base della sola lettura del ricorso, l’eventuale fondatezza della censura; il tutto a prescindere dalla considerazione che l’impugnazione del merito della decisione (che ha pacificamente riguardato la sussistenza delle condizioni per l’esercizio della rivalsa) non consente di ritenere che vi sia stata acquiescenza ai capi comportanti l’esclusione della possibilità di esaminare il merito della controversia;

col secondo motivo – che deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c., comma 4 e art. 163 c.p.c., n. 4” – i ricorrenti si dolgono che la Corte di merito, “pur confermando correttamente la “non poca incertezza” ravvisata già dal “giudice di prime cure… nell’inquadramento giuridico della fattispecie posta alla sua attenzione”, non abbia “confermato la nullità ex artt. 164 c.p.c., comma 4 e art. 163 c.p.c., n. 4, dell’atto di citazione in primo grado (…) per omessa indicazione della norma giuridica da cui sarebbe scaturito l’obbligo degli allora convenuti”;

il terzo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c.”: premesso che, nelle conclusioni dell’atto di citazione di primo grado, il Comune si era espressamente richiamato alla normativa sugli alimenti e che soltanto con la memoria ex art. 183 c.p.c., aveva “modificato la propria domanda originaria (di condanna del convenuto a versare gli alimenti in proprio favore ex art. 441 c.c.) in azione di rivalsa nei confronti dei convenuti ex L. n. 1580 del 1931”, i ricorrenti censurano la Corte per avere “illegittimamente ritenuto ammissibile la mutatio libelli effettuata in primo grado dal Comune di Borgo a Mozzano” e per essere entrata nel merito della domanda di rivalsa, benchè tardivamente spiegata, “anzichè qualificarla come domanda alimentare e rigettarla”;

il secondo e terzo motivo – che possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati poichè:

per quanto emerge dalle conclusioni dell’atto di citazione di primo grado riportate dagli stessi ricorrenti incidentali, l’attore non aveva richiesto il pagamento degli alimenti, bensì la condanna dei fratelli V., “quali obbligati nello stesso grado ex art. 441 c.c., agli alimenti nei confronti della sorella Va.Gi., al rimborso al Comune di Borgo a Mozzano della somma (…) pari alla quota sociale di integrazione della retta versata alla (OMISSIS) per il ricovero della signora Va.Gi. per gli anni 2000, 2001 e 2002”;

va escluso che ricorresse un vizio della citazione in relazione all’art. 163 c.p.c., n. 4 e art. 164 c.p.c., comma 4, giacchè l’atto conteneva chiara indicazione delle ragioni poste a fondamento della domanda; nè può ritenersi che il mero dato della mancata indicazione del riferimento normativo valesse a rendere assolutamente incerta la natura della pretesa (considerato anche che, descritto il fatto e formulata la pretesa, compete comunque al giudice individuare la disciplina applicabile);

va escluso, altresì, che la successiva indicazione della fonte normativa – effettuata con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 – abbia determinato un’inammissibile modifica della domanda, dato che la domanda (di rimborso delle rette) è rimasta sostanzialmente immutata e si è verificata esclusivamente una (consentita) specificazione della fonte normativa della pretesa;

il quarto motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 1580 del 1931 e della L.n. 833 del 1978 e/o del D.Lgs. n. 109 del 1998, art. 2 e/o D.Lgs. n. 130 del 2000 e/o L. n. 328 del 2000, art. 25 e/o dell’art. 25 preleggi”, sull’assunto che la sentenza abbia erroneamente escluso che la L. n. 1580 del 1931, sia stata abrogata: sostengono i ricorrenti che vi è stata abrogazione implicita per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 833 del 1978, sul rilievo che le “spese di spedalità o manicomiali” previste dalla prima costituivano spese di natura solo sanitaria per le quali la legge istitutiva del S.S.N. ha escluso la ripetibilità nei confronti dei ricoverati; aggiungono che, comunque, l’abrogazione implicita è conseguita all’entrata in vigore degli altri corpi normativi indicati in rubrica, in base ai quali “gli Enti Pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti non conviventi con gli assistiti, nè dai congiunti, inclusi quelli conviventi degli ultrasessantacinquenni, nè da quelli non autosufficienti con handicap grave”; concludono che la pretesa del Comune “si appalesa chiaramente infondata, in quanto con la stessa vengono richiesti pagamenti di rette relative a periodi di tempo in cui era già entrata in vigore la nuova normativa abrogativa della L. n. 1580 del 1931”;

il motivo va disatteso, dato che:

allineandosi alla consolidata giurisprudenza di legittimità, la Corte di merito ha correttamente escluso che le norme della L. n. 1580 del 1931, art. 1, siano risultate tacitamente abrogate per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 833 del 1978 (cfr. Cass. n. 481/1998, Cass. n. 4460/2003 e Cass. n. 3629/2004);

il richiamo alle altre fonti normative che avrebbero comportato l’abrogazione tacita (oltre ad introdurre profili del tutto nuovi nel presente giudizio) è svolto in modo generico, in riferimento a corpi normativi che non risultano specificamente attinenti alla materia del recupero della quota assistenziale delle rette pagate dai comuni;

nè rileva la circostanza che la L. n. 1580 del 1931, sia stata abrogata (in modo espresso) dal D.L. n. 112 del 2008, conv. in L. n. 133 del 2008, giacchè tale abrogazione è intervenuta in epoca successiva agli anni per i quali è stato richiesto il rimborso.

Considerato, pertanto, che:

accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale condizionato, la causa deve essere rinviata alla Corte di merito perchè riesamini la vicenda alla luce dei principi sopra illustrati;

la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite;

sussistono, in relazione al ricorso incidentale, le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale condizionato, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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