Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28001 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 31/10/2019), n.28001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21285/2017 proposto da:

D.E., elettivamente domiciliato in ROMA al viale ANGELICO n.

19 presso lo studio dell’AVVOCATO ANTONIO COCOZZA che lo rappresenta

e difende unitamente all’AVVOCATO LORIANA ZANUTTIGH;

– ricorrente –

contro

G.F., e V.L.A., elettivamente domiciliati

in ROMA alla via NAPOLEONE III, n. 28 presso lo studio dell’AVVOCATO

ROBERTO SARRA che lo rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO

VITTORIO MINERVINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 00239/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere VALLE CRISTIANO, osserva:

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.E. – già conduttore di un immobile della coppia V.L.A. e G.F., proprietari, adibito a ristorante e rilasciato dopo alterne vicende giudiziali – impugna con tre motivi la sentenza della Corte di appello di Brescia, n. 00239 del 2017, di conferma della sentenza del Tribunale della stessa sede, di accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dai proprietari e locatori dell’immobile.

Il monitorio era stato chiesto ed ottenuto dal D. sulla base di altra sentenza (la n. 00989 del 2014) del Tribunale di Brescia, resa tra le stesse parti con riferimento allo stesso contratto di locazione avente ad oggetto immobile destinato dal D. ad attività di ristorazione e passata in giudicato.

Resistono con controricorso G.F. e V.L.A..

Nel termine di dieci giorni antecedenti l’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria.

Il P.M. non ha rassegnato conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo dei due motivi attiene: a violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. con riferimento alla sentenza del Tribunale di Brescia n. 00989 del 2014.

Il secondo ad omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; il fatto decisivo è individuato dal ricorrente nella prosecuzione dell’attività commerciale di ristorazione nel periodo antecedente la riconsegna dell’immobile ai V.- G..

Il terzo mezzo è così testualmente formulato: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 4”.

I primi due motivi sono infondati.

Non sussiste la denunciata violazione dei principi in tema di giudicato, di cui all’art. 2909 c.p.c.

La sentenza in scrutinio ha proceduto alla disamina della sentenza del Tribunale di Brescia, n. 00989/2014, di cui questa Corte non dispone nè potrebbe, ove ne disponesse, procedere a lettura della stessa, non trattandosi di atto attinente a vizi processuali del processo di legittimità, traendone la conclusione che essa nulla statuiva in tema di spettanza, in favore del D., dell’indennità di avviamento di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34.

La detta sentenza del Tribunale di Brescia, si limitava a statuire che la misura del canone locatizio in essa stabilita, ridotta del 25% rispetto all’originaria pattuizione, doveva essere presa a base per la determinazione della detta indennità.

Il secondo mezzo, di omesso esame, attiene, come tratteggiato, all’omessa disamina della circostanza della prosecuzione dell’attività di ristorazione nell’immobile locato.

In questa sede deve essere ribadita, trattandosi di sentenza pubblicata nel 2017, l’affermazione nomofilattica (Sez. U n. 08053 del 07/04/2014), secondo la quale: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. “.

Ciò posto la sentenza in scrutinio ha affermato, con statuizione non utilmente censurata in questa sede, che l’attività commerciale di ristorazione era già, definitivamente e non solo temporaneamente, cessata nel 2009, come risultava dalla documentazione versata in atti e che non vi erano elementi, nè questi potevano dirsi sussistenti sulla base dei documenti prodotti dal D. (nè delle utili prove testimoniali risultavano da questi articolate), per potere affermare che l’attività di ristorazione era stata soltanto sospesa e non cessata del tutto.

Infine il terzo mezzo, erroneamente formulato come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e segnatamente della L. n. 392 del 2978, art. 34 ma con riferimento numerico all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 è del pari infondato, ove non inammissibile.

La sentenza d’appello ha escluso che l’indennità di avviamento spettasse al D. sulla base del rilievo, già sopra tratteggiato, e come detto, rimasto privo di utile censura, che l’attività commerciale, nel 2013, anno del rilascio, era oramai cessata da diversi anni, ossia dal 2009. A tanto deve aggiungersi che il conduttore moroso, e tale era il D., non ha diritto all’indennità di cui alla L. n. 392, art. 34 (Cass. n. 15876 del 25/06/2013: il conduttore d’immobile adibito ad attività commerciale, alla scadenza del contratto, resta obbligato al pagamento dei canoni tutte le volte in cui permanga nella detenzione del bene, anche se l’esercizio dell’attività commerciale sia cessato, a nulla rilevando che il locatore sia a sua volta inadempiente all’obbligo di pagamento dell’indennità di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34 salvo che il conduttore costituisca in mora il locatore offrendo, anche in modo informale, la restituzione dell’immobile).

Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Al detto esito segue l’onere delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, sulla parte ricorrente ed in relazione al valore della controversia.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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