Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28000 del 31/10/2018

Cassazione civile sez. II, 31/10/2018, (ud. 03/05/2018, dep. 31/10/2018), n.28000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21205-2014 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIMINI 14

SCALA B, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CARUSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI MANNUCCIA giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.C., in proprio e quale procuratore speciale di

S.A. e S.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA D FILIPPONI 14, presso lo studio

dell’avvocato DIEGO CUSMANO, rappresentato e difeso dall’avvocato

VINCENZO MILORO gusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

LU.AN., LU.GI., LU.AN.PI., LU.MA.PA.,

LU.CA., D.L.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 326/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 05/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/05/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. C.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina Lu.An., Lu.Gi., Lu.An.Pi., Lu.Ma.Pa., Lu.Ca. e D.L.M., assumendo di essere proprietaria, giusta atto di divisione del 20/5/1958, di un appartamento in (OMISSIS) sito al piano terra, ove esiste una bocca di cisterna e che in passato aveva autorizzato C.M., dante causa dei convenuti, ad installare provvisoriamente un motorino per il sollevamento dell’acqua, del quale indebitamente i convenuti continuavano a fruire.

Chiedeva che si accertasse che il suo appartamento era libero da qualsiasi servitù in favore del soprastante appartamento dei convenuti, che andavano quindi condannati ad eliminare il motorino e le tubazioni, oltre che a risarcire i danni.

Si costituiva Lu.An., anche quale procuratore degli altri convenuti, che contestava la fondatezza della domanda ritenendo che sussistesse in ogni caso un diritto di servitù acquistato per destinazione del padre di famiglia.

Assegnata la causa all’istituito Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto e disposta la chiamata in causa di L.A., alla quale nelle more era stata trasferita la proprietà dell’appartamento dei convenuti, il giudice adito con la sentenza n. 593/2006 rigettava la domanda limitandosi a disporre lo spostamento del motorino di sollevamento e la sua collocazione nei locali della L..

A seguito di appello principale di S.C., Alberto e Rosa, succeduti nelle more del giudizio all’attrice, e di appello incidentale degli appellati, disposta la riassunzione del giudizio nei confronti degli eredi di Lu.An., la Corte d’Appello di Messina con la sentenza n. 326/2014 del 5 maggio 2014, accoglieva la domanda attorea, dichiarava il difetto di legittimazione di Lu.An., rigettando per il resto l’appello principale ed incidentale.

Dopo avere dato atto della rituale riassunzione del giudizio di appello a seguito della morte dell’appellato Lu.An., nell’esaminare il primo motivo dell’appello principale, riteneva che la decisione di prime cure fosse erronea nella parte in cui aveva reputato che il bene dell’attrice fosse gravato da servitù in favore del soprastante immobile dei convenuti.

Infatti, l’atto di divisione per notar P. del 20/4/1958 escludeva chiaramente che l’appartamento assegnato a C.G. fosse gravato da una servitù di presa d’acqua in favore dell’immobile invece assegnato alla sorella Maria, la quale fruiva di un’autonoma bocca di presa d’acqua sita all’interno della sua proprietà.

Peraltro l’appartamento dei convenuti era stato edificato dal marito di C.M. in epoca successiva alla divisione, ed era dapprima pervenuto per successione alla dante causa dei convenuti, la quale per testamento lo aveva attribuito ai soli figli Gi., An.Pi., Ma.Pa., Ca. e Mi., per essere poi alienato a L.A..

Tale immobile peraltro fruiva di un diritto di presa d’acqua, giusta atto di donazione del 7 novembre 1978, con il quale C.M. aveva donato al figlio Lu.An. l’appartamento al piano terra, precisando che lo stesso era gravato da servitù di presa d’acqua in favore dell’appartamento soprastante, poi pervenuto alla L..

Ne conseguiva che il bene dell’attrice, poi acquistato dai S. non poteva reputarsi gravato di servitù a favore dell’appartamento posto al piano superiore.

Inoltre era erroneo anche il riferimento di una possibile costituzione della servitù ex art. 1062 c.c., mancando l’elemento fondamentale costituito dall’appartenenza del fondo servente e di quello dominante ad una medesima persona, atteso che l’appartamento al piano superiore era stato oggetto di una costruzione successiva da parte del genitore dei convenuti, il quale non era mai stato anche proprietario dell’appartamento dell’attrice.

L’accoglimento della domanda di negatoria servitutis implicava quindi anche l’assorbimento della censura concernente l’accoglimento della sola richiesta di rimozione del motorino, in assenza di analoga statuizione circa le tubazioni.

Quindi, la Corte distrettuale, dopo avere confermato il rigetto della domanda risarcitoria degli appellanti per carenza di prova, esaminava l’appello incidentale con il quale si sosteneva che l’utilizzo della presa d’acqua rientrava nell’ambito dell’esercizio del diritto di comproprietà sui beni in comunione. La sentenza, tuttavia, pur riconoscendo che la cisterna, posta al disotto dell’appartamento dell’attrice, costituiva un bene comune, escludeva però che il diritto di servirsi del bene comune potesse implicare anche l’imposizione di un peso a carico del bene di proprietà esclusiva degli appellanti.

Era invece reputato fondato il motivo con il quale il solo Lu.An. aveva dedotto il proprio difetto di titolarità passiva, essendo appunto emerso che l’appartamento posto al piano soprastante, inteso quale fondo dominante, era in realtà stato attribuito per testamento a tutti i germani Lu., ma con la sola esclusione di Angelo, il quale aveva già ricevuto in vita la donazione di altro appartamento della C..

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.A. sulla base di due motivi.

S.C., in proprio e quale procuratore speciale di S.A. e Rosa ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e la violazione degli artt. 1026,1102 e 1120 c.c..

Assume la ricorrente che, una volta esclusa l’esistenza di un diritto di servitù nascente dagli atti di provenienza, erroneamente è stata accolta la negatoria servitutis avanzata dalla controparte, in quanto in relazione al potere esercitato sull’immobile di quest’ultima, deve ritenersi che si tratti di una modalità di esercizio della facoltà di godimento del bene comune.

Invero, una volta riconosciuta la natura comune della cisterna sottostante il fabbricato, è erronea l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui il diritto di servirsi del bene comune non può comportare l’imposizione di pesi a carico del bene dell’attrice, disattendendo il dato rappresentato dal fatto che il collegamento idrico tra l’appartamento della ricorrente e la cisterna avviene tramite un motorino di sollevamento e tubazioni che sono incassate nei muri maestri che costituiscono dei beni comuni.

Ne consegue che non poteva essere disposta la rimozione di tali manufatti, che erano funzionali all’esercizio delle facoltà di cui all’art. 1102 c.c..

Il secondo motivo di ricorso denuncia, sempre in relazione alla medesima statuizione, l’omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per essersi reputato che la collocazione delle tubazioni e del motorino costituisse condotta che estrinsecava l’esercizio di un diritto di servitù, senza motivare sul perchè invece non potesse ricondursi nell’ambito di applicazione dell’art. 1102 c.c..

I motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

In primo luogo si rileva che appare del tutto destituita di fondamento la deduzione circa la violazione dell’art. 112 c.p.c., posto che sulla questione concernente la diversa qualificazione giuridica della condotta della ricorrente quale modalità di esercizio del diritto di uso della cosa comune, la Corte di Appello si è espressamente pronunciata, avendo in tal senso provveduto a disattendere il primo motivo dell’appello incidentale con il quale era appunto posta la questione interessata dai motivi in esame.

Così come del pari deve escludersi la ricorrenza di un vizio riconducibile alla previsione di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la censura, lungi dal denunciare l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio, contesta l’esaustività della motivazione sul presupposto che gli elementi di fatto, pur tenuti presenti dal giudice di merito (presenza delle tubazioni e del motorino di avviamento, funzionalizzazione degli stessi all’esigenza di portare l’acqua dalla cisterna all’appartamento della L., natura comune della cisterna) non siano stati adeguatamente valutati, con modalità quindi che evidentemente esulano dal paradigma normativo in base al quale è oggi consentito contestare le eventuali carenze di motivazione delle sentenze di merito.

Passando al merito, ritiene la Corte che la decisione di appello abbia fatto corretta applicazione dei principi in materia di servitù, non potendo consentire una diversa soluzione il richiamo di parte ricorrente alle previsioni in materia di uso dei beni comuni.

Ed, invero,una volta esclusa la ricorrenza di un diritto di servitù di presa d’acqua tramite la bocca della cisterna collocata all’interno dell’appartamento dell’attrice, deve escludersi la liceità della pretesa della L. di poter continuare a conservare il diritto di trarre acqua mediante le attrezzature a tale scopo collocate.

Ed, invero, oltre a doversi rilevare l’apoditticità di alcune affermazioni fatte in ricorso, come quella relativa alla collocazione delle tubazioni all’interno dei muri maestri, avendo il CTU, secondo quanto riportato nello stesso ricorso, riferito solo della collocazione delle tubazioni incassate nella muratura dell’appartamento dei S. (senza però specificare se si tratti di muri maestri), trascura di considerare che il peso indebitamente posto a carico del fondo dell’attrice è proprio quello rappresentato dalla possibilità di sfruttare la presa d’acqua ivi ubicata.

In tal senso, oltre a doversi rilevare che, sempre alla luce di quanto riportato in ricorso quale trascrizione dell’elaborato peritale, il motorino di alimentazione a servizio dell’appartamento della L. è solo incassato nel muro della proprietà attorea, ed è protetto da un semplice telaio in legno, va evidenziato che al motorino è collegata anche una diversa tubazione che consente di pescare l’acqua dalla cisterna attraverso la bocca collocata nell’immobile dei controricorrenti, il che non permette di affermare che la limitazione posta a carico della proprietà attorea si esaurisca nella sola allocazione del motorino e delle tubazioni all’interno delle mura.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto agli intimati che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge; Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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