Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27998 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 31/10/2019), n.27998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1244-2018 proposto da:

VILLA ADRIANA SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo legale

rappresentante e liquidatore R.G., domiciliata ex lege

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato DARIO GRECO;

– ricorrente –

contro

MULTI VESTE ITALY 4 SRL, in persona dei consiglieri delegati LUCA

MELCHIORRE MAGANUCO e RICHARD JOHANNES CORNELIS LANGEVELD,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 133, presso lo

studio dell’avvocato ANTONELLA CESCHI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 742/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 05/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Palermo con sentenza in data 5.6.2017 n. 742 ha rigettato l’appello proposto da Villa Adriana s.r.l. e confermato la decisione di prime cure che aveva ritenute infondate le domande di nullità per mancanza di oggetto e di annullamento per vizio del consenso dei contratti di affitto di ramo di azienda, relativi all’esercizio commerciale di somministrazione di cibi e bevande, stipulati il 23.4.2009 ed il 16.11.2009 tra MultiVeste Italy 4 s.r.l., titolare e gestore del Centro commerciale Palermo FORUM e l’affittuaria Villa Adriana s.a.s. di A.E. nonchè la conseguente domanda di restituzione delle somme erogate per canoni e delle spese effettuate per ristrutturazioni e migliorie, ed aveva invece accolto la domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento formulata dalla concedente con conseguente condanna dell’affittuaria al pagamento dei canoni rimasti insoluti.

La Corte territoriale rilevato che tra le parti era stato concluso un unico contratto di affitto di azienda in data 16.11.2009, con il quale i contraenti avevano inteso regolare anche le condotte anteriori: ha confermato la statuizione del primo giudice che aveva negato la nullità del contratto, avendo accertato la potenzialità produttiva dell’azienda nel complesso degli elementi considerati dalle parti nel contratto di affitto; ha ritenuto infondata la domanda di annullamento del contratto in quanto: 1-eventuali inadempimenti della concedente rispetto all’asserito obbligo di contenere il numero degli esercizi di ristorazioni presenti nel Centro commerciale attenevano al piano della esecuzione del rapporto e nona quello di formazione della volontà negoziale, 2-inoltre condotte decettive poste in essere dalla concedente in ordine alla rappresentazione della viabilità di accesso al Centro commerciale ed alla presenza di numerosi esercizi analoghi, avrebbe richiesto la prova del dolo, e tale domanda non era stata formulata dalla affittuaria, 3-l’allegato errore in cui era incorsa l’affittuaria sui predetti elementi di valutazione era stato reputato irrilevante dal Tribunale in quanto oggettivamente “non riconoscibile” dall’altra parte, e tale accertamento non era stato investito con la impugnazione; ha inoltre confermato la statuizione del primo Giudice che aveva accertato il grave inadempimento della affittuaria al pagamento dei canoni, ritenendo inammissibile la eccezione di compensazione proposta soltanto in grado di appello.

La sentenza della Corte palermitana è stata impugnata da Villa Adriana s.r.l. in liquidazione con ricorso per cassazione affidato ad otto motivi.

Resiste con controricorso MultiVeste Italy 4 s.r.l.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo con il quale la ricorrente deduce il vizio di omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non avere la Corte territoriale riconosciuto che le parti anteriormente alla stipula del contratto di affitto di azienda del 16.11.2009 avevano concluso un altro accordo in dipendenza del quale Villa Adriana s.r.l. aveva corrisposto un’anticipazione del canone, è manifestamente inammissibile per plurime ragioni:

Non viene trascritto il contenuto del primo e del secondo contratto, e neppure della proposta irrevocabile o di altri documenti dai quali risulterebbe la prova dello “scambio proposta/accettazione” affermato dalla ricorrente (ricorso pag. 7 che riproduce in parte l’atto di citazione introduttivo del giudizio), in violazione del requisito di ammissibilità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n..

Non è investita la “ratio decidendi” della sentenza di appello nella parte in cui: 1-ha qualificato come mera proposta irrevocabile, avente ad oggetto la conclusione di un contratto di affitto di azienda, quella formulata da Villa Adriana s.r.l. con atto trasmesso in data 23.4.2009, unitamente all’importo anticipato per canoni relativi al primo trimestre; 2-ha ritenuto che MultiVeste Italy 4 s.r.l. aveva accettato la predetta proposta irrevocabile, entro il termine in essa fissato (gg. 365), mediante la stipula dell’unico contratto perfezionatosi tra le parti – il rogito del 16.11.2009 – nel quale non veniva fatto riferimento ad alcun precedente accordo, essendosi limitati i contraenti soltanto a prevedere, con una clausola di chiusura, l’efficacia novativa del contratto rispetto “a tutti gli accordi precedenti, aventi il medesimo oggetto, eventualmente sottoscritti”, sicchè il rogito non si poneva in relazione di alterità, negandola, ma recepiva anzi il contenuto della proposta irrevocabile, in tal modo dovendo individuarsi un unico titolo giustificativo delle prestazioni eseguite dalla proponente-affittuaria, tanto in ordine al precedente versamento della rata trimestrale dei canoni, quanto alle spese sostenute da Villa Adriana s.r.l. per ristrutturazione ed adeguamento dei locali commerciali, che lo stesso rogito poneva, infatti, a carico dell’affittuaria: la ricorrente non investe idoneamente neppure la statuizione della sentenza di appello secondo cui le spese per l’adeguamento dei locali commerciali, se pure dalla stessa sostenute anticipatamente, sarebbero comunque gravate sull’affittuaria in base alle disposizioni negoziali del rogito, conformi alla proposta irrevocabile. La ipotesi di una cesura nel continuum dell’iter di formazione della volontà negoziale, tale da determinare la insorgenza di distinti rapporti obbligatori, si pone come ricostruzione in fatto alternativa e contrapposta a quella adottata dal Giudice di appello che, nella fattispecie concreta, ha ravvisato, invece, un “iter” unitario ed ininterrotto tra l’atto prenegoziale di proposta irrevocabile e la manifestazione dell’accettazione espressa dall’oblata direttamente con la stipula del rogito, difettando del tutto gli stessi presupposti richiesti per il sindacato del vizio di legittimità denunciato, cui è preclusa ogni rivalutazione del merito.

Non viene indicato il “fatto storico” – principale o secondario – “decisivo” che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare e che se correttamente valutato avrebbe condotto ad una diversa decisione: è appena il caso di osservare che il vizio di legittimità definito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012 applicabile “ratione temporis” – consente di sindacare in sede di legittimità l'”errore di fatto” esclusivamente in relazione all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”: l’ambito in cui opera il vizio motivazionale deve individuarsi, pertanto, nella omessa rilevazione e considerazione da parte del Giudice di merito di un “fatto storico”, principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio e di carattere “decisivo” in quanto idoneo ad immutare l’esito della decisione (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016), non accedendo alla verifica di legittimità la critica alla inadeguatezza del percorso logico posto a fondamento della decisione condotta alla stregua di elementi istruttori extratestuali, residuando oltre alla ipotesi omissiva indicata soltanto la verifica della esistenza del requisito essenziale di validità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), inteso nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6.

Il secondo motivo, con il quale si impugna la sentenza per nullità processuale, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., avendo la Corte territoriale pronunciato extrapetita sulla inesistenza di plurimi accordi, nonostante la condotta non contestativa sul punto della società concedente, è inammissibile ed anche infondato.

Il motivo è inammissibile in quanto:

come rilevato nell’esame del primo motivo, non impugna la statuizione della Corte d’appello secondo cui, tanto la corresponsione dei cannoni anticipati, quanto le spese relative alla ristrutturazione ed adeguamento dei locali, erano stati espressamente posti a carico dell’affittuaria anche nel rogito del 16.11.2009, con la conseguenza che tali somme, anche se corrisposte anteriormente, trovavano comunque titolo giustificativo nel contratto, non potendo pertanto insorgere in ogni caso – anche a volere seguire la ipotesi difensiva – dall’asserito “annullamento e sostituzione” del “precedente accordo” alcuna obbligazione restitutoria relativa a tali somme difetta di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Premesso che la domanda di condanna alla restituzione delle somme anticipate in virtù della proposta irrevocabile, proposta da Villa Adriana s.r.l., aveva infatti quale presupposto la disposizione negoziale di “annullamento e sostituzione” del “precedente” contratto, sicchè era certamente devoluta alla cognizione del Giudice di merito anche la questione concernente la preesistenza di un accordo distinto da quello oggetto del rogito, occorre rilevare, quanto alla censurata inosservanza da parte della Corte territoriale della condotta non contestativa di MultiVeste Italy 4 s.r.l., che la ricorrente si è limitata a trascrivere solo parzialmente alcune proposizioni contenute nella comparsa di risposta in primo grado della concedente, da cui emerge soltanto che tale proposta irrevocabile era stata accettata, senza che ciò tuttavia dimostri l’errore commesso dalla Corte territoriale nello statuire che detta accettazione si era tradotta nella stessa stipula del rogito del 16.11.2009. Vale osservare, peraltro, come la “non contestazione” non può che avere ad oggetto specifici fatti storici e non si estende alla qualificazione giuridica degli stessi o all’accertamento degli effetti giuridici da essi prodotti secondo gli schemi normativi nei quali vengono sussunti: ed infatti, attiene al momento qualificatorio e non all’accertamento del fatto, verificare se una dichiarazione od una condotta materiale integri o meno “atto prenegoziale di accettazione” produttivo dell’effetto costitutivo del vincolo scaturente dal perfezionamento dell’accordo.

Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c., degli artt. 1326, 1351, 1362 e 2556 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo esaminato la Corte d’appello la domanda restitutoria delle somme anticipatamente corrisposte in virtù del “primo accordo” del 24.3.2009, successivamente “annullato e sostituito” dal rogito del 16.11.2009.

Il motivo è inammissibile in quanto, da un lato, censura un vizio processuale di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. che non trova riscontro nella sentenza impugnata: il Giudice territoriale ha, infatti, statuito che le prestazioni eseguite anticipatamente trovavano causa nel contratto di affitto di azienda stipulato il 16.11.2009 e dunque non integravano indebiti pagamenti ripetibili per sopravvenuta privazione della causa giustificativa; dall’altro lato, viene nuovamente a prospettare una diversa ricostruzione della fattispecie negoziale, collocando la proposta irrevocabile – asseritamente accettata – ed il successivo rogito nell’ambito del rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo che tuttavia si pone in termini di mera contrapposizione alla ricostruzione fattuale compiuta dalla Corte d’appello, venendo a richiedere – la parte ricorrente – attraverso la denuncia di plurime violazioni di norme di diritto una inammissibile rivalutazione dei fatti.

Del tutto inesplicata è poi l’asserita violazione dell’art. 2556 c.c. atteso che tanto la proposta irrevocabile quanto il rogito erano assistiti dalla forma scritta, e la Corte d’appello ha affermato che il rogito recepiva la proposta.

Il quarto motivo censura la sentenza di appello, per violazione dell’art. 1326 c.c., in quanto, avendo ritenuto che con la stipula del rogito MultiVeste Italy 4 s.r.l. avesse espresso l’accettazione della proposta irrevocabile, il Giudice di appello era incorso in errore di diritto disconoscendo il precetto normativo secondo cui “un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta”.

Il motivo, non del tutto perspicuo, tende a dimostrare che non vi era esatta coincidenza tra le disposizioni della proposta irrevocabile e quelle del rogito, in quanto quest’ultimo aveva sostituito il “primo accordo”.

La censura va dichiarata inammissibile, in quanto l’errore contestato alla Corte territoriale suppone l’assunto, indimostrato, che vi fossero due distinti accordi il primo dei quali “annullato e sostituito” dal secondo. Tale assunto, come evidenziato nell’esame dei precedenti motivi di ricorso, richiede una rivalutazione del materiale probatorio documentale, in funzione di un nuovo giudizio di merito volto alla ricostruzione della fattispecie negoziale, del tutto estraneo al sindacato di legittimità, strutturato secondo un giudizio impugnatorio a critica vincolata e non come terzo grado di giudizio.

Quanto poi alla mancata riproduzione nel rogito di alcune disposizioni della proposta irrevocabile, la circostanza non appare dirimente a contestare lo schema dell’accordo negoziale ricostruito dal Giudice di appello ove si consideri, da un lato, che il testo della proposta e quello del rogito non sono stati integralmente riportati e dunque non risulta smentita l’affermazione della Corte territoriale secondo cui il contenuto del contratto stipulato il 16.11.2009 “aveva la sua fonte” nelle disposizioni della proposta irrevocabile; dall’altro, che le parti nell’ambito della loro autonomia bene possono apportare integrazioni e modifiche anche ai propri “atti prenegoziali”, venendo a conclusione l’accordo soltanto quando si raggiunga l'”idem placitum consensus”: pertanto, indipendentemente dal momento in cui l’accordo può ritenersi concluso, tali integrazioni e modifiche di per sè non determinano necessariamente “l’annullamento” degli atti compiuti durante la fase delle trattative ed in pendenza del termine di efficacia della proposta irrevocabile, salvo che non risultino oggettivamente incompatibili con l’accordo successivamente raggiunto (e del tutto compatibili con le disposizioni del rogito sono stati considerati dal Giudice di appello sia l’anticipato versamento del canone trimestrale, sia le spese sostenute dalla proponente per l’adeguamento dei locali commerciali).

Il quinto motivo censura la sentenza di appello, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che Villa Adriana s.r.l., allegando condotte mendaci della concedente nella trattative, non avesse richiesto l’annullamento del contratto di affitto del ramo di azienda anche sotto lo specifico vizio del dolo “causam dans”, avendo in tal modo circoscritto il fatto costitutivo della domanda soltanto all’errore della volontà – nella specie escluso dal Giudice di merito in quanto non oggettivamente riconoscibile -, sebbene nell’atto introduttivo in primo grado fosse stata puntualmente richiamata da Villa Adriana s.r.l. anche la categoria del dolo contrattuale e nell’atto di appello tale censura fosse stata riproposta.

Con il sesto motivo viene formulata la medesima critica alla sentenza di appello ma sotto il diverso profilo del vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il quinto motivo è inammissibile, in quanto non coglie la “ratio decidendi”, rimanendo assorbito l’esame del sesto motivo.

La Corte territoriale ha, infatti, certamente errato non riconoscendo che la domanda di annullamento del contratto era stata formulata anche in relazione al vizio-dolo, come emerge evidente dall’atto introduttivo e dall’atto di appello di Villa Adriana s.r.l., ritualmente riprodotti nel ricorso (a pag. 26), nonchè dalla stessa lettura della sentenza del Giudice di merito il quale, peraltro, aveva correttamente riportato, nello svolgimento delle premesse in fatto, che era stata proposta domanda subordinata di annullamento del contratto “in quanto viziato da errore o dolo” (cfr. sentenza appello, in motiv. pag. 2).

Tuttavia l’errore non inficia la decisione, in quanto il nucleo della “ratio decidendi” va individuato nella ritenuta irrilevanza delle prove offerte dalla affittuaria a dimostrazione della mala fede della concedente, laddove nella motivazione della sentenza viene statuito che “tutte le allegazioni relative alle caratteristiche del Centro commerciale come rappresentate in sede di trattative e di cui alle prove invocate (interrogatorio formale….e dei testi escussi)… fanno riferimento ad elementi successivi alla stipulazione del contratto proposizione che si correla all’argomento precedente – volto a dimostrare la infondatezza della domanda di annullamento per errore vizio – e ritenuto “troncante” dal Giudice di appello, secondo cui Villa Adriana s.r.l., avendo avuto pieno accesso ai locali nel periodo intercorso tra la proposta irrevocabile e la stipula del rogito “aveva potuto rendersi conto, in considerazione della continua frequentazione del complesso immobiliare, del fatto che la viabilità di collegamento alla rete autostradale non fosse ancora neppure stata avviata e della presenza di un elevato numero di esercizi di ristorazione nella food court”. Ne segue che riveste carattere meramente ultroneo rispetto a tale “ratio decidendi” – che esclude la stessa possibilità che la volontà negoziale dell’affittuaria possa essere stata sviata in modo fraudolento in relazione ai predetti elementi della viabilità e della presenza di altri concorrenti e che ritiene irrilevanti le prove, in quanto riferite a fatti successivi alla stipula del contratto – l’ulteriore argomento speso “ad abundantiam” e per di più in forma meramente ipotetica (le condotte “configurerebbero” un comportamento mendace; la falsa rappresentazione che “avrebbe” inficiato il processo di formazione della volontà), secondo cui la doglianza avrebbe dovuto essere fatta valere mediante la denuncia del vizio-dolo, risultando quindi del tutto privo di rilevanza sulla legittimità della decisione l’errore omissivo in cui è incorsa la Corte d’appello.

Con il settimo motivo viene dedotto il vizio di omessa esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte d’appello aveva rigettato la domanda di annullamento del contratto per errore della volontà affermando che non era stata impugnata la statuizione del Tribunale secondo cui l’affittuaria era ben consapevole, al momento della stipula del rogito, della situazione e delle caratteristiche del Centro commerciale che sarebbe stato aperto al pubblico dopo sette giorni, essendo invece stata puntualmente contestata tale affermazione sulla scorta della prova orale fornita dal teste M..

Il motivo è inammissibile.

Non risulta chiaro se la ricorrente abbia inteso censurare l’errore di fatto sulla “mancata impugnazione” ovvero l’errore di fatto circa il dato cronologico di apertura al pubblico del Centro commerciale: tale incertezza riverbera negativamente sul requisito di specificità della censura e della chiara esposizione degli elementi in fatto e diritto che debbono supportare la critica svolta con il motivo (art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), determinandone la inammissibilità. In ogni caso, alcun fatto storico decisivo, trascurato dalla Corte d’appello, viene specificamente indicato dalla ricorrente, che si è limitata a riportare le dichiarazioni dei testi escussi, ossia risultanze probatorie che sono state tutte verificate dal Giudice di merito e che non possono in questa sede di legittimità essere riesaminate.

Il convincimento del Giudice di appello formatosi in ordine alla effettiva rappresentazione della situazione concernente la viabilità di accesso al Centro commerciale e la presenza di altri operatori della ristorazione, avuta dalla società Villa Adriana prima della stipula del contratto, “in considerazione della continua frequentazione del complesso immobiliare”, è questione di mero fatto insuscettibile di sindacato da parte del Giudice di legittimità.

Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455, in applicazione analogica degli artt. 1575 e 1578 c.c., per non avere ritenuto la Corte d’appello che costituisse grave inadempimento contrattuale la mancanza, alla data della stipula del contratto 16.11.2009, della “autorizzazione amministrativa”; nonchè violazione falsa applicazione dell’art. 1375 c.c. e del D.P.R. n. 445 del 2000, per avere il Giudice di appello ritenuto che l’affittuaria fosse “obbligata” a rilasciare una dichiarazione mendace alla PA.

Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

Incontestato l’inadempimento della concedente, la quale aveva espressamente assunto, con il contratto, l’impegno ad assicurare il subentro della affittuaria nella licenza commerciale comunale relativa al ramo merceologico di somministrazione di cibi e bevande, atteso che, alla data della stipula del rogito del 16.11.2009, la licenza non era ancora stata richiesta, ed incontestato altresì lo sviluppo cronologico dei fatti (in data 8.1.2010 il Comune di Palermo rilasciava a MultiVeste Italy 4 s.r.l. la autorizzazione amministrativa unica prot. 2010/8106; veniva quindi richiesto, con nota 14.4.2010, dal Comune, al fine di disporre la voltura della licenza, un atto integrativo al contratto di affitto di azienda “che specifichi il momento di trasferimento del ramo di azienda”; il Comune provvedeva a rigettare, con atto in data 6.5.2010, la istanza di subentro e voltura; Villa Adriana s.r.l. rifiutava di addivenire alla stipula dell’atto integrativo al contratto, ritenendo di non dover sottoscrivere, in quanto non veritiera, la dichiarazione secondo cui “il ramo di azienda di cui al contratto si intende trasferito a far data dal giorno successivo a quello di rilascio della predetta autorizzazione con conseguente diritto dell’affittuaria a subentrare nella predetta autorizzazione…..”; il Comune di Palermo provvedeva. pertanto, a disporre la definitiva chiusura dell’esercizio commerciale con provvedimento 26.1.2011), si deve osservare che la Corte d’appello:

– Ha ritenuto non grave l’inadempimento, rigettando la domanda di risoluzione del contratto proposta da Villa Adriana s.r.l., in quanto la mancanza della licenza commerciale non aveva comunque impedito all’affittuaria di svolgere egualmente e proficuamente l’attività economica ininterrottamente fino al provvedimento comunale di chiusura.

Ha ritenuto non giustificato il rifiuto opposto dalla società affittuaria alla sottoscrizione dell’atto integrativo al contratto, necessario a consentire la voltura della licenza, in quanto la dichiarazione che la titolarità del ramo di azienda veniva trasferita “a far data dal giorno successivo a quello del rilascio della predetta autorizzazione” non pregiudicava, nè negava, il fatto che il contratto di affitto, di cui la dichiarazione costituiva mero atto integrativo e non modificativo, aveva iniziato ad esplicare i propri effetti fin dalla data precedente della stipula, e che l’attività economica era stata svolta – sia pure in situazione di irregolarità – fin dalla data di efficacia del contratto.

Orbene la censura di violazione dell’art. 1455 c.c. è inammissibile, in quanto non reca alcuna critica specifica all’argomento, come sopra riferito, svolto dalla Corte territoriale, limitandosi semplicemente, la ricorrente, ad allegare in modo anapodittico la gravità dell’inadempimento.

La censura inerente alla violazione del principio di buona fede nella esecuzione del contratto, è poi del tutto inconferente, non investendo la “ratio decidendi”, ed introducendo anzi un nuovo elemento di indagine, che non risulta sia stato portato alla cognizione del Giudice di merito od abbia costituito oggetto di discussione nei gradi di merito: peraltro neppure risulta dagli atti che Villa Adriana s.r.l. abbia formulato nella controversia domanda di risarcimento del danno da inadempimento subito in conseguenza delle sanzioni pecuniarie irrogate per svolgimento di attività in assenza di licenza commerciale.

La deduzione della violazione del D.P.R. n. 445 del 2000, sul presupposto che nessuno può essere obbligato a rendere dichiarazioni false alla PA, è meramente reiterativa della generica doglianza di non volere accettare il rischio delle sanzioni comminate dalla legge per dichiarazioni non veritiere, ma, anche in questo caso, non viene formulata alcuna critica specifica all’argomento svolto dal Giudice di merito, secondo cui la dichiarazione da sottoscrivere non affermava fatti non corrispondenti al vero, venendo soltanto a distinguere il momento della titolarità formale della gestione del ramo di azienda – coincidente con quello della voltura della licenza – dal momento peraltro ampiamente noto alla PA, proprio in conseguenza delle numerose contestazioni di illecito amministrativo sanzionate e della allegazione alla domanda di voltura del contratto stipulato in data 16.11.2009 – della titolarità sostanziale dell’esercizio dell’attività commerciale risalente alla data del contratto di affitto di azienda.

In conclusione il ricorso va rigettato.

La soccombente è tenuta alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA