Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27997 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 31/10/2019), n.27997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25339-2017 proposto da:

CASA DI CURA PRIVATA VILLA MICHELINO FRA RO SRL, in persona del

Presidente legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato GAETANO NICOTERA;

– ricorrente –

contro

ASP CATANZARO, in persona del legale rappresentante il Direttore

Generale p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA, 2,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA BUCCELLATO, rappresentata e

difesa dall’avvocato NATALINA RAFFAELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1290/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 05/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza in data 5.7.2017 n. 1290, ha accolto l’appello proposto dalla Azienda sanitaria della Provincia di Catanzaro (ASP) ed in riforma integrale della decisione di prime cure ha rigettato la domanda di pagamento dei maggiori corrispettivi fuori budget, per prestazioni specialistiche erogate nell’anno 2007, formulata dalla Casa di cura privata Villa Michelino Fra.Ro. s.r.l., struttura accreditata con il SSR in regime di accreditamento, nonchè la domanda subordinata dalla stessa proposta a titolo di ingiustificato arricchimento, ritenendo:

che il sistema di liquidazione delle prestazioni specialistiche ambulatoriali erogate dalla struttura accreditata, con applicazione dei volumi massimi di prestazioni consentite ed i relativi tetti di spesa, era conforma alla disciplina legislativa di contenimento della spesa sanitaria, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa in ordine alla legittimità dei provvedimenti determinativi dei tetti tariffari che nel caso di specie la società aveva stipulato in data 18.12.2006 il contratto per l’anno 2006 che determinava in Euro 3.568.859,23 il budget previsto per tale anno e disponeva con apposita clausola di salvaguardia la applicazione del medesimo tetto massimo di spesa anche per il successivo anno 2007, fino a che non fosse intervenuta una nuova delibera; il successivo contratto stipulato dalle parti in data 11.12.2007, aveva confermato lo stesso budget del 2006: conseguentemente alcuna lesione dell’affidamento incolpevole poteva addurre la struttura accreditata per il superamento del volume massimo di prestazioni consentito, essendo bene consapevole, al momento della stipula del contratto, di avere già oltrepassato il limite quantitativo previsto che anche la domanda subordinata ex art. 2041 c.c. doveva rigettarsi per le medesime ragioni.

La sentenza di appello è stata impugnata dalla Casa di cura Villa Michelino s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la ASP di Catanzaro.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo viene censurata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 quinquies (nel testo emendato daql D.Lgs. 19 giugno n. 1999, n. 229, art. 7 e modificato dal D.Lgs. 28 luglio 2000, n. 254, art. 8).

La ricorrente reitera gli stessi argomenti posti a base della domanda introduttiva, dunque insistendo nella nullità del contratto (stipulato in data 11.12.2007) in quanto contrario alla norma, definita imperativa, di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies, comma 1, lett. c), che sul piano del rapporto negoziale imponeva alle Aziende sanitarie l’obbligo di stipula preventiva dei contratti con le strutture accreditate, determinando ex ante i volumi di erogazione delle prestazioni agli assistiti del SSR onde consentire una coerente programmazione imprenditoriale che costituisce il presupposto dell’esercizio della libera iniziativa economica in un sistema di concorrenzialità tra imprese. Allega ancora che la ritardata determinazione dei tetti di spesa e dei conseguenti limiti quantitativi del servizio pubblico, inciderebbe sull’affidamento della impresa relativo alla remunerazione delle prestazioni già eseguite, in quanto, se l’ente pubblico, non incontra limiti nella fase autoritativa concernente la programmazione sanitaria, è tenuto invece a rispettare il principio consensualistico nei rapporti negoziali con i privati, sicchè – e questo appare essere il nucleo della censura – doveva ritenersi affetto da invalidità un contratto concluso soltanto al termine dell’anno di riferimento delle prestazioni, senza che fosse adottato preventivamente alcun atto, almeno provvisorio, volto a fissare ex ante i parametri dei limiti di spesa, tanto più considerando che i bilanci di previsione dell’Azienda sanitaria erano stati depositati nel mesi di luglio; l’indefettibile “momento dell’accordo negoziale” non poteva poi rimanere precluso per il solo fatto che nello schema standard del contratto fosse inserita la clausola di ultrattività del tetto di spesa fissato per l’anno precedente, in quanto la norma del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies non legittimava ritardi “a regime” nella stipula dei contratti e tale clausola doveva ritenersi, pertanto, vessatoria.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la “ratio decidendi”. L’assunto difensivo si incentra infatti sul seguente sillogismo:

– il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies, comma 2, prevede che le Aziende sanitarie stipulino accordi con le strutture accreditate (premessa maggiore);

– la fase negoziale è rimessa alla autonomia privata delle parti ed è dunque autonoma rispetto alla predeterminazione del sistema di classificazione delle prestazioni e l’aggiornamento delle relative tariffe, nonchè della definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza e delle relative previsioni di spesa, demandata alle regioni ed alla Amministrazione statale (premessa minore);

– la stipula del contratto, soltanto al termine dell’anno di riferimento delle prestazioni, non giustificata da ritardi connessi alla adozione da parte della regione degli atti di indirizzo e programmazione, è affetta da nullità virtuale ex art. 1418 c.c., comma 3, in quanto violativa dell’esercizio della autonomia negoziale, impedendo alla struttura privata di autodeterminarsi nelle scelte imprenditoriali (conseguenza).

Occorre prendere le mosse dalle coordinate normative di riferimento che sono dettate dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 – come modificato dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 e dal D.Lgs. 28 luglio 2000, n. 254 -, recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 1”:

– “la regione definisce il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza, nonchè gli eventuali livelli integrativi locali” (art. 8 quater, comma 1) e “La qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8 quinquies.” (art. 8 quater, comma 2)

Le regioni, nell’attività di indirizzo e programmazione, definiscono, tra l’altro, “criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura.” (art. 8 quinquies, comma 1, lett. d)).

I contratti con le struttura accreditate debbono tra l’altro indicare “il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, distinto per tipologia e per modalità di assistenza;” (art. 8 quinquies, comma 2, lett. b)), nonchè “il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari e della remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo, da verificare a consuntivo sulla base dei risultati raggiunti e delle attività effettivamente svolte secondo le indicazioni regionali di cui al comma 1, lett. d);” (art. 8 quinquies, comma 2, lett. d))

“Le strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all’art. 8 quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell’ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento.” (art. 8 sexies, comma 1) ed inoltre “sono effettuati periodicamente la revisione del sistema di classificazione delle prestazioni e l’aggiornamento delle relative tariffe, tenendo conto della definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza e delle relative previsioni di spesa, dell’innovazione tecnologica e organizzativa, nonchè dell’andamento del costo dei principali fattori produttivi” (art. 8 sexies, comma 5).

Il sistema di remunerazione disciplinato dalla norma di legge prevede quindi: a) il rispetto del corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari ed ove considerata compatibile con i limiti di programmazione di spesa, anche la remunerazione extra-tariffaria delle funzioni incluse nell’accordo; b) la verifica a consuntivo delle prestazioni effettivamente svolte rispetto al limite dei volumi prestazionali prefissato cui viene commisurata la remunerazione; c) la eventualità che il volume massimo di prestazioni remunerate possa essere – anche nel corso dello stesso anno – rideterminato onde assicurare comunque il mantenimento del tetto di spesa pubblica programmato.

Tanto premesso la giurisprudenza amministrativa, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, non si è occupata soltanto della legittimità dei provvedimenti amministrativi di programmazione e di indirizzo e della loro efficacia retroattiva, ma proprio in considerazione della esigenza di dover contemperare l’interesse pubblico alla organizzazione ed alla erogazione di un servizio sanitario efficiente (secondo livelli essenziali di assistenza uniformi) mediante impiego di risorse finanziarie scarse, e l’interesse privato allo svolgimento dell’attività economica secondo criteri rispondenti ai principi della corretta gestione della impresa e del perseguimento dell’utile secondo attendibili previsioni del rapporto costi/ricavi, è intervenuta a valutare l’impatto che le determinazioni autoritative degli enti pubblici – tanto più se emesse nel corso del rapporto – venivano a produrre sul diritto di autodeterminazione della impresa e sul criterio di economicità della gestione imprenditoriale, e quindi sulle legittime aspettative nutrite dalle strutture accreditate in rodine alla effettiva remunerazione delle prestazioni erogate.

Fermo il principio che la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario, per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, disciplinato dalla L. n. 449 del 1997, art. 2 nonchè la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, è rimessa ad un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale, e non già ad una fase concordata e convenzionale e che “tale attività di programmazione, tesa a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, assume valenza imprescindibile in quanto la fissazione dei limiti di spesa rappresenta l’adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate” (cfr. Adunanza plenaria, sentenza, 12.4.2012, n. 3), il punto critico della vicenda emerso dalla prassi operativa degli enti e delle strutture pubbliche e private coinvolte, è stato individuato nella fisiologica sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, rendendo quindi problematica una programmazione d’impresa in un sistema di tipo concorrenziale.

Al riguardo il Giudice amministrativo ha confermato il proprio orientamento secondo cui la fissazione retroattiva del tetto regionale di spesa anche in una fase avanzata dell’anno, non è ex se illegittima in quanto non comprima in modo definitivo ed irreversibile l’esercizio delle scelte gestionali rimesse alla struttura accreditata, autonomia che può essere salvaguardata attraverso meccanismi di compartecipazione e di adeguato affidamento degli imprenditori sulle future determinazioni amministrative. E’ stato al proposito rilevato che “in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso.” (cfr. Ad. plen., sentenza, n. 8/2006). Tanto evidentemente comporta che gli eventuali scostamenti delle determinazioni sopravvenute non potranno assumere carattere rilevante, ove non si intenda deludere le legittime aspettative degli operatori privati (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza, 27 aprile 2018, n. 2551), salvo che attraverso provvedimenti, anche adottati in via provvisoria, non sia stata anticipata e resa nota preventivamente la esigenza, dovuta al contenimento della spesa pubblica, di procedere ad una decurtazione intesa a rimodulare drasticamente i tetti massimi delle prestazioni erogabili: “L’adozione di tali atti di programmazione provvisoria – conseguente all’esigenza di far fronte ad un sistema che richiede tempi tecnici non comprimibili in relazione alle varie fasi procedimentali previste dalla legge che fisiologicamente si svolgono solo in epoca successiva all’inizio dell’erogazione del servizio – consente, infatti, all’operatore di porre in essere scelte consapevoli sulla base di previsioni attendibili ancorchè suscettibili di limitate correzioni. Viene, in tal guisa, soddisfatta l’esigenza degli operatori di programmare la loro attività, ancor prima dell’approvazione dell’atto definitivo, sulla base di tutti gli elementi conoscibili già nella fase iniziale dell’esercizio di riferimento” (cfr. Ad. plen. 3/2012 cit.).

E si è pertanto precisato che “La tutela delle legittime aspettative degli operatori privati, in coerenza con il fondamentale principio di certezza dei rapporti giuridici, riposa, in primo luogo, sulla valorizzazione dell’affidamento degli operatori economici, sottolineato dalla decisione n. 8/2006 di questa Adunanza, sull’ultrattività dei tetti già fissati per l’anno precedente, salve le decurtazioni imposte dalle successive norme finanziarie. La tutela di tale affidamento richiede, pertanto, che le decurtazioni imposte al tetto dell’anno precedente, ove retroattive, siano contenute, salvo congrua istruttoria e adeguata esplicitazione all’esito di una valutazione comparativa, nei limiti imposti dai tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all’inizio e nel corso dell’anno. Più in generale, la fissazione di tetti retroagenti impone l’osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che assicuri l’equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo, nonchè esige una motivazione tanto più approfondita quanto maggiore è il distacco dalla prevista percentuale di tagli. Inoltre, la considerazione dell’interesse dell’operatore sanitario a non patire oltre misura la lesione della propria sfera economica anche con riguardo alle prestazioni già erogate fa sì che la latitudine della discrezionalità che compete alla regione in sede di programmazione conosca un ridimensionamento tanto maggiore quanto maggiore sia il ritardo nella fissazione dei tetti. Occorre infatti evitare che il taglio tardivamente effettuato possa ripercuotersi sulle prestazioni già erogate dalle strutture nella ragionevole aspettativa dell’ultrattività della disciplina fissata per l’anno precedente, con le decurtazioni imposte dalle norme finanziarie (Cons. Stato, sez. III, decisione n. 1289/2012)…” (cfr. Ad. plen. 3/2012, cit.).

Tanto premesso, occorre osservare come la Corte d’appello di Catanzaro ha ritenuto di escludere una lesione del legittimo affidamento che la struttura accreditata avrebbe riposto nella maggiore quantità – rispetto al tetto fissato per l’anno 2006 – di prestazioni specialistiche ambulatoriali che avrebbe potuto erogare nel corso dell’anno 2007, in quanto: a) il contratto stipulato in data 18.12.2006 (relativo all’anno 2006) conteneva la clausola di ultrattività del tetto di spesa e dei volumi di attività, in esso previsti, da applicarsi anche all’anno seguente 2007, salvo successiva rideterminazione; b) al momento della stipula in data 11.12.2007 del nuovo contratto (relativo all’anno 2007), la struttura accreditata era bene consapevole di quali fossero i limiti di spesa e le prestazioni remunerabili, sicchè rimaneva libera di non sottoscrivere tale contratto ove non avesse inteso assoggettarsi ad essi; c) alcuna lesione dell’affidamento poteva poi in concreto essere invocata, atteso che i nuovi limiti di spesa venivano di fatto a coincidere con quelli fissati dalla clausola di ultrattività.

In relazione a tali “rationes decidendi”, la ricorrente formula una generica censura fondata sulla intempestività della stipula del contratto che, se può in ipotesi evidenziare profili di responsabilità disciplinare dei funzionari pubblici (laddove si ritenga ingiustificato il ritardo del perfezionamento dell’accordo rispetto alla determinazione della regione in data 8.3.2007 relativa alla assegnazione dei budget di spesa, ed al deposito del bilancio di previsione della ASP nel luglio 2007) o inefficienze nel sistema della programmazione della spesa pubblica, non inficia, tuttavia, l’argomento posto a fondamento della decisione, secondo cui la società poteva, comunque, liberamente autodeterminarsi, conoscendo, attraverso la clausola di ultrattività, i limiti -se non altro provvisori- imposti al tetto delle prestazioni erogabili anche nel corso dell’anno 2007, non essendo evidenziati dalla ricorrente violazioni della propria autonomia contrattuale o lesione di diritti scaturenti dal contratto, od anche soltanto una violazione della legittima aspettativa. In assenza di significativi mutamenti a sorpresa dei livelli prestazionali fissati per l’anno 2007 (che risultano del tutto sovrapponibili a quelli già fissati per il precedente anno 2006: cfr. sentenza appello, in motivazione, pag. 5), non è dato, infatti, ravvisare quale sia stata l’incidenza lesiva della ritardata stipula del contratto, risultando del tutto evanescente l’allegata soppressione del “momento negoziate”, atteso che la Corte territoriale ha espressamente esaminato tale questione, ritenendola infondata, in quanto la struttura accreditata bene avrebbe potuto mantenersi entro i volumi già stabiliti nel 2006 oppure non sottoscrivere il nuovo accordo qualora reputato non economicamente conveniente. Al riguardo deve ritenersi pacifica l’affermazione per cui gli operatori privati restano liberi di valutare la convenienza a continuare ad operare in regime di accreditamento accettando le limitazioni imposte, oppure di collocarsi al di fuori del servizio sanitario nazionale e continuare ad operare privatamente (cfr. Corte costituzionale, sentenza 26 maggio 2005, n. 200, che fa leva facoltà di libera scelta della struttura privata, di accettare il limite della fissazione del tetto massimo di spesa sostenibile regolato, nel suo esercizio, dalla L. n. 449 del 1997, art. 32. Si veda altresì: Cons. Stato, sez. III, sentenza, 4 febbraio 2016, n. 450; id. sentenza, 22 maggio 2018, n. 3060).

Difetta in sostanza nel motivo di ricorso l’apparato critico – giuridico che dovrebbe, da un lato, giustificare la tesi della natura “vessatoria” della clausola di ultraattività dei tetti di spesa, essendo – al contrario – tale clausola funzionale ad impedire proprio la lesione dell’interesse dell’operatore privato che, altrimenti, potrebbe determinarsi per effetto della totale mancanza di indicazioni previsionali e della applicazione retroattiva del provvedimento che fissa i nuovi volumi di attività; dall’altro a fondare l’argomento inteso a ricollegare alla “intempestiva” stipula del contratto l’effetto invalidante dell’atto negoziale, essendo appena il caso di osservare che, se la ricorrente ha inteso ricondurre la nullità virtuale alla imperatività della norma di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies e specificamente alla esigenza – da essa implicata – che il contratto debba essere stipulato nella fase di esordio dell’anno cui corrispondono le prestazioni, contenendo gli elementi previsionali di spesa necessari a consentire all’operatore privato di autodeterminarsi nella organizzazione e gestione della impresa, non pare dubbio che, proprio la previsione della clausola di ultraattività e la sostanziale invarianza del tetto di spesa stabilita nell’anno 2007 rispetto a quello del precedente anno, e dunque quegli stessi elementi di valutazione posti a fondamento della decisione impugnata, escludono nel caso di specie – come evidenziato dalla Corte d’appello – una lesione all’esercizio dell’autonomia negoziale e della libera iniziativa economica da parte della struttura accreditata.

Difetta, pertanto, nel motivo di ricorso la formulazione di una chiara critica alle indicate ragioni di decisione della Corte distrettuale, non avendo assolto, pertanto, la ricorrente al requisito di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 a pena di inammissibilità.

Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e 1372 c.c., nonchè dell’art. 2041 c.c. anche alla luce di Cass. SSUU n. 10798/2015.

Sostiene la ricorrente che la validità del contratto stipulato in data 11.12.2007 non potrebbe, comunque pregiudicare il diritto della struttura accreditata ad ottenere la liquidazione dell’indennizzo riconosciuto al colui che, attraverso un sacrificio del proprio patrimonio, va ad accrescere il patrimonio altrui senza che tale attribuzione trovi giustificazione in un rapporto obbligatorio o in un altro fatto od atto idoneo a produrre un vincolo obbligatorio.

Il motivo è infondato.

Esclusa la nullità del contratto stipulato in data 11.12.2007, per le ragioni esposte nell’esame del precedente motivo, l’assunto della ricorrente secondo cui le prestazioni eccedenti dai limiti del tetto di spesa sarebbero per ciò stesso da ritenere “sine causa” e, stante la sufficienza della prova dell’arricchimento a favore dell’ente pubblico, l’effettivo vantaggio patrimoniale da quest’ultimo locupletato determinerebbe per ciò stesso il diritto della struttura accreditata al conseguimento dell’indennizzo, non occorrendo – secondo i recenti arresti del Giudice di legittimità – alcuna manifestazione di volontà espressa od implicita dell’ente arricchito volta a riconoscere la utilitas dell’opera eseguita o della prestazione ricevuta, non può ritenersi fondato in quanto viene a travisare i principi enunciati in subiecta materia da questa Corte.

E’ stato bene messo in luce infatti come la eliminazione dai fatti costitutivi della fattispecie dell’indebito arricchimento nei confronti della PA dell’elemento soggettivo della valutazione -richiesta allo stesso ente pubblico – della “utilitas” della prestazione, non ha escluso che, in tanto può essere avanzata la pretesa indennitari, in quanto la prestazione non sia stata “imposta” al beneficiario, ipotesi che si verifica non solo nel caso di espresso rifiuto a ricevere la prestazione, ma anche nel caso in cui il soggetto sia inconsapevole della esecuzione della stessa (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 4198 del 19/07/1982).

“In tale prospettiva il riconoscimento da parte della P.A. dell’utilità della prestazione o dell’opera può rilevare non già in funzione di recupero sul piano del diritto di una fattispecie negoziale inesistente, invalida o comunque imperfetta – trattandosi di un elemento estraneo all’istituto – bensì in funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del riscontro dell’imputabilità dell’arricchimento all’ente pubblico.

Mentre le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della pubblica amministrazione, che l’espediente giurisprudenziale del riconoscimento dell’utilitas ha inteso perseguire, possono essere adeguatamente coniugate con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato, nell’ambito del principio di diritto comune dell’arricchimento imposto, in ragione del quale l’indennizzo non è dovuto se l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perchè inconsapevole dell’eventum utilitatis.” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 10798 del 26/05/2015, in motivazione; conf. Sez. 1 -, Sentenza n. 15937 del 27/06/2017; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11209 del 24/04/2019, con specifico riferimento alle prestazioni erogate nell’ambio del servizio pubblico sanitario regionale).

Orbene la ricorrente tenta di aggirare l’ostacolo riferendo di avere erogato le prestazioni specialistiche, nel corso dell’anno 2007, trasmettendo regolarmente i tabulati mensili degli utenti, senza avere ricevuto alcuna contestazione da parte dell’Azienda sanitaria.

Indipendentemente da una indagine di fatto su circostanza che non sembra sia stata neppure discussa dalle parti ed il cui accertamento rimane, comunque, precluso a questa Corte, vale osservare come nel caso di specie operasse il rifiuto della Azienda sanitaria, espresso ex ante, a ricevere prestazioni in misura eccedente i limiti di spesa come stabiliti, fin dall’inizio dell’anno 2007, in relazione al tetto massimo del volume di attività già previsto nel precedente anno (clausola di ultrattività) e quindi in relazione alla nuova determinazione assunta dalla GR in data 8.3.2007 n. 169: limiti invalicabili dalla Azienda sanitaria laddove la regione non abbia espressamente disciplinato nell’atto di indirizzo i “criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura” (art. 8 quinquies, comma 1, lett. d)), che presuppone evidentemente la previsione di un apposito stanziamento di spesa.

Tali elementi positivi (la fissazione di un tetto di spesa, quanto meno provvisorio e poi definitivo) e negativi (l’assenza di previsione regionale di prestazioni da erogare anche in eccedenza rispetto al tetto, e quindi remunerabili), escludono che la Azienda sanitaria abbia volontariamente inteso ricevere le prestazioni ulteriori rispetto agli indicati limiti, essendo stato efficacemente osservato come “diversamente, lo strumento indennitario dell’art. 2041 c.c., anzichè ripianare una situazione che ha perduto un corretto equilibrio economico, servirebbe per abusare delle capacità patrimoniali del soggetto cui l’indennizzo viene richiesto” (cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11209 del 24/04/2019). Conforme a diritto deve ritenersi, pertanto, l’affermazione della Corte di merito secondo cui la struttura accreditata non può agire con l’azione sussidiaria ex art. 2041 c.c. per conseguire l’indennizzo di prestazioni erogate in eccedenza, pur essendo consapevole, fin dall’inizio dell’anno 2007, di quale fosse il volume massimo stabilito in relazione al limite della spesa sanitaria sostenibile.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente è tenuta alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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