Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27996 del 16/12/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 27996 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: PICCIALLI LUIGI

Data pubblicazione: 16/12/2013

SENTENZA

sul ricorso 6939-2013 proposto da:
CRISTINI ALDO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
2013

BRUNO BUOZZI 36,

622

AFELTRA, che lo rappresenta e difende unitamente

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

all’avvocato RONCO MAURO, per delega in calce al
ricorso;
– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE,
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 177/2012 del CONSIGLIO NAZIONALE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/12/2013 dal Consigliere Dott. LUIGI
PICCIALLI;
udito l’Avvocato Roberto AFELTRA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

FORENSE, depositata il 29/11/2012;

n. 6939.13
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di varie segnalazioni di avvocati ed ordini professionali forensi il Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Milano sottopose a procedimento disciplinare il proprio
iscritto,avvocato Aldo Cristini,abilitato al patrocinio in Cassazione,per “essere venuto meno

4 umero imprecisato di colleghi … prossimo a 20.000 …” , un comunicazione,con la quale
proponeva una convenzione annuale dal costo di £ 1500,00 oltre I.VA.,con la quale gli
interessati avrebbero potuto ottenere,da uno dei legali dello studio del proponente,la
rappresentanza “per una volta avanti all’Ecc.ma Corte di Cassazione in Roma e per una
volta presso il Tribunale di Torino, Milano o Roma. I giovani avvocati non abilitati avanti la
Suprema Corte potranno inoltre richiedere allo Studio la sottoscrizione dei motivi di ricorso
per Cassazione da loro stessi predisposti”.
All’esito dell’istruttoria,nel corso della quale l’incolpato,in relazione all’addebito relativo
alle prospettate modalità di proposizione dei ricorsi per cassazione,si era difeso, presentando
anche memorie, sostenendo che sul punto il riportato contenuto dell’annuncio fosse frutto di
equivoco,in cui era incorsa la società incaricata per la relativa diramazione, con
provvedimento del 13 ottobre 2008 il COA di Milano,ravvisata la sussistenza della grave
trasgressione disciplinare consistita nell’aver proposto la sottoscrizione di ricorsi di
legittimità predisposti da soggetti non muniti del relativo jus postulandi e,tenuto conto delle
attenuanti “scuse “presentate dall’avv. Cristini e della circostanza che la proposta non aveva
avuto alcun seguito,gli irrogò la sanzione della censura.
All’esito dell’impugnazione dell’avv. Cristini,cui non aveva resistito il COA milanese,con
sentenza del 26.4-29.11.2012 il Consiglio Nazionale Forense rigettava il ricorso.
Con riferiment

otivo deducente la violazione del principio di corrispondenza tra la

contestazione e la motivazione,nel disattenderlo,i1 COA evidenziava come la menzione nel
1

ai doveri di probità e correttezza,per avere trasmesso a mezzo posta elettronica ad un un

capo d’incolpazione del violato dovere di probità rendesse irrilevante la mancata indicazione
del relativo articolo 5 (oltre al 6 ,relativo al dovere di correttezza).
Analogamente priva di rilevanza era la censura deducente la mancata indicazione nel capo
dell’art. 21 (relativo al divieto di agevolare in modo diretto o indiretto l’esercizio della
professione ai non abilitati),ritenuto violato in motivazione,considerato che la relativa

Escludeva,ancora,i1 giudice disciplinare che si fosse addebitato all’incolpato una mera,non
attuata,intenzione,considerato che era l’offerta in sé a comportare la consapevole violazione
dei doveri deontologici in questione
In punto di fatto,i1 CNF concordava con il COA sull’inequivoca chiarezza testuale della
censurata proposta,la cui attuazione si sarebbe tradotta nell’aggiramento,mediante il solo
conferimento di procura all’incolpato, dei limiti relativi all’esercizio della professione di
legali non abilitati al patrocinio di legittimità.
Anche la scelta della sanzione veniva ritenuta adeguata,avendo tenuto adeguato conto,da un
lato, della gravità della “molteplice violazione dei doveri di correttezza e probità e della
ulteriori regole deontologiche..”, dall’altro del mancato seguito alla proposta e del successivo
comportamento dell’incolpato.
Avverso tale sentenza l’avv.Cristini ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Non ha resistito l’intimato Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano.

MOTIVI DELLA DECISIONE
§1. Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte “illegittimità della decisione-Violazione
di legge anche sotto il profilo della motivazione su fatto decisivo della controversia Art. 360
numero 2 e 5 c.p.c.,in relazione agli artt. 5,6,21 Codice deontologico ed all’art.
36,co.6,L.31.12.2012 n. 247 (Ordinamento della professione forense).

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inosservanza era desumbile chiaramente dai fatti enunciati nell’addebito.

§ 1.1 Dopo una premessa normativa,con riferimento al contenuto degli artt. 5,6 e 21 del
codice deontologico forense,si sostiene che la violazione dei doveri di lealtà e correttezza e
del divieto di agevolazione dello svolgimento di attività professionale da parte di soggetti
non abilitati ricorrerebbe esclusivamente nei casi in cui la condotta si concreti nel

era stata la sottoscrizione di alcun motivo di ricorso,conseguente all’eventuale rilascio di
procura speciale,l’odierno ricorrente sarebbe stato illegittimamente sanzionato per un fatto
non rilevante sotto il profilo disciplinare,in quanto costituente al più un mero tentativo di un
illecito,che la norma sanzionerebbe solo in ipotesi di “consumazione del fatto”.
Le censure sono prive di fondamento,alla luce della costante giurisprudenza di queste S.U.
(v.,in particolare,sent. nn.1904/2002,10601/2005,37/2007,2302072011),secondo cui il
principio di stretta tipicità dell’illecito,proprio del diritto penale,non trova applicazione nella
materia disciplinare forense,nell’ambito della quale non è prevista una tassativa elencazione
dei comportamenti illeciti non conformi,ma solo quella dei doveri fondamentali,tra cui
segnatamente quelli di probità,dignità e decoro (art. 5 Codice Deontologico Forense),lealtà e
correttezza (art. 6 cod. cit.),ai quali l’avvocato deve improntare la propria attività,sia
professionale,sia non professionale (v.,a tal riguardo l’art. 5 II),la cui violazione,da accertarsi
secondo le concrete modalità del caso,dà luogo a procedimento disciplinare.
In particolare,con la citata sentenza n. 10601 del 2005 è stato precisato che anche il tentativo
di compiere un atto professionalmente scorretto,in quanto lesivo dell’immagine
dell’avvocato, costituisce di per sé una scorrettezza, come tale disciplinarmente rilevante.
Nel caso di specie,dunque,correttamente il C.N.F.,sulla scorta di un incensurabile
apprezzamento dei fatti accertati e di adeguata valutazione degli stessi,alla stregua dei citati
doveri di probità e correttezza professionale,ha confermato l’illiceità della condotta posta in
essere dall’avvocato Cristini,che,sebbene non pervenuta alla “consumazione”,nel senso
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compimento di atti processuali. Non essendosi ciò verificato nel caso di specie,in cui non vi

preteso dal ricorrente secondo un’improponibile accezione penalistica (richiedente la
verificazione di un “evento”),è stata ritenuta chiaramente finalizzata a realizzare un
comportamento espressamente vietato dal citato codice deontologico,all’art. 21 n.II,
configurante l’illiceità disciplinare del “comportamento dell’avvocato che agevoli,o,in

qualsiasi altro modo diretto o indiretto,renda possibile a soggetti non abilitati o sospesi

§ 1.2. Sotto diverso profilo,si lamenta l’inadeguata valutazione della parola “predisposti”
contenuta nella proposta,i1 cui significato non sarebbe univocamente comprensivo della,
redazione finale dell’atto,bensì limitato alla stesura di una bozza,finalizzata alla definizione
del ricorso, che l’avvocato abilitato,espressamente incaricato dalla parte,avrebbe poi trasfuso
nei motivi.
La doglianza è palesemente inammissibile,non solo per la chiara attinenza ad un’attività
riservata al giudice dei merito,quella della valutazione delle risultanze documentali,nelle
quali peraltro il COA ed il CNF si sono attenuti,in cospetto di un atto dall’inequivoco tenore
letterale, al principio in claris non fit interpretatio,ma anche perchè introduce una censura
nuova,che non trova riscontro nella linea difensiva dell”incolpato,che aveva,inizialmente
dedotto,senza fornire alcun elemento di riscontro,la tesi di un)erronea formulazione del testo
dell’offerta da parte della società incaricata della relativa diramazione per via informatica.
§ 2. Con il secondo motivo il ricorrente,in subordine, deduce “violazione di legge-art. 360 n.
2 c.p.c. in relazione all’art. 36,co6,L.31.12.2012 n. 247 (Ordinamento della professione
forense),dolendosi della ritenuta severità trattamento sanzionatorio,che avrebbe dovuto
essere limitato a quello minimo dell’ammonimento,tenuto conto che si era trattato di un
trasgressione rimasta allo stato di mera inattuata intenzione.
Il motivo è inammissibile,deducendo una censura in fatto,relativa all’esercizio di un potere
discrezionale riservato al giudice di merito,in un contesto normativo non prevedente la
corrispondenza delle varie sanzioni disciplinari alla tipologia delle violazioni,lasciando così
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l’esercizio della professione …” .

la relativa scelta all’organo disciplinare e demandando al giudice speciale il successivo
controllo,con il solo limite,implicito alla natura giurisdizionale di siffatta verifica,di fornire
un’ adeguata motivazione.
A tale compito,nella specie,non si è sottratto il CNF,laddove,come si è accennato in
narrativa,ha,da una parte considerato l’evidente notevole gravità,sia sotto il profilo

eclatante notorietà negli ambienti professionali forensi,tendente all’aggiramento delle
rigorose norme regolanti lo ius postulandi presso le giurisdizioni superiori,dall’altra la
circostanze che la proposta non aveva trovato concrete adesioni esitate in atti giudiziari e
del pentimento manifestato dal professionistia,che si era “scusato dell’accaduto”.
Tale,palesemente equilibrata valutazione,in quanto indenne da lacune argomentative o vizi
logici,risulta dunque esente da ogni censura nella presente sede di legittimità.
§ 3. Il ricorso va,conclusivamente,respinto.
§ 4. Non vi è luogo,infine,a regolamento delle spese,non avendo il COA di Milano resistito
all’impugnazione; né si applica l’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002,inserito
dall’art.1,comma 17 della L. n. 228 del 2012,essendo il processo esente dal contributo
unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così,.dec iso,a sezioni unite,in Roma il 3 dicembre 2013.
Il don

.est.

soggettivo,sia sotto quello oggettivo,dell’iniziativa,di vaste proporzioni ed assurta ad

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