Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27994 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 31/10/2019), n.27994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22168-2017 proposto da:

MINISTERO POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, (OMISSIS) in

persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.F., in qualità di titolare dell’azienda agricola

CHIUSA GRANDE, A.E. titolare dell’azienda agricola omonima,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTELLO 20, presso lo studio

dell’avvocato MARCO DI CENCIO, rappresentati e difesi dall’avvocato

PEPPINO POLIDORI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1217/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 20/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

Che:

1. Il Ministero delle Politiche Agricole ricorre, affidandosi a tre motivi, per la riforma della sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila che, riformando la pronuncia del Tribunale ed affermando la sua legittimazione passiva, negata in primo grado, aveva accolto la domanda proposta da A.E. e D.F. per ottenere la corresponsione degli importi stanziati in loro favore a titolo di finanziamento residuo relativo al Programma Cee Operativo Multiregionale Obiettivo 1 al quale erano stati ammessi a seguito di presentazione di un progetto esecutivo di “riconversione culturale”.

2. Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,”la violazione dei principi in tema di legittimazione passiva, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c.”.

1.1. Lamenta che la Corte territoriale aveva erroneamente affermato la sua legittimazione, sostenendo che aveva diretta responsabilità nei confronti dei beneficiari, laddove, invece, i rapporti di natura finanziaria ed organizzativa dovevano essere ricondotti alla UnionCoop, soggetto attuatore del programma che aveva agito in autonomia, assumendo in tal modo nei confronti della Comunità Europeala responsabilità diretta delle condotte omissive e commissive poste in essere.

1.2. Critica, ancora, la ritenuta applicazione dell’art. 1228 c.c., disciplinante la responsabilità per fatto degli ausiliari, ritenendo che il caso in esame non potesse ascriversi alla fattispecie alla quale i giudici d’appello si erano riferiti.

1.3. Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha recentemente ribadito il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui “in tema di finanziamenti erogati ai sensi del Regolamento (CEE) n. 2052/88 del Consiglio del 24 giugno 1988, il beneficiario, purchè individuato soggettivamente secondo le procedure nazionali – in caso di positivo riconoscimento dell’avvenuta realizzazione del programma e della spettanza del contributo -, è titolare di un diritto soggettivo di fonte comunitaria a percepire il contributo cofinanziato dalla Comunità e dallo Stato membro e ad azionarlo direttamente nei confronti dell’organismo responsabile dell’attuazione del programma che, qualora si avvalga di soggetti attuatori delegati con provvedimenti interni, è responsabile ai sensi degli artt. 2043 e 2049 c.c. e degli artt. 21 e 23 dei Regolamenti (CEE) n. 4253/88 del Consiglio del 19 dicembre 1988 e n. 2082/93 del Consiglio del 20 luglio 1993, succedutisi nel tempo, per il fatto illecito dei predetti soggetti, sia a titolo “di culpa in eligendo”, per aver preposto al compito un soggetto inadeguato, sia di “culpa in vigilando”, per non aver adeguatamente sorvegliato l’attività del preposto; in entrambe le ipotesi la diligenza dovuta va commisurata alla natura dell’attività esercitata ex art. 1176 c.c., comma 2″ (cfr. Cass. 6525/2019).

1.4. La ricostruzione prospettata, tuttavia, non toglie validità al un precedente arresto, richiamato correttamente dalla Corte territoriale e pronunciato su una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, secondo il quale nei casi in cui il Ministero si era impegnato a corrispondere ai beneficiari del programma finanziato le somme dovute,doveva ritenersi responsabile dell’attuazione di esso, essendo l’Unioncoop un ausiliario chiamato a prestare soltanto assistenza e collaborazione per la realizzazione del programma (cfr. Cass. 23272/2014 in motivazione).

1.5.In buona sostanza, il beneficiario del finanziamento, dopo la verifica dei requisiti che costituiscono il presupposto per ottenerlo, diviene titolare di un diritto soggettivo perfetto nei confronti dello Stato, rappresentato dal Ministero competente che, pur avvalendosi di ausiliari per l’attuazione e la realizzazione del programmadiventa l’unico responsabile dell’erogazione del finanziamento stanziato, sia sotto il profilo extracontrattuale che rispetto a quello contrattuale, correttamente riscontrato dai giudici d’appello nel richiamare in via interpretativa, per il caso in esame, la fattispecie di cui all’art. 1228 c.c.

Si osserva, al riguardo, che questa Corte ha affermato che, anche se non tutti i soggetti della cui attività il debitore si avvalga per l’adempimento della propria obbligazione sono suoi ausiliari nei termini indicati dall’art. 1228 c.c., possono, invece, considerarsi tali coloro che agiscono su incarico del debitore ed il cui operato sia assoggettato ai suoi poteri direttivi e di controllo, a prescindere dalla natura giuridica del rapporto intercorrente tra di essi ed il debitore medesimo, ovvero allorchè sussista un collegamento tra l’attivitàdell’ausiliario e l’organizzazione del debitore della prestazione (cfr. Cass. 1456/2010; Cass. 13953/2007), collegamento che, nel caso di specie, è stato correttamente riscontrato dalla Corte territoriale proprio in relazione ai compiti affidati ed alla responsabilità, rimasta comunque intatta, del Ministero: responsabilità che, nel caso di specie, è stata logicamente ricondotta dai giudici d’appello anche alla “nota del 4.6.2001 con la quale era stato comunicato a tutti i beneficiari che con DM 6560 del 30 ottobre 1998 era stata revocata alla Unioncoop la qualifica di soggetto attuatore”, con la quale il Ministero si era assunto il compito di erogare il contributo ancora dovuto.

1.6. La Corte territoriale ha dato seguito ai principi sopra richiamati, inquadrando correttamente le fattispecie applicabili e rendendo una motivazione ben al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. SUU Cass. 8053/2014): la censura, pertanto, prospettando un errore interpretativo inesistente, maschera una richiesta di rivisitazione di merito di una questione già esaminata, non più consentita in questa sede (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 18712/2018).

2. Con il secondo motivo, ancora, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. in punto di prescrizione:contesta che la diffida di pagamento e messa in mora del 4.6.2001 costituisca riconoscimento di debito.

2.1. La censura è riferita alla statuizione della Corte che, dopo aver precisato che la natura contrattuale del rapporto imponeva l’applicazione della prescrizione decennale, aveva ritenuto di farla decorrere, formulando una ipotesi interpretativa meno vantaggiosa per i ricorrenti, dalla data di messa in liquidazione della Unioncoop (9.7.1997) menzionando solo incidentalmente (ed in subordine) la data successiva (del 4.6.2001) in cui il Ministero aveva diramato la nota richiamata al cpv 1.5.: ed aveva concluso che il termine di prescrizione era stato comunque tempestivamente interrotto dagli appellanti.

2.2. Tanto premesso, la censura è inammissibile sia per mancanza di autosufficienza, sia perchè, per come è stata proposta, mostra di non aver colto la ratio decidendi della statuizione: la Corte territoriale, infatti, lungi dall’assegnare alla comunicazione oggetto di contestazione, il preteso valore ricognitivo (del debito), ha correttamente ricostruito le cadenze temporali necessarie per decidere l’impugnazione incidentale spiegata in punto di prescrizione, attribuendo efficacia interruttiva non alla nota del 4.6.2001 ma ad un diverso atto e cioè la diffida di pagamento e la messa in mora del 19.10.2005 che, pertanto, in relazione ad entrambe le ipotesi di decorrenza era idoneo ad impedire che il termine spirasse.

La critica prospettata risulta, pertanto, incoerente rispetto alla decisione.

3. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n 4 per omessa pronuncia e conseguente nullità della sentenza: lamenta che non era statoaffatto esaminato il motivo prospettato dal Ministero sul quantum debeaturspettante al D., e che era stata riconosciuta una somma (Euro 82.000.00) superiore a quella spettante (Euro 70.000,00).

3.1. Lamenta, in sostanza, che la Corte non aveva affatto esaminato il secondo motivo di appello incidentale condizionato con il quale, in relazione alla posizione del beneficiario del finanziamento, era stato chiesto che, nell’ipotesi di accoglimento dell’appello principale, l’importo da pagare venisse ridotto, prospettando un più esatto calcolo di riconversione monetaria.

3.2. Il motivo è fondato.

3.3. Premesso che la sentenza impugnata riporta le conclusioni assunte nell’appello incidentale condizionato del Ministero (cfr. pag. 3 terzo cpv della sentenza impugnata) con il quale veniva richiesta la riduzione dell’importo da pagare ” ad Euro 70.426,69″, si osserva che, effettivamente, la Corte territoriale dopo aver accolto l’appello principale – non ha affatto esaminato la censura condizionata, limitandosi a riportare nel decisum la somma inizialmente richiesta, indicata nel medesimo importo anche in dispositivo, senza affatto prendere in considerazione l’istanza di riduzione e senza motivare su un’eventuale rigetto di essa (cfr. ex multis Cass. 28308/2017; Cass. 18797/2018).

4. La sentenza, pertanto, deve essere, in parte qua, cassata per omessa pronuncia, con rinvio alla Corte d’Appello dell’Aquila, in diversa composizione, per il riesame della controversia in relazione al motivo accolto ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte,

accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila per il riesame della controversia in relazione al motivo accolto ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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