Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27994 del 31/10/2018

Cassazione civile sez. II, 31/10/2018, (ud. 17/04/2018, dep. 31/10/2018), n.27994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24524-2013 proposto da:

EDILDECOR, di C.C. & C. s.n.c., in persona del suo

legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocato LITA C. CAMAIONI, ed elettivamente domiciliata presso

lo studio dell’Avv. Maria Vittoria Massi, in ROMA, VIA TIMOCLE 135;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli Avvocati PIETRO

TORRICELLI e FRANCO SABATINI, ed elettivamente domiciliato presso lo

studio di quest’ultimo, in ROMA, VIALE GORIZIA 14;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 938/12 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 9/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/04/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento dell’ottavo

motivo di ricorso principale e del secondo motivo del ricorso

incidentale;

udito l’Avvocato AUGUSTO SINAGRA, per delega, per il

controricorrente, ricorrente incidentale, che ha concluso come in

atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il CONDOMINIO (OMISSIS) citava in giudizio avanti al Tribunale di Bologna la EDILDECOR di C.C. & C. s.n.c. chiedendo dichiararsi la risoluzione del contratto di appalto stipulato tra le parti in data 18.6.1988, avente ad oggetto lavori di ristrutturazione dell’edificio, per un importo concordato di L. 70.613.000, a causa dell’inadempimento della società convenuta, e la condanna della stessa al risarcimento dei danni subiti dal Condominio, da accertare in corso di giudizio mediante consulenza tecnica.

Si costituiva la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda attrice e formulando domanda riconvenzionale al fine di ottenere il pagamento dei lavori eseguiti, che era quantificato in L. 35.000.000.

Disposta C.T.U. al fine di accertare la sussistenza dei vizi dei lavori in contestazione e precisate le conclusioni, con sentenza n. 2915/2004, depositata in data 13.10.2004, il Tribunale di Bologna accoglieva la domanda di parte attrice e condannava Edildecor s.n.c. al risarcimento dei danni in favore del Condominio per L. 31.456.737, oltre interessi al tasso legale dall’1.5.1991 al saldo e rifusione delle spese di lite; rigettava la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta in quanto non provata.

La sentenza veniva impugnata davanti alla Corte d’appello di Bologna dalla Edildecor che ne chiedeva la riforma, previa rinnovazione della C.T.U., con la condanna del Condominio al pagamento in favore dell’appellante dei lavori eseguiti quantificati in Euro 32.489,01, oltre interessi e rivalutazione monetaria o, in subordine, alla minor somma di Euro 22.759,79, oltre interessi e rivalutazione e al risarcimento dei danni per un importo da determinare in via equitativa pari a Euro 15.000,00, nonchè alla refusione delle spese di lite.

Resisteva la parte appellata, opponendosi alla rinnovazione della C.T.U., chiedendo il rigetto dell’appello e, in via riconvenzionale, il riconoscimento di ulteriori somme a titolo di risarcimento del danno in favore del Condominio per L. 5.672.412, pari a Euro 2.929,55, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Con sentenza n. 938/2012, depositata il 9.7.2012, la Corte d’appello di Bologna, in parziale accoglimento del gravame, dichiarava la risoluzione del contratto di appalto stipulato tra le parti il 18.6.1988; dichiarava tenuta la Edildecor s.n.c. al risarcimento del danno in favore del Condominio per Euro 16.246,05; dichiarava il Condominio tenuto al pagamento in favore della Edildecor s.n.c., a saldo dei lavori eseguiti, della somma di Euro 13.142,80 e, previa compensazione dei rispettivi crediti, determinava il credito residuo dovuto da Edildecor s.n.c., a titolo di risarcimento del danno, in Euro 3.103,25 e condannava l’appellante al pagamento di tale somma in favore dell’appellata, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; rigettava le ulteriori domande; compensava le spese di lite per entrambi i gradi di giudizio.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso la Edildecor sulla base di dieci (rectius: undici) motivi, cui ha resistito il Condominio (OMISSIS) con controricorso e con la proposizione di ricorso incidentale sulla base di tre motivi. Entrambe le part hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’intero ricorso principale, ex art. 366 c.p.c., proposta dal controricorrente in ragione della lamentata mancanza di alcuna esposizione dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali; di alcun motivo che possa definirsi specifico e specificamente collegato alle evocate molteplici norme di diritto; di alcuna specifica indicazione degli atti processuali, di documenti e di contratti; così da devolvere indiscriminatamente l’intera statuizione e motivazione della sentenza impugnata alla valutazione della Suprema Corte, senza la minima scrematura, selezione e/o distinguo. Ritiene il Collegio che – seppure non sempre in coerenza con i richiamati requisiti di cui all’art. 366 c.p.c. – non si configurino, quanto all’intero ricorso principale (del quale verrà accolto l’ottavo motivo: v. ultra), i dedotti vizi di specificità, completezza e riferibilità alla sentenza impugnata, riguradando essi semmai alcuni singoli motivi di impugnazione.

2. – Con il primo motivo, la ricorrente principale deduce l'”oblio nella sentenza dei fatti giuridicamente rilevanti documentali (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1453,1454,1455,1460 e 2697 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5) Sulla illegittimità della risoluzione del contratto per la stimata equivalenza degli inadempimenti e per la scarsa importanza dell’inadempimento dell’Impresa”. Sostiene la ricorrente che è errata la motivazione della sentenza nella misura in cui riconduce solo all’inadempimento dell’Impresa la causa della risoluzione del contratto, salvo statuire nel dispositivo che anche il Condominio si era reso inadempiente negando il pagamento del corrispettivo. Viceversa, i due inadempimenti reciproci avrebbero dovuto portare alla condanna del Condominio al pagamento del corrispettivo maturato e al risarcimento del danno per recesso unilaterale, ai sensi dell’art. 1671 c.c..

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Anche al di là di ogni considerazione (che vale per tutti i motivi dell’impugnazione in via principale) in ordine alla formulazione promiscua del motivo, per violazione di legge e vizio di motivazione – con la quale si prospetta una medesima questione sotto aspetti tra loro eterogenei ovvero incompatibili, quale quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o della falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione – non può sottacersi che la doglianza palesa rilevanti profili di inammissibilità giacchè mira a pervenire, per il tramite della contestazione delle risultanze probatorie acquisite e della valutazione delle stesse operata dalla Corte d’appello, ad una rivisitazione del merito della decisione non consentita nella presente sede di legittimità, limitandosi la ricorrente ad esporre un’interpretazione del quadro probatorio a sè favorevole al solo fine di indurre il convincimento che l’adeguata valutazione di tali fonti probatorie avrebbe giustificato la reiezione della domanda attorea (Cass. n. 3752 del 2018). Infatti, quando la censura sollevata sia diretta al mero riesame del merito della causa, essendo (come nella specie) incentrata sulla contestazione della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, il motivo deve essere dichiarato inammissibile, atteso che i poteri della Corte di cassazione non possono investire il merito della controversia, ambito (questo) riservato al potere esclusivo del giudice di merito, ma soltanto i profili di legittimità attinenti alla controversia medesima (cfr. Cass. n. 18819 del 2017; Cass. n. 29404 del 2017).

3. – Con il secondo motivo, la ricorrente principale lamenta l'”oblio nella sentenza della domanda e delle allegazioni dell’Impresa (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 99,112,113 e 115 c.p.c. e artt. 1671,2043,1453,1454,1455,1460 e 2697 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5). Sulla illegittimità della mancata pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno formulata dall’Impresa”. Osserva la ricorrente che, in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, l’Impresa aveva chiesto il pagamento del corrispettivo maturato e il risarcimento del danno, ma su quest’ultima domanda la Corte di merito non si è pronunciata, nonostante lo spossessamento del cantiere e l’affidamento dei lavori ad altra impresa: tali circostanze erano suffragate in dati documentali, non presi in considerazione, che attestavano un grave inadempimento del Condominio, che recedeva unilateralmente dal contratto, sebbene avesse chiesto al Giudice la risoluzione, e che avrebbero fondato una pronuncia di condanna al pagamento del debito contrattuale e per il recesso unilaterale.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Ribadite le considerazioni in ordine alla non rituale formulazione promiscua del motivo, per violazione di legge e vizio di motivazione relativamente a molteplici norme sostanziali e processuali (v. sub 2.2.), il motivo è carente di autosufficienza, in mancanza di una esatta indicazione e doverosa trascrizione (eventualmente solo in parte qua) della asserita, ma non meglio precisata, documentazione cui fa riferimento la ricorrente.

Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dello stesso, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresì Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso). Pertanto, il ricorrente ha l’onere di evidenziare – mediante anche l’integrale trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012).

4. – Con il terzo motivo, la ricorrente principale lamenta l'”oblio nella sentenza della domanda e delle allegazioni dell’Impresa (art. 360, n. 3, in relazione agli artt. 99,112,113 e 115 c.p.c. e artt. 1671,1453,1454,1455,1460 e 2697 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5)”, là dove il Giudice avrebbe omesso di indicare il fatto decisivo e pacifico che l’Impresa aveva sospeso i lavori per il mancato pagamento della somma pattuita, e che quindi il Condominio, dopo aver richiesto la risoluzione del contratto al Giudice, aveva receduto unilateralmente, costringendo l’Impresa a proporre ricorso ex art. 700 c.p.c.. Avrebbe dovuto, quindi, essere rigettata l’azione risolutoria dato il gravissimo inadempimento del committente; sicchè la pretermissione del fatto pacifico dello spoglio del cantiere ha comportato l’illegittimità della decisione.

4.1. – Il motivo non è ammissibile.

4.2. – Valgono le stesse considerazioni svolte in ordine alla formulazione promiscua del motivo, per violazione di legge e vizio di motivazione relativamente a molteplici norme sostanziali e processuali (v. sub 2.2.), nonchè in ordine alla mancata autosufficienza del motivo medesimo, in cui non si riportano in alcun modo i riferimenti necessari onde venire a conoscenza dei tempi, dei presupposti, dello svolgimento e degli esiti precisi, in particolare, del procedimento cautelare richiamato dalla ricorrente.

5. – Con il quarto motivo, la ricorrente principale deduce l'”oblio nella sentenza della domanda e delle allegazioni dell’Impresa (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 99,112,113 e 115 c.p.c. e artt. 1453,1454,1455,1460 e 2697 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5). Sulla illegittimità della mancata pronuncia sulla domanda di adempimento formulata dall’Impresa”. Secondo la ricorrente, la condanna del Condominio al pagamento del saldo dei lavori non costituì il thema decidendum introdotto dal Condominio, bensì solo oggetto delle allegazioni dell’Impresa. Di conseguenza, la condanna del Condominio al pagamento del saldo ha costituito semplicemente l’accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dall’impresa, per cui troverebbe, pertanto, conferma la violazione dell’art. 1453 c.c., essendosi accordata l’azione risolutoria alla parte inadempiente.

5.1. – Il motivo è inammissibile.

5.2. – Va riscontrata la inammissibile formulazione promiscua del motivo, per violazione di legge e vizio di motivazione (v. supra 2.2.), con la quale si prospetta una medesima questione sotto aspetti tra loro incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o della falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Inoltre, la prospettazione del preteso non chiarito vizio di illegittimità delle richiamate norme processuali e/o sostanziali appare basato su una argomentazione oscura e non specifica, apoditticamente espressa.

6. – Con il quinto motivo, la ricorrente principale lamenta l'”oblio nella sentenza della domanda e delle allegazioni dell’Impresa (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 99,112,113 e 115 c.p.c. e 1671, 1453, 1454, 1455, 1460, 1668 ss. e 2697 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5)”. Secondo la società ricorrente, la Corte avrebbe errato nel ritenere che l’art. 1453 c.c.consenta la risoluzione del contratto di appalto in ogni caso. Infatti, sia l’art. 1453 c.c. che il 1668 c.c. postulano un inadempimento grave, ma la prima norma riveste carattere generale e la seconda speciale. Ad ogni buon conto, la prima azione presuppone che il contraente, che ne richieda l’applicazione, sia adempiente. Nel caso di specie, tale requisito difettava, tanto che il Condominio era stato condannato al pagamento di Euro 13.142,80. Comunque, il Giudice, in sede di affidamento dell’incarico al CTU, aveva individuato la norma applicabile nell’art. 1668 c.c., quando aveva chiesto al medesimo di accertare se l’opera fosse del tutto inutilizzabile. In ogni modo, dalla sentenza impugnata risulta che l’inadempimento era di scarsa importanza (L. 6.000.000), e che quindi non poteva considerarsi grave. Ma il Giudice – nonostante risultasse agli atti la prova della diffida ad adempiere e della comunicazione della sospensione dei lavori in autotutela – in violazione dell’art. 2697 c.c., per qualificare grave l’inadempimento dell’Impresa, ha asserito che il cantiere era stato abbandonato senza finire l’opera.

6.1. – Il motivo non è fondato.

6.2. – La Corte distrettuale osserva che il Condominio ha chiesto, sia in primo che in secondo grado, la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento della società appaltatrice, ai sensi dell’art. 1453 c.c., oltre al risarcimento del danno per avere Edildecor s.n.c. interrotto arbitrariamente i lavori e avere effettuato gli interventi edilizi in modo non conforme alla regola dell’arte e con gravi vizi e difetti, non eliminati nonostante la contestazione ad opera della direzione lavori e la richiesta di eliminazione degli stessi. La società appellante ha sostenuto di non aver ultimato i lavori in quanto il Condominio non aveva rispettato i pagamenti in base allo stato di avanzamento dei lavori stessi e che la domanda di risoluzione del contratto avrebbe potuto essere proposta ai sensi dell’art. 1668 c.c. e solo se l’opera fosse risultata del tutto inidonea alla sua destinazione e non in presenza di vizi emendabili, come nel caso di specie. Dopo aver rilevato che il Tribunale non si era pronunciato sulla disciplina applicabile, ritenendo comunque dovuto il risarcimento del danno in entrambe le ipotesi, la Corte di merito ha rilevato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, ove sia in corso l’esecuzione dei lavori nell’ambito di un contratto di appalto, il committente ha facoltà di richiedere la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., senza fare ricorso alla speciale disciplina di cui all’art. 1662, secondo comma, c.c., tanto più in ipotesi, come quella in esame, ove l’appaltatore non abbia portato a compimento l’opera commissionata per cui non si applica la garanzia di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c., che riguarda l’ipotesi in cui l’opera sia stata ultimata e presenti vizi. Nel caso in esame, dunque, correttamente il Condominio aveva chiesto la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c., posto che l’opera non era stata ultimata.

6.3. – Del tutto correttamente, il giudice d’appello ha fatto coerente applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo la quale le disposizioni in tema di inadempimento, contenute negli artt. 1667,1668 e 1669 c.c., che disciplinano l’appalto, integrano, ma non escludono l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c., laddove non ricorrano i presupposti della disciplina speciale che presuppone l’avvenuta ultimazione dell’opera, a prescindere dal fatto che il mancato completamento sia dovuto all’uno o all’altro dei contraenti. Allorchè, dunque, l’appaltatore abbia eseguito interamente l’opera o se, avendola eseguita, si rifiuti di consegnarla o la consegni con ritardo rispetto al termine pattuito non v’è ragione per non applicare la disciplina generale sull’inadempimento dei contratti prestazioni corrispettive. In definitiva, in caso di omesso completamento dell’opera, e qualora questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della garanzia per vizi e difformità delle opere prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera, dovendosi regolare la responsabilità contrattuale dell’appaltatore in base ai criteri comuni degli artt. 1453 e 1455 c.c. (Cass. n. 28233 del 2017; Cass. n. 1186 del 2015; Cass. n. 6931 del 2007; Cass. n. 8103 del 2006). Ne consegue che, in caso di mancata ultimazione dei lavori, il committente può chiedere il completamento dell’opera ex art. 1453 c.c., comma 1, oppure può domandare la risoluzione del contratto in base alla stessa norma, indipendentemente dall’esercizio della facoltà prevista dall’art. 1662 c.c. (Cass. n. 3239 del 1998).

Rispetto a tale quadro decisorio risultano, peraltro, totalmente prive di motivazione le asserite violazioni degli artt. 1460 c.c. e 115 c.p.c..

7. – Con altro motivo (erroneamente indicato ancora come quinto motivo, e trascrivibile quale motivo quinto bis), la ricorrente principale lamenta l'”oblio nella sentenza della domanda e delle allegazioni dell’Impresa (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 99,112,113 e 115 c.p.c. e artt. 1453,1454,1455,1460,1668 ss. e 2697 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5)”. La ricorrente rileva che solo una contestatissima CTU funge da apparato probatorio dei pretesi vizi e difetti dell’opera, per cui ogni affermazione del giudice risulta sganciata dalla prova; e ciò appare in tutta chiarezza quando il giudicante confonde la “sospensione dei lavori” con il “rifiuto di procedere a ultimare i lavori”. Pertanto, in assenza di prove risulta priva di motivazione la maggiore gravità accordata all’inadempimento dell’impresa rispetto a quello del Condominio che appare gravissimo e reiterato; laddove il mancato riscontro probatorio in parte qua si confronta con il dato documentale inerente il ricorso ex artt. 700 e 696 c.p.c..

7.1. – Il motivo non è fondato.

7.2. – La ricostruzione dei fatti offerta dalla ricorrente (che contesta l’inadempimento del Condominio al pagamento dei lavori eseguiti; la diffida dell’Impresa e contestuale sospensione dei lavori in autotutela; l’inadempimento persistente del Condominio e l’incarico da parte di questo a un’impresa terza con spossessamento del cantiere ai danni dell’Impresa), viene contraddetta dallo svolgersi degli eventi come riscontrati dal Giudice di secondo grado, per il quale “la società appaltatrice non aveva cercato di porre rimedio ai vizi e difetti ed alle contestazioni mosse in corso d’opera dal direttore dei lavori, non aveva dato alcun riscontro positivo, anzi aveva interrotto i lavori, rifiutando in tal modo di eseguire ed ultimare l’opera prevista dal contratto stipulato tra le parti” (sentenza pagg. 11-12), abbandonando volontariamente il cantiere. Perciò sulla base di tali documenti e delle risultanze della CTU, il Giudice di secondo grado ha, di nuovo, del tutto correttamente ritenuto sussistente un grave inadempimento dell’Impresa, per aver eseguito solo in parte l’opera richiesta, con modalità erronee e non conformi alla regola dell’arte e in presenza di un rifiuto ad eliminare i vizi e difetti contestati, culminato con l’abbandono del cantiere.

Ancora una volta, la censura sollevata risulta (al di là di profili di non autosufficienza del motivo, con riguardo all’evocato, ma mai riportato e/o trascritto, dato documentale inerente il ricorso ex artt. 700 e 696 c.p.c.) diretta al mero riesame del merito della causa, essendo incentrata sulla contestazione della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito.

8. – Con il sesto motivo, la ricorrente principale lamenta l'”oblio nella sentenza della domanda e delle allegazioni dell’impresa (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 99,112,113 e 115 c.p.c. e artt. 1453,1454,1455,1460,1668 ss, 1671 e 2697 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5)”. La ricorrente ribadisce l’assenza di prove; infatti solo il dato documentale offerto dall’Impresa attestava due fatti pacifici: a) lo spoglio del cantiere, b) l’affidamento dei lavori ad altra impresa. Il Giudice, con violazione dell’art. 115 c.p.c., non avrebbe tenuto conto di tali dati pacifici.

8.1. – Il motivo è inammissibile.

8.2. – Esso è totalmente carente di autosufficienza, in mancanza della esatta indicazione e doverosa trascrizione (eventualmente solo in parte qua) della asserita, ma non meglio precisata, documentazione cui fa riferimento la ricorrente (si rinvia alle considerazioni svolte sub 3.2.).

9. – Con il settimo motivo, la ricorrente principale deduce l'”oblio nella sentenza della domanda e delle allegazioni dell’impresa (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 99,112,113 e 115 c.p.c. e artt. 1453,1454,1455,1460,1668 ss., 2697 c.c., art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5)”. Secondo la ricorrente erra la Corte di merito quando inferisce dai documenti che il contratto prevedeva l’importo di L. 70.613.000, non riconoscendo la maggiorazione dell’IVA e della rivalutazione monetaria. La Corte erra altresì quando nega che lavori ulteriori siano stati provati. Invero, le fatture emesse dall’Impresa, mai contestate, proverebbero l’esecuzione di altri lavori, oltre quelli sulle parti comuni, a favore di singoli condomini, come da contratto di appalto del 16.6.1988, stipulato tra la Edildecor s.n.c. e i proprietari delle unità immobiliari. Il valore dell’opera fino alla sospensione dei lavori era di L. 96.878.127, mentre ne erano stati versati solo L. 34.870.000. E nonostante la prova documentale del credito nella misura indicata, la Corte non ne ha tenuto conto.

9.1. – Il motivo è inammissibile.

9.2. – Esso risulta totalmente carente di autosufficienza, in mancanza nuovamente di alcuna esatta indicazione e doverosa trascrizione (eventualmente solo in parte qua) della asserita, ma non meglio precisata, documentazione (in particolare contabile) cui fa riferimento la ricorrente. La quale, peraltro, mira a pervenire, per il tramite della contestazione delle risultanze probatorie acquisite e della valutazione delle stesse operata dalla Corte d’appello, ad una rivisitazione del merito della decisione non consentita nella presente sede di legittimità, limitandosi la ricorrente ad esporre un’interpretazione del quadro probatorio a sè favorevole al solo fine di indurre il convincimento che l’adeguata valutazione di tali fonti probatorie avrebbe giustificato la reiezione della domanda attorea (Cass. n. 3752 del 2018) (si rinvia, ancora alle considerazioni svolte sub 2.2.).

10. – Con l’ottavo motivo, la ricorrente principale censura “il danno liquidato in sentenza a favore del Condominio (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, in relazione agli artt. 99,112,113 e 115 c.p.c. e artt. 1122,1223,1224,1453,1454,1455,1460,1668 ss. e 2697 c.c., art. 360 c.p.c., n. 4 e n. 5)”, sottolineando che la Corte individua una voce di danno nei “lavori non eseguiti”, in violazione dell’art. 1223 c.c., che identifica il danno contrattuale nella perdita subita e nel mancato guadagno.

10.1. – Il motivo è fondato.

10.2. – La Corte distrettuale ha ritenuto che “risulta fondata e merita accoglimento la domanda di risoluzione del contratto, proposta dal condominio appellato, a cui consegue l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno subito mentre, nei confronti della appaltatrice, l’effetto restitutorio che consegue alla risoluzione del contratto, non potendo procedersi alla restituzione in natura all’impresa appaltatrice della prestazione eseguita, importa la determinazione del corrispettivo dalla stessa dovuto in base a quanto originariamente pattuito ed ai lavori in concreto eseguiti (Cass. n. 738 del 2007; Cass. n. 12162 del 2007). Così, richiamando i risultati della esperita CTU, la Corte ha accertato che i lavori non eseguiti dalla impresa appaltarice (a fronte di un importo di spesa originariamente pari a L. 70.613.000) erano pari a L. 10.295.000.

Orbene, va rilevato che se è corretto che il credito spettante alla appaltatrice, a seguito della risoluzione del contratto, venga decurtato della voce “lavori non eseguiti” (v. tabella B trascritta a pag. 33 del ricorso), altrettanto non può dirsi in ordine al fatto che i suddetti “lavori non eseguiti” costituiscano voce autonoma di danno del committente (v. tabella A trascritta a pag. 32 del ricorso), su cui, poi, calcolare gli interessi. Invero, i lavori non eseguiti non costituiscono, nella specie (in assenza di un differenziale negativo tra quanto originariamente pattuito, e non eseguito, e quanto effettivamente corrisposto, per i medesimi lavori, al subentrante appaltatore), nè danno emergente, in quanto non ne è stato concretamente pagato dal committente il corrispettivo, nè lucro cessante, atteso che la somma di L. 10.295.000 è stata erogata a favore della impresa subentrata che ha eseguito i lavori medesimi.

10.3. – Il motivo pertanto va accolto e la sentenza cassata in parte qua.

11. – Con il nono motivo, la ricorrente principale si duole della “mancata decisione della domanda di risarcimento del danno (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 in relazione agli artt. 1671 e 1223 c.c.)”, avanzata dall’Impresa, sull’assunto dell’esser stata soggetta al recesso unilaterale della controparte, che aveva spogliato la ricorrente del cantiere.

11.1. – Il motivo è infondato.

11.2. – Come detto (v. sub 7.2.) il Giudice di secondo grado ha, del tutto correttamente, ritenuto sussistente un grave inadempimento dell’Impresa, per avere essa eseguito solo in parte l’opera richiesta, con modalità erronee e non conformi alla regola dell’arte e in presenza di un rifiuto ad eliminare i vizi e difetti contestati, culminato con l’abbandono del cantiere. Ed ha, dunque, conseguentemente pronunciato la risoluzione del contratto di appalto inter partes. La domanda di riconoscimento della configurabilità di un recesso unilaterale da parte del committente con conseguente diritto al risarcimento dei danni in capo all’appaltatore, si risolve, ancora una volta, in una assertiva contestazione della diversa corretta valutazione della Corte di merito, sottratta al controllo di legittimità, in quanto logicamente e congruamente motivata.

12. – Con il decimo motivo, la ricorrente principale deduce la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in procedendo artt. 1453 c.c. e ss. e art. 2697 c.c., in iudicando artt. 112,115 e 116 c.p.c.”.

12.1. – Il motivo è inammissibile.

12.2. – La ricorrente si è limitata a riportare interi passi della sentenza impugnata (da pag 14 a pag. 16) ed a posporre a questi alcune massime giurisprudenziali; sottraendosi pertanto agli specifici oneri di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3, 4 e 6.

13. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, il Condominio denuncia, a sua volta, la “violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4”, là dove la Corte di merito ha affermato che “nei confronti della appaltatrice, l’effetto restitutorio che consegue alla risoluzione del contratto, non potendo procedersi alla restituzione in natura all’impresa appaltatrice della prestazione eseguita, importa la determinazione del corrispettivo alla stessa dovuto in base a quanto originariamente pattuito ed ai lavori in concreto eseguiti (Cass. 738/2007; 12162/07)”, sicchè “l’importo residuo dovuto alla appellante per i lavori eseguiti è pari a Euro 13.142,80” (sentenza CdA, pagg. 13 e 14).

Osserva il Condominio che l’Impresa ricorrente non ha mai formulato una domanda riconvenzionale restitutoria per la denegata ipotesi di accoglimento della domanda di risoluzione del contratto (v. conclusioni (sentenza CdA pagg. 2-4). L’Impresa ha inteso solo formulare in via riconvenzionale una domanda di pagamento nei confronti del Condominio – sul presupposto dell’operatività del contratto – presupponendo l’avvenuto recesso unilaterale del Condominio, che avrebbe effetto ex nunc e non travolgerebbe il contratto, mentre la risoluzione ha effetto ex tunc e l’effetto restitutorio rispetto alle prestazioni eseguite deriva proprio dal venir meno del vincolo contrattuale (Cass. n. 15705 del 2013).

13.1. – Il motivo è fondato.

13.2. – Nella fattispecie, i fatti dedotti dall’Impresa a fondamento della domanda di pagamento sono fatti di adempimento, di persistenza del vincolo contrattuale (che essa ritiene sciolto per effetto del recesso unilaterale del Condominio).

Se il giudice non è vincolato alla qualificazione prospettata dalla parte, tuttavia ciò è possibile purchè la qualificazione da lui adottata non si risolva nella sostituzione dell’azione espressamente proposta con altra, fondata cioè su fatti diversi o su diversa causa petendi (Cass. n. 1461 del 2000). Invero, l’interpretazione non può spingersi tanto fino a configurare una domanda radicalmente difforme, nel petitum o nella causa petendi, da quanto espressamente allegato e dedotto dalle parti (Cass. n. 8519 del 2006; Cass. n. 15802 del 2005; Cass. n. 10922 del 2005).

Pertanto, nessuna domanda di pagamento del saldo dei lavori in favore dell’Impresa, sorretta da una causa petendi di adempimento, può conseguire dalla risoluzione del contratto pronunciata dalla Corte d’appello, perchè a causa della risoluzione il contratto non sussiste più e la domanda formulata dalla controparte non può essere sovvertita; se non frustrando il principio della domanda e quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (artt. 99 e 112 c.p.c.). Costante è l’orientamento della Suprema Corte, nel senso che l’effetto restitutorio scaturente dalla pronuncia di risoluzione, pur verificandosi sul piano sostanziale, di diritto, è soggetto, sotto il profilo processuale, all’onere della domanda di parte e non può, pertanto, essere adottato d’ufficio dal Giudice (Cass n. 20257 del 2005). La risoluzione del contratto, dunque, pur comportando, per l’effetto retroattivo sancito dall’art. 1458 c.c., l’obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell’altro contraente, atteso che rientra nell’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa Cass. n. 2439 del 2006; Cass. n. 2075 del 2013).

La decisione della Corte d’appello in parte qua, si pone pertanto in violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., avendo il Giudice pronunciato oltre i limiti della domanda formulata dalla controparte.

14. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il Condominio deduce la “violazione degli artt. 1382 e 1383 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. là dove la Corte di merito ha affermato che, “quanto alle somme richieste a titolo di penale (L. 7 milioni) per il ritardo nell’esecuzione dei lavori prevista in sede contrattuale, va rilevato che la clausola penale può trovare applicazione in ipotesi di esecuzione del contratto, mentre non può essere applicata in ipotesi di inadempimento contrattuale, ove il ritardo viene compensato attraverso la quantificazione del danno subito e relativi accessori” (sentenza CdA, p. 14).

14.1. – Il motivo è fondato.

14.2. – Costituisce principio consolidato quello secondo cui la clausola penale mira a determinare preventivamente il risarcimento dei danni soltanto in relazione alla ipotesi pattuita che può consistere nel ritardo o nell’inadempimento, sicchè ove sia stata stipulata per il semplice ritardo e si sia verificato l’inadempimento essa non è operante nei confronti del secondo evento (Cass. n. 5828 del 1984; Cass. n. 23706 del 2009; Cass. n. 23291 del 2014). La clausola penale, la quale configura una concordata e preventiva liquidazione del danno in favore del creditore, può essere stipulata, secondo la previsione dell’art. 1382 cod. civ., per il caso d’inadempimento, ovvero per il caso di ritardo nell’adempimento (ferma restando la possibilità di contemplare per lo stesso rapporto due diverse penali, per l’uno e per l’altro degli indicati casi). Pertanto, qualora la penale venga fissata per il solo ritardo, il creditore, esigendola, non perde il diritto di pretendere la prestazione pur dopo il verificarsi di tale ritardo (art. 1383 cod. civ.), nè quindi il diritto, a fronte di un inadempimento definitivo, di essere risarcito del danno ulteriore e diverso rispetto a quello coperto dalla penale medesima (Cass. n. 1300 del 1986; Cass. n. 595 del 1989). Infatti, l’art. 1383 cod. civ. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l’inadempimento, ma non esclude che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo, e, nella ipotesi di risoluzione del contratto, il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell’obbligazione nel termine stabilito ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l’inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l’inadempimento, la necessità di tener conto, nella liquidazione di quest’ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore (Cass. n. 12349 del 2002).

Non avendo, pertanto, rispettato i principi di diritto affermati da questa Corte, in riferimento alle norme civilistiche evocate, la sentenza deve essere riformata in parte qua.

Resta assorbito il terzo motivo di ricorso incidentale, con il quale il Condominio deduce la “violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5”.

15. – In conclusione, quindi, alla stregua dei richiamati principi, devono essere accolti l’ottavo motivo del ricorso principale ed i motivi primo e secondo del ricorso incidentale, con assorbimento del terzo motivo di tale ricorso; vanno viceversa rigettati tutti i restanti motivi del ricorso principale. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta tutti i motivi del ricorso principale ad eccezione dell’ottavo motivo che accoglie; accoglie altresì il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del terzo motivo. Cassa, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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