Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27990 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 03/06/2019, dep. 31/10/2019), n.27990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18588/2017 proposto da:

F.C., in proprio e quale erede di C.G.,

elettivamente domiciliato in Roma alla via Francesco Borgatti n. 25

presso lo studio dell’AVVOCATO ANTONGIULIO AGOSTINELLI che la

rappresenta e difende unitamente agli AVVOCATI ANTONIO TOMMASO DE

MAURO e ALESSANDRO FAVALE;

– ricorrente –

contro

C.A.C., C.F., C.C.,

C.M.C. quali eredi di C.A.C., M.M.C.

in proprio e nella qualità di erede di C.A.C.,

C.M. e P.A.M., elettivamente domiciliati in Roma

alla via P. da Palestrina n. 19 presso lo studio dell’AVVOCATO FABIO

FRANCESCO FRANCO che li rappresenta e difende unitamente

all’AVVOCATO STEFANO MORGESE;

– controricorrenti –

e contro

T.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 00061/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 27/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/06/2019 dal consigliere relatore Dott. Cristiano Valle;

udito gli Avvocati Antonio Tommaso De mauro ed Alessandro Favale per

la ricorrente e l’Avvocato Stefano Morgese per i controricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sgroi Carmelo, che ha concluso per il rigetto dei motivi primo e dal

quinto al nono, accoglimento del secondo e del terzo, assorbito il

quarto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.C., in proprio e quale erede di C.G. impugna con nove motivi di ricorso la sentenza della Corte di Appello di Lecce, sezione specializzata per le controversie agrarie, n. 00061 del 2017 che, in parziale accoglimento dell’appello principale dalla stessa F. e da C.G. proposto, nonchè degli appelli incidentali, avverso sentenza del Tribunale di Brindisi, sezione specializzata agraria, aveva così statuito:

ridetermina in Euro 59.659,50 il credito degli appellanti principali, fermi interessi e rivalutazione come determinati dalla sentenza di primo grado;

ridetermina in Euro 2.754,36 la somma dovuta in favore degli appellati, in solido, a titolo di canoni scaduti e non pagati, oltre interessi dalle singole scadenze al soddisfo;

ridetermina in Euro 105.000,00 la somma dovuta agli appellati in solido, a titolo di risarcimento del danno per l’occupazione illegittima del fondo, oltre interessi determinati come da motivazione;

dichiara interamente compensato il credito vantato dagli appellati/appellanti incidentali;

compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio e pone le spese di c.t.u. per metà a carico degli appellanti principali e per il residuo a carico degli appellanti incidentali.

Resistono con controricorso A.C., F., C., C.M.C. quali eredi di C.A.C., M.M.C. in proprio e nella qualità di erede di C.A.C., C.M. e P.A.M..

T.C. è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo censura la sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e per omesso esame di un fatto decisivo.

Il secondo mezzo attiene a violazione e falsa applicazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 16 e 17 nonchè agli artt. 1223 e 1227 c.c. ed all’art. 1591 c.c.

Il terzo motivo richiama gli stessi suddetti parametri normativi, con riferimento specifico al ritenuto insussistente, dalla sentenza d’appello, diritto di ritenzione.

Il quarto motivo, attiene a violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione alla regolamentazione delle spese di lite.

Il quinto mezzo è formulato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di fatto decisivo e segnatamente della consulenza tecnica di ufficio.

Il sesto motivo attiene pure all’omesso esame della consulenza, questa volta integrativa, ed all’omesso rilievo delle contraddizioni tra la prima e la seconda relazione del consulente tecnico di ufficio.

Il settimo mezzo afferma l’omesso esame dell’errore materiale contenuto nella consulenza tecnica.

L’ottavo motivo è articolato per nullità procedimentale, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione a carenza istruttoria sulla realizzazione del pescheto.

Infine il nono motivo attiene promiscuamente all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e per omesso esame dell’entità dei lavori di spietramento e di scavo.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto formulato per la prima volta in questa sede di legittimità.

Non risulta, infatti, dal ricorso della F., nella sua duplice qualità, ossia in proprio e quale erede di C.G., ove la questione della cessione parziale del fondo sia stata trattata nelle precedenti fasi di merito. La detta questione poteva essere portata alla cognizione del giudice di appello in quanto una delle cessioni (quella in favore di C.C., per un ottavo del terreno) si era già realizzata nel 2004 (Cass. n. 14599 del 12/07/2005: “Nel giudizio di cassazione, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello, nel rispetto del contraddittorio ed in conformità della regola tassativa secondo cui i motivi di appello devono essere esposti tutti esclusivamente nell’atto di appello. Ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa”.

Il secondo motivo di ricorso involge la questione dei miglioramenti, del danno da mancata riconsegna dei terreni ai concedenti e del diritto di ritenzione.

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale ha infatti, determinato (pag. 11 della sentenza d’appello) il danno da mancata riconsegna in via presuntiva, affidandosi alla consulenza tecnica di ufficio, senza tuttavia, che gli appellanti incidentali qui controricorrenti (ad esclusione del T., rimasto intimato) offrissero prova alcuna di avere ricevuto offerte di migliore allocazione e comunque sfruttamento del terreno (Cass. n. 15111 del 17/06/2013: “Il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente “in re ipsa” e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicchè il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti”).

La sentenza in scrutinio, con riferimento al terzo mezzo, non ha ritenuto sussistente il diritto di ritenzione del fondo in relazione alla realizzazione di miglioramenti non indennizzati, ai sensi del combinato disposto della L. n. 203 del 1982, art. 17, comma 2 e art. 20.

La sentenza riteneva, in motivazione, insussistente il diritto di ritenzione della F. e del C.G., affermando che essi, essendo spirato il termine del 10/11/2015 erano tenuti all’immediato rilascio.

In tal modo essa no ha fatto corretta applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 17 e 20 (si veda: Cass. n. 09267 del 19/04/2010: “Il diritto di ritenzione, che è riconosciuto in via generale nell’art. 1152 c.c. e si configura come situazione non autonoma ma strumentale all’autotutela di altra situazione attiva generalmente costituita da un diritto di credito, è contemplato in favore dell’affittuario di fondo rustico nella L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 20 (così come lo era, già, nella precedente L. n. 11 del 1971, art. 15) in stretta correlazione al diritto di credito per le indennità spettanti al coltivatore diretto per i miglioramenti, le addizioni e le trasformazioni da lui apportati al fondo condotto, sicchè, presupponendo l’esistenza di un credito derivante dalle opere indicate e realizzate dal coltivatore diretto, non è scindibile dall’esistenza di detto credito o dall’accertamento di questo. Pertanto, eccepito dall’affittuario che si opponga all’esecuzione del rilascio di un fondo rustico il diritto di ritenzione a garanzia del proprio credito per i miglioramenti apportati al fondo, il giudice non può limitarsi ad accertare l’esistenza delle opere realizzate dall’affittuario, ma deve verificarne anche l’indennizzabilità, rigettando l’eccezione ove tale verifica dia esito negativo”).

L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del terzo, in quanto attinente al diritto di ritenzione, come detto, connesso al risarcimento del danno ed a quello dell’indennità per i miglioramenti.

Il quarto motivo attenendo alla regolazione delle spese processuali, è assorbito dall’accoglimento dei precedenti due.

I motivi dal quinto al non sono inammissibili, e tali vanno dichiarati, in quanto pongono questioni di fatto, attinenti la mancata valutazione della consulenza tecnica di ufficio, le discrasie asseritamente in essa perseti, le contraddizioni con l’ulteriore consulenza tecnica integrativa.

Giova osservare, sul punto, che essi sono tutti formulati in via esclusiva ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 o anche in relazione combinata con il n. 4.

Ne consegue che sessi sono inammissibili laddove richiedono censura non più proponibile, trattandosi di sentenza pubblicata dopo il trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, che ha modificato l’art. 360 c.p.c., n. 5 con conseguente riduzione della censura motivazionale al cosiddetto minimo costituzionale (Sez. U n. 08053 del 07/04/2014, secondo la quale: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art5. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”.).

Per il resto occorre osservare che la sentenza in scrutinio ha adeguatamente valutato nella parte motiva la consulenza tecnica di ufficio, e la relazione integrativa, espletate nella fase di gravame, ritenendo inutilizzabile quella di primo grado.

La detta conclusione non è, peraltro, inficiata dall’accoglimento del motivo attinente l’importo risarcitorio, in quanto ciò è avvenuto in relazione alla mancata prova di diversi impieghi fruttuosi del terreno da parte dei concedenti.

In conclusione: inammissibili il primo, il quinto, il sesto, il settimo l’ottavo ed il nono motivo; accolto il secondo, con assorbimento del terzo e del quarto.

La sentenza impugnata è cassata, in relazione al motivo accolto.

La causa è, pertanto, rinviata alla Corte di Appello di lecce, in diversa composizione, che la deciderà attenendosi a quanto qui statuito.

Le spese di lite, anche di questo giudizio di legittimità, saranno regolate dal giudice di rinvio.

La natura agraria della controversia esclude l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo ed il quarto, dichiara inammissibile il primo motivo nonchè quelli dal quinto al nono; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità;

rilevato che agli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione terza civile, il 3 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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