Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27989 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 21/12/2011), n.27989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

A.R., residente in (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in Roma alla Via Ottaviano n. 42 presso lo

studio dell’avv. LO GIUDICE Bruno che lo rappresenta e difende

insieme con l’avv. Franco TANGHERI (del Foro di Forlì-Cesena) in

forza della procura speciale rilasciata a margine del controricorso;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 138/09/05 depositata il 17 gennaio 2006 dalla

Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 novembre 2011

dal Cons. Dott. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Gianna GALLUZZO

(dell’Avvocatura Generale dello Stato), per l’Agenzia, e dall’avv. LO

GIUDICE Bruno, per A.R.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FIMIANI Pasquale, il quale ha concluso per la declaratoria di

inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate – premesso che l’ufficio aveva notificato ad A.R. avviso di accertamento per la maggiore plusvalenza accertata in relazione alla vendita della (OMISSIS) effettuata nell’anno 1999 -, in forza di un solo motivo, chiede di cassare la sentenza n. 138/09/05 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (depositata il 17 gennaio 2006) che ha respinto, oltre quello incidentale del contribuente, l’appello dell’Ufficio avverso la decisione di primo grado la quale aveva recepito il ricorso.

L’ A. insta per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto dell’impugnazione; e deposita, altresì, memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale ha disatteso l’appello dell’Ufficio ritenendo gli elementi richiamati nell’avviso di accertamento non … idonei a fondare la prova della plusvalenza contestata; all’uopo ha osservato:

– L’eventuale prova, tratta dallo studio di settore sul valore dell’avviamento delle farmacie (che riporta statistiche di carattere regionale), non consente di per sè di disattendere la contabilità tenuta regolarmente ma costituisce solo un indizio e non una prova di possibile occultamento del prezzo reale;

– la valutazione circa il valore di mercato può giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili solo ove concorrano altre indicazioni relative alla fattispecie concreta che possano far ragionevolmente ritenere …la contabilità …

inattendibile e … il corrispettivo … pari al valore venale (Cass. 8 agosto 2005 n. 16700);

– la fonte richiamata dall’Ufficio non vale neppure a fornire un consistente indizio essendo l’indizio stesso contrastato dalla contraria valutazione operata … in sede di imposta di registro, ove l’Ufficio ha ritenuto congrui i valori dichiarati nell’atto di trasferimento;

– i generici richiami contenuti nell’avviso di accertamento all’ubicazione dell’esercizio (zona decisamente popolata …

adiacente a una strada di grande traffico) non individuano una prova presuntiva avente i caratteri richiamati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) ma possono, al più, concorrere a individuare il valore di mercato non il prezzo conseguito dalla vendita;

– nessuna risposta è stata fornita per privare di significato gli indici negativi messi in rilievo dal ricorrente (forte indebitamento dell’azienda; caratteristiche fisiche non favorevoli dell’immobile;

ubicazione dell’esercizio).

2. L’Agenzia denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. d) formulando il “seguente quesito”:

“L’amministrazione può fondare il proprio accertamento dei redditi anche sugli studi di settore”; “in questo caso, l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore ma si può basare anche soltanto su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente”.

A conforto la ricorrente espone:

– l’avviso di accertamento … risulta motivato non solo sullo studio di settore … ma anche sulla considerazione di alcuni elementi specifici propri dell’attività in esame (esercizio posto in zona densamente popolata, adiacente a strada di grande traffico, farmacia avviata da tempo) per cui la prova presuntiva risulta pienamente fornita;

– L’orientamento del giudice di legittimità in merito alla possibilità … di fondare gli atti impositivi su studi elaborati per determinali settori merceologici o attività commerciali… è del tutto favorevole ad essa amministrazione (sentenza n. 70378 (sic) del 4 aprile 2002 e m. 2891/2000).

3. Il contribuente, dal suo canto, contestata l’impugnazione, eccepisce (chiedendone la nuova valutazione a questo giudice di legittimità) la sussistenza del vizio di motivazione (in relazione al combinato disposto della L. n. 212 del 2000, art. 7, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3 per avere l’Ufficio … omesso di portare a sua conoscenza sia lo studio DREER che i pareri… che costituivano il presupposto della rettifica, eccezione sollevata in origine e successivamente rinnovata), chiedendo alla Corte (“quesito di diritto”) di dire:

“che l’avviso di accertamento fondato su documenti ed atti che ne costituiscano il presupposto fondamentale e, come tali, siano espressamente richiamati e non allegati all’atto nè mai prima notificati o comunque portati a conoscenza giuridica del contribuente … non può andare indenne dalla sanzione della nullità comminata dalla L. n. 212 del 2000, art. 7 e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3.

4. Il ricorso – non soggetto alle prescrizioni dell’art. 366 bis c.p.c. perchè la sentenza impugnata è stata depositata il 17 gennaio 2006, quindi prima dell’entrata in vigore della norma – è infondato.

A. Nella sentenza 22 marzo 2002 n. 4117, invero, questa sezione – ritenuto “applicabile” (sulla scorta di Cass., “20 giugno 2000, n. 8340”) “il principio di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 18, comma 2, (per il quale qualora l’interessato dichiari che fatti, stati e qualità sono attestati in documenti già in possesso della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile del procedimento provvede d’ufficio all’acquisizione dei documenti stessi o di copia di essi)… anche nell’accertamento tributario e nella sua proiezione processuale – ha convincentemente affermato l’esistenza di un vincolo, per l’Amministrazione Finanziaria, al valore dell’avviamento, determinato in via definitiva, ai fini dell’imposta di registro per il trasferimento dell’azienda” anche ai fini dell’imposizione sul reddito d’impresa (specificamente, pure ivi, per l’accertamento di “plusvalenze conseguenti alla cessione di azienda e riferite all’avviamento”) (a) osservando che – “pur non essendo espressamente previsto dalle leggi d’imposta un vincolo giuridico ad un valore divenuto definitivo ai fini dell’applicazione di un altro tributo, nè esistendo nell’ordinamento fiscale italiano (a differenza di altri ordinamenti) una disciplina generale sull’accertamento di valore di beni o di atti economici ai fini dell’imposizione fiscale, tale vincolo deriva, comunque, dai principi costituzionali1” – “nella sentenza 31 ottobre 1995, n. 473, la Corte Costituzionale, pronunciandosi sulla compatibilità coi principi costituzionali della possibilità che un bene subisca una diversa valutazione ai fini dell’imposta di registro e dell’in.v.i.m., applicate per un trasferimento del bene stesso, ha affermato che il principio di uguaglianza impone … che se il valore dello stesso immobile viene riconosciuto per ragioni obiettive nei confronti di un debitore d’imposta, esso non può essere diverso ove si tratti di un contribuente di un’altra imposta connessa e nello stesso contesto, che pur si riferisce al trasferimento dello stesso bene e che il principio della capacità contributiva esige che la medesima situazione di fatto non può che essere rivelatrice della stessa capacità contributiva e quindi dell’analogo prelievo fiscale e (b) ricordando che tali principi sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza di legittimità, avendo questa Corte (“sentenza 29 marzo 1990, n. 2575”) “osservato”, “sempre in relazione all’ammissibilità di una diversa valutazione del bene trasferito ai fini dell’imposta di registro e dell’in.v.im, che l’art. 97 Cost.

impone all’Amministrazione Finanziaria, in osservanza del dovere di imparzialità, una uniforme valutazione del bene il cui trasferimento è colpito da diversi tributi apparendo stridente a chiunque col più elementare senso di giustizia che un medesimo bene, in un medesimo momento e contesto … possa avere agli effetti fiscali due valori diversi, a seconda del contribuente dal quale ciascuna imposta è dovuta.

B. Sulla dichiarata scia di tale pronuncia, quindi, questa stessa sezione ha reiteratamente ribadito che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale … relativa al valore di avviamento, realizzata a seguito di cessione di azienda, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, ed è onere probatorio del contribuente superare (anche con ricorso ad elementi indiziari) la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore” (Cass., trib., 18 luglio 2008 n. 19830, che ricorda Cass. n. 21055 del 2005, n. 4117 del 2002, n. 12899 del 2007 nonchè Cass., trib.: 30 settembre 2009 n. 21020 e 2 marzo 2011 n. 5070).

C. Dagli esposti principi si ricava che:

(1) ai fini della sussistenza, nonchè della determinazione dell’entità, della plusvalenza rileva sempre e solo il “prezzo incassato” (non avendo, altrimenti, alcun senso, riconoscere al contribuente la facoltà di dimostrare di avere “in concreto venduto ad un prezzo inferiore”) (per Cass., trib., 16 aprile 2008 n. 9950 “il prezzo della cessione di azienda o di ramo di azienda è frutto della libera contrattazione delle parti”);

(2) il “valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro” costituisce “presunzione di corrispondenza” di tal valore con il “prezzo incassato”;

(3) la definitività dell’accertamento del “valore di mercato … in sede di applicazione dell’imposta di registro” non suppone necessariamente una pronuncia giudiziaria sul punto: nella già citata Cass., trib., 22 marzo 2002 n. 4117, infatti, si legge che ivi “era stato ritenuto congrua dall’ufficio del Registro (“il quale aveva rettificato il valore di altri beni aziendali) “il valore dichiarato dell’avviamento ai fini dell’imposta di registro sul trasferimento dell’azienda”.

D. In definitiva le considerazioni svolte mostrano la correttezza del giudizio espresso dal giudice di appello sulla valenza giuridica della contraria valutazione operata … in sede di imposta di registro, ove l’Ufficio ha ritenuto congrui i valori dichiarati nell’atto di trasferimento.

La sentenza impugnata, pertanto, merita piena conferma.

5. La doglianza relativa al vizio di motivazione dell’atto di imposizione fiscale (per avere l’Ufficio … omesso di portare a sua conoscenza sia lo studio D.R.E.E.R. che i pareri… che costituivano il presupposto della rettifica: eccezione sollevata in origine e successivamente rinnovata) dedotta dal contribuente è inammissibile (a) perchè la sola espressione eccezione sollevata in origine e successivamente rinnovata utilizzata per affermare la sua sottoposizione all’esame del giudice del merito non soddisfa l’obbligo posto dall’art. 366 c.p.c. in quanto non indica il luogo ed il tempo processuali di proposizione nè, comunque, il tenore testuale della stessa (peraltro, non si espone neppure quale sia stato il giudizio della commissione di prima istanza sulla questione nè, tam poco, la sua tempestiva e rituale riproposizione al giudice di appello), ed altresì (b) perchè, avendo lo stesso contribuente dedotto che tali eccezioni non sono state prese in considerazione nè nel primo nè nel secondo grado di giudizio, il vizio andava denunziato a questa Corte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (e non del n. 3) come vizio di nullità della sentenza (ex art. 132 c.p.c.) per omessa pronuncia sulle stesse in violazione del principio “corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato” posto dall’art. 112 c.p.c. 6. Le spese giudizio del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

La richiesta del contribuente di liquidazione delle spese anche dei precedenti gradi è inammissibile perchè lo stesso (1) non ha spiegato, come necessario, ricorso incidentale avverso la contraria pronuncia del giudice di appello (il quale ha scritto: il contribuente … chiede, con appello incidentale, che l’Ufficio sia condannato alle spese anche del primo grado; deve … essere respinto l’appello incidentale relativo alle spese di primo grado sussistendo giusti motivi per la compensazione delle medesime e anche per il presente grado) e, peraltro e comunque, in chiara violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, (2) non ha esposto nessun motivo di censura a contestazione del riprodotto giudizio della commissione di appello sulla questione.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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